Con le conseguenze del riscaldamento globale e l’avanzare della tecnologia, il significato dell’Artico e delle rotte circumpolari si stanno riconfigurando, tra ansia di sovranità e nuove visioni di politica estera degli Stati. Questo articolo è stato realizzato in collaborazione con il Centro Studi Italia Canada.
Laura Borzi è analista del Centro Studi Italia Canada con focus su Artico canadese e la politica estera di Ottawa.
È questo il binomio che dalla metà degli anni 2000 ha attirato nuovamente l’attenzione verso la regione artica, un’area di basilare importanza all’epoca del confronto Mosca-Washington durante la Guerra fredda, ma poi quasi scomparsa dal dibattito strategico nel corso degli anni 90.
Tra le conseguenze del riscaldamento globale, con la rapida riduzione di estensione e volume del ghiaccio marino, si riscontra, come noto, la prospettiva dell’apertura delle rotte circumpolari al commercio internazionale che già permettono quei collegamenti tra Oriente ed Occidente precedentemente non accessibili con un guadagno in termini di riduzione di distanze e tempi di percorrenza.
Notoriamente sono tre le rotte marittime che costituiscono una scorciatoia alla navigazione tra Atlantico e Pacifico:
Se nel complesso le direttrici transartiche non sono in grado di influire in maniera tale da capovolgere il sistema mondiale dei commerci, e non ci si deve aspettare una crescita esponenziale nel loro utilizzo, nondimeno è lecito ipotizzare una continua espansione, tale da strutturare il futuro dell’economia artica.
In secondo luogo, nelle attuali dinamiche del sistema di potenza mondiale, il significato dell’Artico si sta riconfigurando anche a causa del condizionamento derivante dalle direttrici dell’ascesa di Pechino, del suo contrasto strategico con Washington, del prestigio residuale di Mosca che però, al Nord del mondo, gode di un ruolo intatto di superpotenza.
Pertanto, le aspettative per i soggetti coinvolti riguardano la valenza geopolitica che è in grado di assumere la navigazione in Artico. Questo è vero in particolare per i due giganti geografici per i quali l’ambiente circumpolare è parte integrante della loro identità politica, Russia e Canada.
Per Mosca, i progetti della NSR si inseriscono nel complesso quadro dell’ambiziosa politica artica per cui il Cremlino vede nel Nord uno dei principali bastioni strategici e una regione chiave per asserire il proprio ruolo di grande potenza. L’amministrazione della NSR è infatti sostenuta da uno strutturato approccio governativo con una Commissione artica incaricata di portare avanti lo sviluppo economico e la competitività della rotta.
La determinazione di Mosca e le condizioni climatiche, che si traducono in modalità differenti di scioglimento dei ghiacci e un’infrastruttura maggiormente sviluppata, rendono questa via assai più praticabile rispetto alla sua variante canadese.
Per il Canada, il Passaggio a Nord Ovest (PNO) è in realtà una rotta dal potenziale economico al momento assai limitato. In primo luogo, il PNO resta una via scarsamente utilizzata per il traffico internazionale a causa di complicate condizioni geografiche e preoccupazioni ambientali, ma anche perché il governo canadese non ha sostenuto a sufficienza l’impresa.
Durante la Guerra fredda le attività marittime americane e canadesi erano funzionali alla costruzione e rifornimento delle stazioni meteorologiche e radar, mentre il Canada “mostrava la bandiera” rifornendo gli insediamenti artici. Si trattava pertanto di un traffico di destinazione non di un transito internazionale.
Nel 1969 il passaggio della petroliera USA Manhattan riuscì a suscitare vive preoccupazioni per la sovranità canadese ma non si tradusse in una valida motivazione economica per la rotta del Nord Ovest. Negli anni recenti, un dibattito in merito all’estrazione mineraria e alle risorse energetiche ha generato nuovo interesse, ravvivando i timori canadesi sul controllo del Nord.
Infatti, ben altro significato è attribuito al valore politico del passaggio, quello appunto imperniato sulla questione della sovranità ovvero la definizione dello status delle acque dell’arcipelago canadese che si incentra fondamentalmente sulla controversia Canada – Stati Uniti.
Per Ottawa, il PNO è parte delle proprie acque interne in cui esercita la piena sovranità, così come il diritto di regolamentare e controllare la navigazione delle navi straniere.
Washington, che non intende creare precedenti suscettibili di restringere la propria mobilità navale in altre parti del mondo, ritiene invece che si tratti di uno stretto internazionale che consente a navi commerciali e militari, un diritto di passaggio in transito.
