Pochi Stati costieri, e tanti alla finestra. Volendo, potremmo riassumere così la situazione geopolitica dell’Artico. Il convitato di pietra è certamente la Cina, e per analizzare più in profondità le attitudini di Pechino ci facciamo aiutare da Marco Volpe, analista specializzato sul gigante asiatico.
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L’artico si scioglie e le opportunità che si schiudono a causa del cambiamento climatico attirano l’attenzione delle grandi potenze. Tuttavia l’interesse che la Cina mostra per l’Artico non può dirsi recentissimo.
Dobbiamo infatti risalire al primo Novecento, quando il governo Beiyang della Repubblica di Cina firmò ciò che allora era definito il Trattato di Spitsbergen, poi evolutosi in Trattato delle Svalbard che sancisce all’articolo 2 il diritto delle parti firmatarie di condurre attività di pesca e di caccia nell’arcipelago delle isole Svalbard (appartenente alla Norvegia), e all’articolo 3 eguali diritti per i Paesi firmatari di condurre attività marittime, industriali e di estrazione.
Dagli anni ’80 si avvia in Cina un processo di istituzionalizzazione dell’interesse per le regioni polari, che vede nel 1981 la creazione del Comitato Nazionale di spedizione Antartica (guojia haiyangju weiyuanhui – 国家海洋局委员会) che ha il compito di coordinare la ricerca antartica e di avviare collaborazioni scientifiche al Polo Sud.
Nel 1983 la firma del Trattato Antartico prevede la rinuncia cinese alle rivendicazioni di sovranità territoriale sul continente, allo sfruttamento economico e all’utilizzo a scopi bellici dell’area. Nel 1984 viene inaugurata la stazione Grande Muraglia in Antartico (chang cheng zhan – 长城站). Nel 1989, anno dei tumulti di Piazza Tiananmen, l’attività di ricerca polare riceve un nuovo impulso istituzionale, e viene fondato l’Istituto di Ricerca Polare, principale ente coordinatore delle attività artiche cinesi.
Il 1999 rappresenta una pietra miliare per la Cina in Artico, con la prima spedizione scientifica condotta a bordo della rompighiaccio Xue Long 雪龙 o “drago delle nevi”. Nel 2004 a Ny-Ålesund, sulle isole Svalbard, viene fondata la Stazione artica Fiume Giallo (beiji huanghe zhan –北极黄河站).
Nel 2005 vengono avviate le grandi spedizioni scientifiche antartiche cinesi, con il raggiungimento del Dome A, la vetta più alta del continenente antartico, evento che ha mostrato al mondo quanto sia rilevante la ricerca scientifica per la leadership cinese.
Gli anni 2000 vedono l’attenzione della leadership per le regioni polari formalizzarsi anche nei Piani quinquennali: nell’XI piano quinquennale (2006-2010) vengono pianificate le ristrutturazioni della stazione Zhongshan e della Stazione Grande Muraglia, viene fondata una base estiva sul Dome A e viene pianificata la riparazione della rompighiaccio; il XII piano quinquennale si concentra sulla mappatura, sul miglioramento delle negoziazioni bilaterali e multilaterali, sugli affari marittimi e sull’aumento della sicurezza dei canali marittimi.
La necessità di incrementare la conoscenza delle regioni polari da un punto di vista scientifico è contestualmente accompagnata dalla necessità di consolidare il ruolo diplomatico all’interno del contesto geopolitico polare. Necessità che si concretizza nel 2013 con il conferimento di status di “membro osservatore” presso il Consiglio Artico.
Il 2019 è l’anno del varo della nuova rompighiaccio di fabbricazione tutta cinese, chiamata Xue Long 2. Si tratta di una rompighiaccio dalla media grandezza che ha già effettuato una spedizione in Antartico e ora si prepara al suo primo viaggio in Artico.
La strategia polare cinese non si limita però all’ingresso negli apparati istituzionali internazionali, il miglioramento dei rapporti bilaterali con gli Stati artici può essere la chiave di volta per un ruolo ancor più decisivo nella governance artica.
Nel Gennaio 2018 la leadership cinese rilascia ufficialmente la sua Strategia per l’Artico. Nel documento trovano spazio una descrizione dello stato dell’arte e, in secondo luogo, vengono illustrate le opportunità di collaborazione che la regione offre alla comunità internazionale e gli obiettivi della leadership cinese nell’area.
La Cina si definisce “jin Beiji guojia”, 近北极国家 “stato vicino all’Artico”, nonostante gli oltre cinquemila chilometri che separano il Polo Nord da Pechino. Se da alcuni il documento è stato definito una dichiarazione di intenti – piuttosto che un documento di strategia politica, ne emerge sicuramente una forte impronta collaborativa che testimonia una capacità diplomatica matura ed assertiva.
Il white paper pone l’attenzione sull’impegno che la Cina assume nell’agire, nell’assoluto rispetto delle strutture esistenti e della sovranità degli Stati artici. In qualità di osservatore permanente presso il Consiglio Artico, ambisce a partecipare al processo decisionale.
La Cina si pone come uno Stato conservatore dello status quo, rispettoso del quadro normativo di riferimento composto dall’UNCLOS, dal Polar Code e dalla Dichiarazione di Ilulissat del 2008, che ribadisce, per conto dei cinque Stati costieri, l’impegno ad evitare l’affermarsi di un potere egemone nella governance artica.
