Tra le molte questioni aperte nell’Artico, a livello politico, resiste certamente il tema della piattaforma continentale. Fra i cinque Stati costieri dell’Artico – Russia, Stati Uniti, Norvegia, Danimarca e Canada – esistono infatti diverse rivendicazioni territoriali, che vengono gestite direttamente da una sezione apposita delle Nazioni Unite.
Nel corso degli ultimi mesi una flotta di navi da ricerca idrografiche russe ha attraversato le gelide acque artiche per migliorare la conoscenza dei fondali marini. Fonti della Marina russa affermano che la “Gorizont“, nave con oltre 35 anni di servizio, avrebbe percorso 13.000 chilometri di rilevamenti, nell’arco di 65 giorni. Il viaggio della Gorizont si è svolto tra il Mare di Barents, il Mar di Kara, il Mare di Laptev e quello della Siberia orientale. Ma perché allora ne parliamo a livello politico e non solo scientifico?
Tenendo conto che le stime più recenti sulle riserve di petrolio, gas naturale, metalli e minerali nell’intera regione sono stimate in circa il 20% del totale del pianeta, riusciamo già a scorgere il perché esistano dispute – per quanto estremamente pacifiche – tra gli Stati.
La spedizione russa afferma di avere ormai sufficienti prove da sottoporre alla Commissione delle Nazioni Unite per supportare le proprie affermazioni sul fondale artico. Nel corso del viaggio, a quanto si apprende, i ricercatori navali sarebbero anche riusciti a determinare con precisione il punto più profondo del Mare di Barents, a 632 metri. «Presumo che questi studi saranno sufficienti per fornire una base completa delle nostre affermazioni, che saranno valutate dalla Commissione», ha sottolineato il vice primo ministro Yuri Borisov in una riunione di metà ottobre. La Russia, nell’agosto 2016, ha consegnato ufficialmente le sue motivazioni alla commissione. Motivazioni che prevedono che la Federazione aggiunga 1,2 milioni di chilometri quadrati al suo già sterminato territorio. La disputa è appena iniziata.
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