Intervista a Malachy Tallack, autore e cantautore britannico, presente al festival “I Boreali” 2024 di Iperborea.
Ad animare le piovose giornate milanesi tra il 1 e il 3 marzo è tornata al Teatro Franco Parenti la nuova edizione del Nordic Festival, curato dalla casa editrice Iperborea: tre giorni per immergersi completamente nella cultura nordica tra lezioni di lingua, proiezioni, brunch, nuove letture e laboratori per i più piccoli.
Impossibile non immaginare di sfuggire ai contorni, ai ritmi e alla confusione di una Milano oltre le porte del teatro. Per chi si è quindi chiesto anche solo per un attimo come sia vivere al Nord – se sia davvero così diverso rispetto ad altri luoghi, se valga la pena innamorarsi di luoghi che non si conoscono – abbiamo avuto il piacere di chiedere a Malachy Tallack cosa significhi cercare una casa al Nord, cosa significhi vivere il Nord e che cosa sia davvero il Nord su cui così spesso si fantastica ma di cui ciascuno sembra avere immagini diverse.
Malachy Tallack è uno scrittore e cantautore britannico, autore di “Il Grande Nord. Viaggio intorno al mondo lungo il sessantesimo parallelo” recentemente approdato in Italia nella collana “i Corvi” di Iperborea.
Il libro è un poetico e amichevole dialogo con il lettore, animato dall’intreccio di riflessioni personali, excursus culturali, racconti di viaggio e fulminei ritratti di luoghi, città e persone lungo il sessantesimo parallelo. Per scoprire che il Nord è molto più di una cartolina innevata: sono le pensierose Shetland, la comunità e la solitudine della Groenlandia, un Canada primevo e audace, un’Alaska cinicamente divisa tra natura e proprietà privata.
Sono una Siberia aliena e delicata, una San Pietroburgo illuminista che sorge su una palude, una Finlandia che si è costruita su mille diversità e una Svezia e una Norvegia ricche di storia, ma anche controverse.
Leggendo il tuo libro, la primissima immagine che mi ha è quella di un Artico che non è un punto, non è il Polo Nord, ma è un cerchio. Ho pensato fin da subito a un abbraccio: un abbraccio che cinge la parte settentrionale del nostro globo e riunisce culture e paesi molto diversi tra loro. Da dove è nata questa idea di Nord?
Sono cresciuto principalmente nelle isole Shetland: non è dove sono nato, ma è dove sono cresciuto. Nelle Shetland, le persone parlano spesso della latitudine delle isole, ripetono sempre ai turisti che ci troviamo al sessantesimo parallelo. Così, mi sono interessato fin da molto giovane a cosa significasse trovarsi al sessantesimo parallelo.
Mi sono chiesto quali altri posti si trovassero a questa latitudine, quali posti condividessero la stessa “nordicità” geografica (Northerness). Ma viaggiando allo stesso livello di “nordicità”, in realtà trovi tipi di nord diverso, paesaggi diversi, culture diverse. E io volevo esplorare quanti più Nord possibili.
Credi che ci sia bisogno di più narrative di questo genere, ovvero narrative circumpolari, piuttosto che di narrative “autore-paese”?
Credo che ci siano molte e diverse cose che vanno a comporre la letteratura di viaggio, perché le persone arrivano in posti diversi con aspettative diverse. Io, che ero curioso di questi posti, ho letto molti libri, principalmente scritti da persone che non erano del Nord, ma di altri Paesi, e quindi lo vedevano con occhi particolari – credo. E per quanto mi riguarda, una delle cose che volevo fare in questo libro era proprio di mostrare il Nord attraverso gli occhi di qualcuno che è del Nord.
Quanto ti hanno aiutato i tuoi viaggi nella costruzione della tua identità? O forse … alla fine hanno fatto nascere ancora più dubbi e domande?
Credo che molte persone, per mille motivi, provino sentimenti complicati sulla propria identità e sul posto da chiamare “casa”. E questo è stato certamente vero per me. “Casa” è sempre stata una domanda complicata: cosa è casa? Proprio questa domanda mi ha incoraggiato a scrivere il libro, perché le complicazioni sono interessanti… se sei uno scrittore. [sorride]. Scrivere un libro e pensare intanto a cosa significasse trovare casa in un posto, mi hanno aiutato a sentirmi più me stesso, mi hanno aiutato a darmi un senso chiaro di cosa sia casa. Credo.
Nel corso del libro, ci hai raccontato infatti le storie di alcune persone che, venendo dal Regno Unito o dalla Danimarca, si sono trasferite al Nord. Credi che ci possa essere casa nel Nord per chi non è del Nord, ma che, magari, è del Sud come noi italiani?
Certamente. Una cosa che assolutamente non voglio è che le persone credano che sia necessario nascere in un posto per sentirsi connesso ad esso o considerarlo la propria casa. Credo che capiti spesso ad alcune persone di non provare un senso di connessione forte con il posto in cui sono cresciuti e, se sono fortunati, nel corso delle loro vite troveranno un altro posto che sentiranno più casa – o magari no.
Ci sono tantissime ragioni per cui le persone si trasferiscono. Tu speri che andando in altri posti ti sia possibile provare un senso di connessione più forte. Ho incontrato un italiano, questa mattina, che ha vissuto in Islanda per dieci anni e che mi ha detto che non appena ci ha messo piede si è sentito come se ci fosse nato. Credo che non sia una cosa poco comune: certi posti, certi paesaggi, ci parlano più di quelli in cui siamo nati.
Ultimissima domanda. C’è qualcosa, secondo te, che può essere trovato solo al Nord?
Una domanda difficile. Credo che nel corso del librosia rimasto piuttosto restìo a dare una definizione di qualcosa di puramente nordico, perché non credo che nessuno di questi posti possa essere ridotto a quel tipo di essenza. Ero restìo a cercare qualcosa che potesse essere unicamente nordico.
In effetti, il finale de “Il Grande Nord” è una chiusura dolceamara o, nelle parole di Matteo de Giuli al festival, un finale anticlimatico. E in questo sta la sua bellezza: dopo tanti luoghi, forse anche quello che si credeva che fosse il punto di partenza non è altro che un nuovo dubbio, una piccola ferita al cuore pronta a trasformarsi in un altro viaggio, verso altre origini, verso altri dubbi e verso altre domande.
Agata Lavorio
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