Roma si trova a circa 3700 chilometri di distanza dal Circolo Polare Artico. Eppure, l’interesse dell’Italia nei confronti della regione artica continua a crescere. Per conoscere meglio come e quanto, abbiamo intervistato Franco Frattini, ex Ministro degli Esteri e attuale Presidente SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale).
Presidente Frattini, quanto e come cresce l’interesse italiano per il Grande Nord? «A inizio aprile è partita la nuova edizione del nostro Master universitario in Sviluppo Sostenibile, Geopolitica delle risorse e Studi Artici. Questa attività, arrivata ormai al quinto anno, ci sta dando grandi soddisfazioni».
La SIOI, nata nel 1944 su impulso di Alcide De Gasperi – Ministro degli Esteri nel secondo Governo Bonomi – è uno dei maggiori think tank italiani, con una lunga storia alle spalle. Le sue attività si svolgono prevalentemente per quanto riguarda la formazione diplomatica, sia per il Ministero degli Affari Esteri, sia per le maggiori istituzioni internazionali. In questa ottica, nel 2015 la Società ha ampliato il proprio orizzonte guardando a Nord, inserendo anche questo master fra le sue offerte formative. E non è un caso.
«Nel 2010, da Ministro, presentai la candidatura all’Arctic Council perché il nostro Paese diventasse Osservatore. Oggi l’Italia è presente con diritto di voto, in seguito a accanto a molti Paesi decisamente rilevanti. Nel corso degli ultimi anni abbiamo ospitato diversi appuntamenti internazionali sul tema, fra cui ad esempio “Arctic Connections“, lo scorso 2019.
Il nuovo master segue lo schema dei precedenti, suddiviso in modulo. Alla fine di questa edizione, nel prossimo novembre, gli studenti e le studentesse avranno ottenuto una prospettiva onnicomprensiva sul tema, dopo aver studiato il modulo politico – con un’attenta analisi geo-strategica dei player artici – il modulo economico, concentrato su energia e sostenibilità, e le nuove frontiere dello sviluppo: rotte commerciali marittime, sfruttamento delle risorse e rapporti fra le parti».
Per quanto riguarda la governance dell’Artico, è necessario rispolverare il Diritto Internazionale a livello macroscopico: «Questa parte viene sviluppata partendo dall’organizzazione mondiale su temi quali la Zona Economica Esclusiva e sulle rivendicazioni territoriali, ad esempio. Partiamo dall’ONU e dalla Convenzione sul Diritto del Mare (UNCLOS) per osservare più nel dettaglio ciò che avviene oggi nell’area», racconta ancora Frattini, Ministro degli Esteri dal 2002 al 2004 e dal 2008 al 2011 nei Governi Berlusconi.
Anche ambiente e società trovano spazio nella formazione SIOI: «Il tema delle trivellazioni offshore, un argomento molto delicato, viene analizzato nel modulo scientifico sviluppato in collaborazione con l’Istituto di Scienze Polari del CNR. Tutte queste informazioni ricevute consentiranno poi ai partecipanti di poter guardare al mondo accademico, scientifico e istituzionale per un futuro lavorativo decisamente interessante».
Nel 2018 la SIOI viene ammessa al network internazionale UARCTIC, la rete di università ed enti di formazione che promuovono l’ampio spettro di materie sull’Artico.
UArctic builds and strengthens collective resources and collaborative infrastructure that enables member institutions to better serve their constituents and their regions. Through cooperation in education, research and outreach we enhance human capacity in the North, promote viable communities and sustainable economies, and forge global partnerships.
Collaborazione e cooperazione sono le due parole chiave per capire i rapporti di base della regione. Ma c’è di più, non è così Presidente? «Partiamo dal presupposto che tutto il lavoro svolto in seno all’Arctic Council (Il forum permanente che mette in relazione i Paesi artici e tutti gli attori interessati alla regione ndr) sta già dando e darà risultati molto positivi. Ma finché non avremo una cornice normativa internazionale sul tema, tutto è possibile.
«Il nostro Paese è molto ben posizionato in Artico, e questo per le tante e diverse attività che ci vedono protagonisti nell’area. Nel 2017 organizzammo “One Arctic”, un appuntamento di simulazione che ha coinvolto 150 ragazzi e ragazze. Due anni più tardi abbiamo dato il via a un hackathon sviluppato insieme al MiUR, con oltre 160 partecipanti, anche liceali. Questo per dire che l’Italia guarda all’Artico anche con uno sguardo di investimento in termini di formazione sull’ambiente e sulle capacità.
Parlando di politica, tutti gli scenari sono sul tavolo. Io sono ottimista, e ritengo che molte delle criticità resteranno sulla carta. Penso che la cooperazione internazionale stia dando i suoi frutti, ma dobbiamo considerare che non è un dato di fatto. Tutti, all’interno dell’Arctic Council, sono consapevoli che la collaborazione internazionale va costruita ogni giorno, e che finché non esisterà un framework internazionale a regolare il piano giuridico, molti discorsi resteranno aleatori».
L’Unione Europea rischia di diventare la “grande assente” della partita? «Bruxelles è già di fatto coinvolta, essendo la Danimarca uno dei cinque Paesi costieri. Ma non basta. L’Unione Europea ha fatto richiesta di diventare Osservatore dell’Arctic Council, ma la proposta è già stata rigettata con i voti contrari di altri membri, come la Cina. La politica della UE sul tema è in divenire, anche per le frizioni a livello macro e per le difficili partite in corso».
L’impossibilità decisionale del Consiglio Artico, su temi più ampi della conservazione ambientale e dell’aiuto allo sviluppo delle popolazioni indigene, rende di fatto molto relativo il valore politico di questi organismi. «Quello che servirebbe è una Convenzione ONU ad hoc, per regolamentare la governance della regione. Inutile dire che questa ipotesi sia fortemente ostacolata da tutti i maggiori player mondiali. Oggi viviamo un momento fortunato per l’Artico. Possiamo guardarlo con un grande potenziale, anche con un occhio decisamente ottimista. Sperando che le evoluzioni del prossimo futuro confermino le nostre migliori aspettative».
Leonardo Parigi
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