Economia

Londra alla ricerca degli idrocarburi del Nord

L’importanza degli idrocarburi per la società moderna è pressoché assodata,  nonostante il – giustamente – percepito bisogno di energie alternative, che possano mitigare l’effetto del cambiamento climatico e garantire un sostenibile processo di approvvigionamento per le future necessità energetiche del pianeta.

Mar del petrolio

Nella brevissima analisi degli idrocarburi nella nostra Albione, la dipendenza dagli stessi è molto alta: tra l’85% ed il 90% delle necessità energetiche del Regno Unito avviene grazie all’uso di combustibili fossili. 

Il Regno Unito ha comunque un’alta riserva di petrolio, producendo il 90% del greggio di cui necessita, con una riserva, nel 2020, di 2,5 miliardi di barili. L’importanza degli idrocarburi (c.d. oil&gas) rappresenta per la sola Scozia un valore aggiunto per occupato (GVA – Gross Value Added) di 8,8 miliardi di sterline, il 5% del PIL della Scozia. Il gettito scaturito dall’estrazione degli idrocarburi è stato, a livello centrale, per il biennio 2019/2020 di ben 1 miliardo di sterline

Le rendite del petrolio possono essere enormi. L’esempio della Norvegia è molto interessante. Qui, al di là del Mar del Nord, la Norvegia col suo fondo pensionistico conosciuto come Oljefondet ha effettuato investimenti coi proventi col petrolio che hanno garantito il raggiungimento della cifra di 1.356 miliardi di dollari.

La bilancia del clima

Cosa c’entra il petrolio del Mar del Nord con l’Artico? Un poco c’entra, poiché i giacimenti sussistono sulle vie di navigazione che si stanno aprendo a causa – purtroppo – dello scioglimento dei ghiacci. Ma soprattutto c’entra perché, seppur il Regno Unito non sia un paese artico, la sua piattaforma continentale dove poter estrarre le risorse – secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare di Montego Bay del 1982 -si estende quasi fino ai 64°N, poco distante dal Circolo polare artico, che si trova a 66°33’39”.

Wilphoenix offshore oil rig

Ma se l’eventuale difesa dei diritti di estrazione deve essere fatta valere nei confronti degli altri paesi artici, che sono però per la maggior parte membri dell’Alleanza Atlantica, quindi dal punto di vista prettamente strategico si tratterebbe solo della Russia nel breve periodo, i diritti di estrazione hanno un peso anche nell’agognato processo di indipendenza della Scozia. Nel caso di un secondo referendum con esito favorevole, che il Primo ministro scozzese Nicola Sturgeon ha deciso di portare avanti, il 90% del petrolio del Regno Unito potrebbe passare sotto la giurisdizione della Scozia.

Le risorse naturali sono fondamentali per l’economia di un Paese, e lo sarebbero soprattutto per una nazione indipendente come la Scozia, di quasi 5,5 milioni di abitanti. C’è però anche l’altro lato della medaglia, nel caso di un’eventuale indipendenza. Nel caso in cui la Scozia potesse tornare ad essere uno Stato sovrano, dovrebbe decidere se entrare nell’Alleanza atlantica – e venire ammessa –, e non avrebbe comunque garantita la superiorità militare che l’appartenenza al Regno Unito le concede.

Lo scudo atlantico

Nell’idea di una Scozia indipendente le armi atomiche non trovano posto, le basi e gli armamenti nucleari del programma Trident in Scozia dovrebbero così essere smantellati. Facendo perdere il peso specifico sia della Scozia, sia dell’eventuale nuovo stato Inghilterra-Galles-Nord Irlanda.

La Scozia non sarebbe più quindi parte di una potenza militare. Il Regno Unito, che rappresenta un importante membro della NATO, e farebbe ridurre la capacità degli armamenti di Londra, che per far fronte al ri-dislocamento degli armamenti dovrebbe investire un minimo di 20 miliardi di sterline, rendendo necessari dei tagli che andrebbero a ridefinire la capacità di deterrenza della NATO.

A prescindere dai futuri impegni strategici, collegati alle risorse naturali quali gli idrocarburi, sarà necessario capire il futuro proprio di questi ultimi. L’impegno del governo scozzese è quello di raggiungere il 50% della produzione di energia da fonti rinnovabili entro il 2030, per arrivare ad una completa decarbonizzazione entro il 2045.

Sebbene i propositi siano buoni e siano corredati ingenti investimenti per supportare il processo di transizione energetica, bisognerà poi aspettare per vedere quale sarà il futuro dei giacimenti nel Mar del Nord. Cosa farà Il Regno Unito o un eventuale Scozia indipendente con i propri giacimenti? Nonostante la transizione verde quell’asset strategico è troppo importante ed in una zona sempre più calda per passare in secondo piano.

Gianmaria Ricci

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Gianmaria Ricci

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