Un‘intesa, o meglio una pausa nella controversia, è stata raggiunta nel 1988 tramite un “accordo di disaccordo reciproco” che bene esemplifica come le questioni di sovranità e sicurezza siano pressoché inseparabili allorché si condivide un continente con una superpotenza.
La tessitura costante di una diplomazia discreta ha permesso a Ottawa di conciliare le priorità della sicurezza continentale e gli interessi nazionali, e se non si rilevano effettive minacce alla sovranità né nell’arcipelago né nella parte continentale, la cultura strategica canadese resta in parte condizionata nei confronti dell’alleato americano dal concetto (contestato) di defense against help.
Si tratta di una dinamica caratteristica del posizionamento di Stati “minori” in politica internazionale per cui il Canada deve mantenere un certo livello di preparazione nella difesa per evitare un aiuto indesiderato da parte delle grandi potenze la cui sicurezza può essere minacciata dallo scarso livello di difesa dei Paesi più piccoli.
A ciò si somma la carta cinese, l’interesse alla navigazione in Artico da parte di Pechino, con la “Via della seta polare” alla ricerca di investimenti in infrastrutture in ogni continente allo scopo di sostenere la propria posizione di nazione leader nel commercio mondiale.
Detto questo, si comprende il concetto di “ansia della sovranità”, come l’ha definita un noto studioso dell’artico canadese, P. Whitney Lackenbauer, che costituisce in effetti una costante presenza nei documenti ufficiali per il Nord.
Nella strategia canadese per l’Artico emanata dal governo di Trudeau nel settembre 2019 Arctic and Northern Policy Framework (ANPF) il Canada afferma decisamente la propria presenza nel Nord con una sovranità “ben stabilita e di lunga data”, medesima espressione utilizzata dai Conservatori nel 2010 nell’enunciato di politica estera per l’Artico.
Nel capitolo dedicato alla difesa, dell’ampio documento del 2019 si ribadisce la determinazione ad esercitare la sovranità sul Passaggio a Nord ovest (NWP). Questa reiterazione era necessaria. Nel corso dell’ultimo decennio, l’area ha suscitato un notevole interesse su scala internazionale, diventando oggetto di una concorrenza crescente da parte di attori statali e non, attratti da risorse naturali e dalla posizione geo strategica della regione.
L’accesso facilitato all’area a causa dalla riduzione della quantità di ghiaccio e al miglioramento delle tecnologie avanzate, ha contribuito ad aumentare sulle vie navigabili la presenza estera anche legata a turismo, ricerca scientifica, trasporto marittimo con grandi e piccole navi e altre attività commerciali.
La strategia emanata dai liberali proprio alla vigilia delle elezioni federali, sottolinea che le attività che si svolgono quotidianamente attraverso i Governi e le popolazioni indigene sono espressione della costante sovranità canadese su terra e mare.
Ciò significa che l’aspetto politico e quello economico siano intimamente connessi, nella misura in cui la protezione e il rafforzamento della sovranità artica, compreso il passaggio a Nord Ovest si potrebbero giovare proprio di un nuovo impulso economico, ovvero del bisogno impellente e fondamentale di infrastrutture ed investimenti al Nord.
Le necessità messe in evidenza dalle stesse comunità locali che hanno attivamente partecipato al processo di elaborazione della Strategia artica sono molteplici:
Le carenze infrastrutturali, come la mancanza di porti di acque profonde, incidono proprio sulle potenzialità economiche anche relativamente al transito nel Passaggio a Nord ovest. L’alternativa al canale di Suez e Panama rappresentata dalla navigazione in acque canadesi potrebbe ridurre la distanza tra l’Europa nord-occidentale e Asia del 30%, così come fino al 20% tra la costa orientale degli Stati Uniti e l’Asia orientale.
Negli ultimi anni si è assistito all’aumento del transito di navi di ricerca e cargo commerciali che hanno intrapreso la navigazione nelle acque del Nord. Nel 2017 oltre 190 navi hanno effettuato 385 viaggi nell’artico canadese con un aumento del 22% rispetto all’anno precedente.
Se gli osservatori non preconizzano nel breve periodo uno sviluppo significativo di questa rotta marittima a livello internazionale, è pur vero che vi sarà un aumento della navigazione legato al traffico di destinazione che come per la NSR resta quello predominante.
