Interviste

La Russia rivendica i fondali marini del Mar Glaciale Artico

La Russia rivendica i fondali marini del Mar Glaciale Artico, andando oltre il 70% del fondale marino nelle parti centrali e raggiunge le Zone Economiche Esclusive del Canada e della Groenlandia.

Oltre il Nord

La Russia ha formalmente allargato la sua rivendicazione sui fondali marini del Mar Glaciale Artico fino alle zone economiche esclusive (ZEE) del Canada e della Groenlandia. Il reclamo è stato ampliato da due estensioni che sono state presentate mercoledì, che si estendono da punti vicino al Polo Nord alle ZEE di Nuuk e Ottawa.

La Russia non ha esteso la sua rivendicazione alle acque a Nord dell’Alaska, note per far parte della sfera di interessi degli Stati Uniti, anche se pare che alcune imbarcazioni battenti bandiera della Federazione abbiano raccolto dati sui fondali marini in queste acque, nel corso del 2020.

Philip Steinberg, professore di geografia politica e direttore del Center for Border Research presso l’Università di Durham nel Regno Unito, ha stimato che la Russia sta allargando la sua rivendicazione di circa 705.000 chilometri quadrati.

Rivendicazioni ed estensioni

L’allargamento russo aumenterà in modo significativo la sovrapposizione tra la rivendicazione della Russia sui fondali marini artici e le richieste presentate dal Canada e dal Regno di Danimarca. In quest’ultimo caso, parliamo di circa 800.000 chilometri quadrati, che si sovrappongono fra Russia e Danimarca.

Il fulcro della questione è dato dalla Dorsale di Lomonosov, la vera e propria catena montuosa sottomarina che “collega” la Russia, attraverso il Polo Nord, alla Groenlandia e al Canada. La cresta spinge vette alte 3700 metri verso l’alto dal fondale marino, che è altrimenti piatto, e la natura del collegamento tra la cresta e le masse continentali alle due estremità determinerà chi ha i diritti su ciò che il fondo marino può nascondere di petrolio, gas e minerali.

A occuparsi della questione, ci pensa la Commission on the Limits of the Continental Shelf (CLCS), organismo delle Nazioni Unite deputato alla risoluzione delle dispute su tali materie.

Le pretese di Mosca

L’interesse della Russia per i fondali marini artici è chiaro fin dal 2007, quando due piccoli sottomarini riuscirono nell’impresa (mediatica, prevalentemente) di piantare a 4.300 metri sul fondo del Polo Nord una bandiera russa. Uno show che forse per la prima volta accese davvero i riflettori sull’area.

La Russia ha espresso fiducia nel fatto che il CLCS alla fine determinerà a favore di Mosca sulla questione. Stando al Barents Observer, il Ministero russo delle risorse naturali avrebbe affermato che il CLCS aveva convenuto che la Dorsale di Lomonosov, la cresta di Mendeleev e il bacino di Provodnikov sono altipiani sottomarini ed estensioni naturali della piattaforma russa.

Per rivendicare una piattaforma continentale estesa, gli Stati devono presentare alla Commissione sui limiti della piattaforma continentale prove geologiche che la loro piattaforma si estende effettivamente oltre il limite di 200 miglia nautiche. La Commissione non definisce i confini ma si limita a giudicare la validità scientifica delle affermazioni, lasciando poi agli Stati il trovare una soluzione – come deciso dalla Dichiarazione di Ilulissat del 2008.

Il Commento

Abbiamo chiesto all’Avvocato Francesco Munari, Ordinario di Diritto dell’Unione Europea all’Università di Genova, di darci un parere sul tema:

La notizia secondo cui la Russia ha comunicato i nuovi limiti della sua piattaforma continentale nell’Artico – con inevitabili interferenze anche sulla Zona Economica Esclusiva di altri Stati interessati – non è certamente buona. Si conferma infatti la volontà di sfruttare l’Artico per prospezioni sottomarine e quindi possibile o probabile attività estrattiva, con connessi rischi ambientali, in una zona finora incontaminata. 

Inoltre, è anche chiara la prospettiva di innescare un confronto con gli altri Stati “rivieraschi”. Il tutto in una situazione di grave compromissione ambientale dell’Artico, dovuta al riscaldamento globale. Evidentemente, siamo ben lungi da una consapevolezza del pericolo che corre una delle aree più delicate del pianeta. Bene sarebbe se il Consiglio Artico si occupasse subito dell’argomento. Oppure, e comunque, se quanto prima si possano attivare iniziative diplomatiche volte a evitare prove muscolari in danno dell’ambiente. Il momento non è dei migliori, ma è necessario insistere – Francesco Munari

Leonardo Parigi

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Leonardo Parigi

Sono Laureato in Scienze Politiche Internazionali all’Università di Genova e di Pavia. Sono giornalista pubblicista, e collaboro con testate nazionali sui temi di logistica, trasporti, portualità e politica internazionale.

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