Il governo di Boris Johnson tra i più attivi contro le mosse di Mosca in Ucraina, con un futuro energetico che potrebbe “premiare” il Regno Unito.
L’invasione russa in Ucraina ha avuto conseguenze particolari nello scacchiere mondiale. Tralasciando l’invasione in sé, ci sono stati cambi di assetti, avvicinamenti di grandi potenze, dialoghi tra Paesi che avevano sospeso le prassi diplomatiche e commerciali. Per non parlare degli effetti sull’economia mondiale.
Dopo due anni di pandemia, la ripresa e i conseguenti assestamenti economici, non ci voleva certo l’invasione di un Paese che esporta circa 41,5 milioni di tonnellate di granaglie (Considerando solo l’anno 2020-2021), con le conseguenti ripercussioni alimentari per molti Paesi.
L’invasione ha avuto effetti anche più a nord dell’Ucraina, facendo addirittura balenare l’idea di “congelare” il Consiglio Artico, di cui la Russia detiene la presidenza fino a primavera 2023. La presidenza conferisce a quest’ultima la facoltà di organizzare l’agenda del Consiglio, ed è comunque un ruolo di primo piano nella diplomazia artica.
Ed è proprio questo primo piano che gli altri Stati artici, quasi tutti nella NATO a parte Svezia e Finlandia che ne hanno richiesto l’adesione poco fa, potrebbero trovare irricevibile al momento in termini di principio, e perché no anche in termini geopolitici. Il Coordinatore statunitense della Regione artica ha comunque ribadito la volontà di continuare i lavori del Consiglio – sospeso per alcuni mesi – purché la Russia si autosospenda dalla Presidenza, cedendo il posto al Paese successivo nella lista, la Norvegia.
L’alternativa sarebbe quello di creare un club parallelo, senza appunto la Russia. Nell’arco di poco tempo si è dunque passati da una attiva collaborazione tra le parti, ad avere probabilmente un Arctic Council il cui unico membro non-NATO sarebbe ovviamente la Russia.
La volontà di estromettere Mosca è quindi sempre più forte, nonostante l’Artico sia stato, anche durante la Guerra fredda, un luogo sì di “sfida”, ma anche di cooperazione. Sebbene il 75% dei sommergibili sovietici si trovassero nella zona artica, nel 1989 la cooperazione per la salvaguardia ambientale ha portato a quella che è stata chiamata Cooperation in Combating Pollution in the Bering and Chukchi Seas in Emergency Situations.
Tradotto: la competizione non preclude la cooperazione in ambiti importanti, come quello ambientale. Anche se il pericolo di un surriscaldamento globale è ormai assodato e lo è soprattutto per l’Artico – come ben osservato più di una volta da questo Osservatorio – qui c’è da chiedersi se effettivamente l’apertura delle rotte artiche sia geostrategicamente più importante della cooperazione ambientale. Diremmo la seconda, Scuola realista docet.
Dove si situa il Regno Unito in tutto ciò? Il confronto tra Londra e Russia non è sfociato fortunatamente in un conflitto aperto, ma ha visto comunque un forte sostegno del governo Johnson alla causa ucraina, con l’invio di armi da parte britannica.
La Federazione russa ha fatto intendere al Regno Unito che, a causa delle posizioni prese riguardo l’intervento russo, ci potrebbero essere delle ripercussioni. Premesso che l’Unione Sovietica, sul tema nucleare, ha avuto un comportamento razionale di deterrenza, le minacce ricevute da Londra non sono chiaramente ben accolte.
L’invasione in Ucraina ha inoltre creato una risposta degli Stati europei verso una condanna dell’accaduto, oltre che sanzioni economiche che prevedono la rinuncia agli idrocarburi russi, di cui l’Europa occidentale è dipendente. Questo comporta – oltre ad una necessaria transizione verso forme energetiche alternative (si spera) – l’approvvigionamento di energia da altri fornitori.
Polonia, Finlandia e Lituania, normalmente acquirenti di idrocarburi russi, ora cercano di importare 13,5 milioni di barili dal Mar del Nord, dalle zone di Norvegia e Regno Unito appunto. Che si trovano proprio sulle rotte artiche che si potranno aprire a causa dello scioglimento dei ghiacci.
L’esportazione di greggio dal Mar del Nord al di fuori dell’Europa era di circa 850.000 barili al giorno a marzo, mentre ora si è ridotta a 650.000 barili. Ergo, ci sono più esportazioni proprio verso i Paesi europei più bisognosi di energia. Ma per mantenere i livelli di produzione, a parte poi le necessità militari strategiche, sono necessari investimenti nella produzione dei giacimenti nazionali.
Entro il 2030 l’80% del petrolio ed il 70% circa di gas potrebbero dover arrivare dall’estero se non ci si attiva subito per attivare nuovi giacimenti. Pur non essendo quindi un Paese artico, la sua posizione nelle future rotte artiche, la sua vicinanza all’Artico stesso, la sua potenza militare e al sua alleanza storica con gli Stati Uniti al di là dell’Atlantico, fanno sì che il Regno Unito non sia un pedone di prima fila nello scacchiere internazionale. Ma a tutti gli effetti un pezzo da seconda: i più liberi di movimento ed i più importanti per fare scacco.
Gianmaria Ricci
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