Per inquadrare le mire cinesi nell’artico è necessario comprendere il nuovo corso economico che la Cina sta intraprendendo, basato su un nuovo modello economico definito dal presidente Xi Jinping il “New Normal”.
Questo prevede un rallentamento della crescita economica, una minor dipendenza dalle esportazioni e una crescita domestica più efficiente e meno esosa. All’interno di questo framework trova spazio il mastodontico progetto Belt and Road Initiative (BRI) che rispecchia le necessità del nuovo modello economico, e che mira ad incrementare la fiducia nei confronti della Cina come attore responsabile nel contesto geopolitico globale.
L’interesse della Cina per le regioni artiche rivela l’importanza di essere parte integrante dell’apparato internazionale e, al contempo, la necessità di diversificazione delle risorse per far fronte ai fabbisogni economici interni a medio e lungo termine.
Nella visione cooperativa espletata dal white paper trova spazio la Via della Seta Polare come possibilità di sviluppo infrastrutturale, tecnologico, commerciale ed economico in ottica sostenibile. Legata al concetto di human common destiny, viene proposta come piattaforma di collaborazione tra gli Stati artici.
Se da un lato tale progetto è stato etichettato come una possibile alternativa al dilemma di Malacca, sicuramente rivela anch’esso l’interesse cinese ad accedere alle risorse naturali della regione artica tramite rotte polari ancora poco battute.
Tra queste il passaggio a Nord-ovest porta con sé fascino e storia, ma con l’imperversare del cambiamento climatico tre sono le rotte al vaglio delle grandi potenze per incrementare il traffico marittimo polare:
Lo sviluppo di queste rotte, oltre che a fornire numerose opportunità di crescita per i Paesi artici, potrebbe aumentare esponenzialmente i volumi del trasporto marittimo cinese.
Tuttavia bisogna sottolineare come le rotte navali artiche non rispondano alle caratteristiche tradizionali delle rotte più battute. Limitatezza degli scali portuali, imprevedibilità delle condizioni meteorologiche, difficoltà nelle situazioni di emergenza e di soccorso. Sono solo alcune delle problematiche che sollevano dubbi sull’effettiva efficienza di queste rotte.
Tuttavia il report recentemente rilasciato dal gruppo di lavoro dell’Arctic Council, Protection of the Arctic Marine Environment (PAME), che prende in considerazione l’arco temporale 2013 – 2019, rileva un incremento del 25% del traffico navale in tutta l’area soggetta al Polar Code.
Tale incremento consta per la maggior parte di pescherecci (671), ma con 108 rilevamenti le bulk carriers (utilizzate per il trasporto di carichi non liquidi e non unitalizzati in container o in pallet) rappresentano, in ordine, la quarta presenza più consistente.
Il driver fondamentale nell’ottica di sviluppo di queste rotte è sicuramente lo scioglimento dei ghiacci dovuto al cambiamento climatico. Dai rilievi del National Snow and Ice Data Center la media dell’estensione del ghiaccio artico nel mese di Luglio 2020 è stata la più bassa mai registrata.
Di certo non è casuale che proprio quest’anno la Russia abbia deciso di inaugurare la stagione addirittura il 18 Maggio, giorno della partenza della Christophe de Margerie dal porto di Sabetta alla volta di Tangshan per la consegna di gas naturale liquefatto. I
l tanker, dopo aver incontrato nel mare di Kara una rompighiaccio a propulsione nucleare, ha impiegato solo dodici giorni nel percorrere le 2500 miglia nautiche più impervie, dove lo strato di ghiaccio è più spesso e nasconde più insidie.
L’anticipo di quasi due mesi rispetto alla tradizionale routine del traffico artico è un fortissimo segnale di ciò che il futuro potrà riservarci. Da parte sua il governo cinese sta adoperandosi per rendere Shanghai il principale hub dei trasporti del nord-est asiatico.
Il suo porto potrebbe supportare la strategia di sviluppo economico delle aree costiere cinesi, fornendo opportunità di espansione delle industrie di produzione navale, di supporto logistico, pesca e turismo. E contribuirebbe sensibilmente allo sviluppo di regioni del Nordest cinese, tra cui Heilongjian, Jilin, Liaoning e Shandong, risolvendo anche il decennale problema di sottosviluppo di alcune province.
La strategia artica cinese si modella quindi su due punti fermi: consapevolezza del proprio ruolo diplomatico – per ora limitato ad osservatore della gestione degli affari artici; e nel mantenimento dello status quo della regione come area di sviluppo cooperativa e pacifica. Ma anche imprescindibilità del proprio ruolo come partner in ottica di sviluppo infrastrutturale, mirato all’utilizzo e allo sfruttamento delle tanto ambite risorse che l’Artico nasconde.
Marco Volpe
Laureato in lingue orientali (cinese) all’Università La Sapienza di Roma, nutro una fortissima passione per l’Artico che ha portato a specializzarmi in relazioni internazionali e studi artici presso la University of Leeds e la Sioi di Roma. Mi occupo della redazione di analisi di geopolitica artica per diversi think tank nazionali ed internazionali
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