Vediamo in breve le caratteristiche e criticità della variante canadese:
Il cambiamento climatico con la costante diminuzione della coltre di ghiaccio nell’Oceano Artico e l’alterazione degli ambienti marini e terrestri si sta verificando ad una velocità allarmante nel Nord canadese. Non soltanto.
Qui il tasso di riscaldamento è tre volte superiore a quello registrato nel resto del Pianeta in particolare a causa di un fenomeno noto come amplificazione artica che impatta sulla complessità geografica di un arcipelago costituito da 36.000 isole che occupano un’area di 2.1 milioni di km2.
Il Passaggio a Nord Ovest, al pari della NSR, non è una rotta specifica bensì una combinazione di vie d’acqua e stretti di navigazione che collegano l’Oceano Atlantico ed il Pacifico attraverso il Nord America. Da est verso ovest, lo stretto di Davis, Baffin Bay, fino al Mare di Beaufort, il Mare di Chukchi fino a giungere all’Oceano Pacifico attraverso lo stretto di Bering. Il tragitto può orientarsi in direzione nord, attraverso il Canale di Parry, oppure a sud, attraverso l’isola Victoria.
La direttrice sud è meno rischiosa e con acque più profonde e permette la navigazione di navi più grandi. Tuttavia, l’ambiente resta difficile per la navigazione poiché queste aree sono comunque soggette a particolari condizioni di ghiaccio anche durante l’estate, creando rischi alla navigazione.
In particolare, lo scioglimento dei ghiacci più recenti nella parte ovest dell’Artico, fa si che venti e correnti oceaniche, come la Beauford Gyre, spingano i ghiacci meno recenti negli stretti canali dell’arcipelago. Il che si è tradotto, da un punto di vista della navigazione, in una accresciuta pericolosità eccetto per le più pesanti rompighiaccio. Pertanto, la possibilità di navigazione è meno costante e soprattutto resa più complessa dalla mancanza di porti.
Il Canada ha tre riferimenti nodali in Artico:
Da citare, nel mezzo dell’arcipelago lo scalo di Port Resolute, dove l’esercito canadese ha ampliato gli impianti per rendere il sito atto a rispondere come SAR (search and rescue). Ma nel complesso gli impianti portuali lungo la costa del Nord America sono esigui.
Il cambiamento climatico ha comunque imposto una stagione di navigazione più ampia gestita dalla Guardia Costiera (Canadian Coast Guard CCG), che agisce monitorando i movimenti delle navi e fornendo servizi su tempo e sulla rotta attraverso il NORDREG (Northern Canada Traffic Service Zone Regulations).
L’Artico canadese è stato diviso in 16 zone di controllo della sicurezza dove la navigazione è consentita in funzione delle condizioni del ghiaccio. L’appoggio costituito dalle navi rompighiaccio e la domain awareness saranno migliorate, come indicato nella Strategia nazionale di costruzione navale, attraverso i seguenti assets:
Il Governo Federale ha dunque compreso la necessità di adeguare gli strumenti a disposizione alle criticità della navigazione in Artico per la destinazione interna ma anche perché anche il traffico su scala globale è in ogni modo in aumento.
Un rapporto del gruppo di lavoro del Consiglio Artico sulla protezione e dell’ambiente marittimo, Protection of the Arctic Marine Environment PAME si incentra sul tema della navigazione in Artico negli ultimi due decenni registrando un incremento del 25% nel passaggio delle imbarcazioni dal 2013 al 2019.
Sul piano interno al Passaggio a Nord Ovest, gioverebbe un piano di investimenti sistematico e coordinato in grado di coinvolgere governo, industria e comunità locali in modo da sviluppare sinergie per le risorse artiche. Alcuni progetti sono già in movimento, come l’iniziale sviluppo di alcuni porti di acque profonde e l’integrazione con i corridoi interni.
Considerazioni di più ampio raggio debbono invece riguardare gli investimenti esteri americani e cinesi che possano fare da complemento alla politica artica canadese.
Stati Uniti e Canada hanno comuni preoccupazioni di sicurezza per il Nord e questo potrebbe spingerli a unire le forze per un sistema di infrastrutture in un’area in cui entrambi sono carenti.
Il sistema di canali del S. Lorenzo offre del resto già un modello di riferimento per la gestione di investimenti e commercializzazione.
Quanto alla Cina, la sua intenzione di usare il Passaggio a Nord Ovest non è indipendente dal bisogno di Ottawa di dotarsi di porti per rifornire la Marina e la Guardia Costiera nel sostegno allo sviluppo delle risorse e alla navigazione. Per questo gli investimenti cinesi potrebbero essere utili per le comunità locali per l’abbassamento dei costi e per favorire le attività delle compagnie che operano nell’area. Lo sviluppo delle risorse artiche si è già giovato dell’intervento cinese ad esempio in Québec (Raglan Mine) e Yukon (Wolverine Mine e Selwyn project) ma gli alti costi hanno limitato gli entusiasmi di Pechino.
Un sistema di infrastrutture di navigazione, logistica e trasporto e questioni legate all’economia mondiale potrebbero in futuro attrarre maggiori attori verso un’area ricca di risorse come l’artico canadese. Il tema ci riporta alle considerazioni iniziali con le problematiche di sovranità della navigazione transartica.
La Strategia artica cinese (2018) relativamente al Passaggio a Nord Ovest è però ambigua. Se Pechino riconosce i diritti degli Stati artici nelle acque soggette alla loro giurisdizione e sostiene l’applicazione della Convenzione UNCLOS e del diritto internazionale generale, afferma successivamente di rispettare la sovranità canadese “nelle acque soggette alla sua giurisdizione” senza tuttavia specificare l’area di riferimento. Tale utile formula assai diplomatica favorisce gli interessi cinesi in Artico in termini economici ed è politicamente espressione di una potenza impegnata negli affari globali
Il Polo nord non è per Pechino in cima all’agenda globale e l’interesse cinese è di stampo economico, non si cerca cioè una battaglia politica con il Canada sul tema.
Si è osservato (A. Lajeunesse 2016) che l’attività cinese nel PNO favorisce semmai il rafforzamento della sovranità canadese in quanto contiene un’accettazione implicita del diritto canadese a regolare e controllare la navigazione oltre quello che le norme diritto internazionale permettono, una postura che non potrà venire in alcun modo da Washington.
Al contrario, le dichiarazioni statunitensi hanno ribadito l’illegittimità della posizione canadese in Artico. Un anno, fa il segretario di Stato Mike Pompeo, sollevando l’attenzione sulle attività russe e cinesi in Artico, richiamava il Canada sul tema del Passaggio a Nord Ovest e riportava la politica internazionale del Nord canadese sotto la lente.
Questa considerazione è significativa per l’Artico canadese per i temi interconnessi di sovranità e sviluppo.
Al divario tradizionale tra il Sud e il Nord del Paese si è aggiunto negli ultimi decenni un contrasto tra l’interesse globale nella regione e le economie locali poco sviluppate o stagnanti. Proteggere e rafforzare la sovranità canadese in Artico significa volgere l’attenzione al bisogno urgente di infrastrutture e investimenti, un bisogno che include l’attenzione e controllo del PNO, una rotta che, giova ricordare, costeggia un’area ricca di risorse come, cobalto, nickel e rame e altri minerali essenziali per la transizione verso un’economia rinnovabile a livello mondiale.
La mancanza di infrastrutture aumenta il costo della produzione mineraria di almeno il 30% rendendola scarsamente competitiva per il mercato mondiale e non adeguata a rendere autonoma l’economia del Nord. Una leadership canadese in Artico, un concetto ripetuto nella Strategia del 2019 implica il controllo di fatto del PNO e in tal senso il maggiore transito di navi straniere impegnate nelle attività locali, rafforza la posizione giuridica del Paese tramite l’altrui rispetto delle leggi e regolamenti del Canada.
Questo è del resto proprio il concetto di sovranità: possesso ed effettivo controllo del territorio, governance delle attività condotte. Insomma, non solo more boots on the ground per citare l’ex Primo Ministro conservatore Harper. Semmai più sviluppo, più sicurezza (hard e soft) e più diplomazia.
Le possibilità che l’Artico possa diventare una zona importante di transito commerciale restano limitate nel breve e medio periodo. Il Polo nord avrà però un ruolo di primo piano nella politica mondiale del futuro.
La leadership internazionale in Artico cui Ottawa aspira almeno sulla carta si potrebbe realizzare in una traiettoria a lungo termine che sostenga lo sviluppo dell’Artico canadese si riveli e funzionale all’obiettivo cardine della politica di Trudeau, ovvero colmare il divario che separa le popolazioni del Nord dal resto del Paese e, in prospettiva, sostenere una visione del futuro canadese in ambito internazionale e dunque del peso che in politica estera può rappresentare il Nord.
Laura Borzi – Centro Studi Italia-Canada
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