Un nuovo viaggio nella letteratura horror polare, rappresentazione massima di estraniamento dell’uomo urbano nei confronti dello sconfinato e oscuro Nord.
Persone scomparse. Villaggi diventati misteriosamente deserti. Circoli di pietre rituali nella neve. Gigantesche impronte nei boschi. E soprattutto, enormi occhi che bruciano come stelle nel cielo scuro. Sono solo alcuni degli scorci che popolano almeno due racconti dell’americano August Derleth, uno dei più prolifici eredi di H. P. Lovecraft tra gli anni Trenta e Sessanta. Affascinato dall’opera lovecraftiana tanto da fondare (assieme al collega Donald Wandrei) una casa editrice – la Arkham House – dedita a continuare l’eredità di Lovecraft, Derleth espande la cosmologia di orrori del suo maestro fino all’Artico.
In un Canada settentrionale in cui ogni comunità è un microcosmo a sé stante, dove il braccio della “civiltà” fatica a imporsi e si scontra con popolazioni chiuse, reticenti e misteriose, la contrapposizione tra il Bene e il Male diventa una lotta eroica del pioniere americano immerso in una wilderness ancora per nulla piegata all’avanzata dell’uomo occidentale. Segnato fin dall’inizio da un alone di impotenza e incomunicabilità, il Nord di Derleth incarna la paura e la diffidenza del pioniere della civiltà verso culture e territori che fatica a comprendere, e nei quali scopre troppo tardi di non essere stato il benvenuto.
In questo desolante fotogramma prende forma Ithaqua, il Grande Antico “che Cammina nel Vento” (the Wind Walker): forza ancestrale che in cambio della sopravvivenza nelle dure terre del Nord esige una devozione senza confini e al cui sguardo nulla sfugge. Nemmeno l’arrivo di chi “viene da fuori”.
Ithaqua nasce in due racconti di Derleth: “The Thing That Walked on the Wind”, pubblicato nel 1933 su Strange Tales e “Ithaqua”, uscito quasi un decennio dopo nel 1941 sulla rivista rivale, Strange Stories (il titolo originale era “The Snow-Thing”). Da un lato, guardie, poliziotti, medici e uomini di Chiesa che indagano su misteriose sparizioni. Dall’altro, indiani, bambini, uomini bianchi dal passato sospetto, e una presenza misteriosa di cui si parla solo a mezza bocca: Ithaqua, il vero padrone del Nord.
Nonostante i due racconti presentino notevoli somiglianze nello sviluppo narrativo e nella struttura, in entrambi abbondano i riferimenti, le genealogie e le cosmologie in riferimento a Ithaqua, ma spesso in contrasto. Che cosa sia chiaramente Ithaqua, non è ben chiaro. A volte – come fa notare anche la critica – l’impressione è che Derleth si faccia trascinare troppo nella ricerca spasmodica di uno spazio da incastonare perfettamente nei “Miti di Cthulhu” di derivazione lovecraftiana. Tanto che anche il suo tentativo di presentare l’oscura presenza come uno dei “mostri” dell’elemento “aria” fatica a convincere il lettore.
Ma in realtà, poco importa. Ithaqua – l’entità che esige terribili sacrifici, che diffonde paura negli sperduti avamposti in Manitoba – appare solo di sfuggita, con tratti ogni volta abbozzati che forse proprio per questo motivo seminano ancora più inquietudine. Gli occhi, poi i piedi, poi la sagoma, poi una musica nel vento.
Che sia una figura eterea nella neve – nuvole che assumono la gigantesca forma di umano troppo grande per essere vero – che sia una creatura in carne e ossa dai grandi occhi famelici o uno spirito che si muove nel vento e trascina con sé nei freddi cieli del nord chi non si piega al suo culto, Ithaqua è una chiara rivisitazione dei temi dell’ignoto, della conoscenza proibita e dell’ineluttabilità del cosmo, ma “cuciti” su misura nell’ambiente polare.
Orgogliosamente ispirato al Wendigo dello scrittore di storie di fantasmi inglese A. Blackwood (più volte citato dai protagonisti dei racconti, quasi “Il Wendigo” fosse un fatto di cronaca realmente accaduto), l’Ithaqua dell’americano Derleth è certamente parente del demone dei nativi, ma è anche di più. È soprattutto una forza cosmica che trascende il terrestre e che spalanca la mente umana verso universi sconosciuti, ineffabili, lì dove il cielo si tinge dell’aurora boreale e di stelle infinite. Nel racconto del 1941 diventa una vera e propria divinità.
Proprio la paura che deriva dai pochi elementi che i protagonisti riescono a carpire quasi per caso e la connessione che Ithaqua sembra avere con altre creature simili, misteriose e trascendenti, che dovrebbero popolare altri continenti, e che si nascondono all’occhio umano, rendono i racconti di Derleth non solo una chicca per appassionati di Artico, ma anche un modello di horror tra il cosmico e il folk perfettamente a suo agio nelle vastità dei territori canadesi.
Ithaqua darà quindi origine a una serie di altri racconti weird (tra cui la “saga” con protagonista Titus Crawl) e approderà, tra gli altri, anche nei giochi da tavolo (Eldritch Horror, Arkham Horror) e influenzerà anche la narrativa del gioco di ruolo (Icewind Dale – Rime of the Frostmaiden) come implacabile e misterioso nemico da combattere e sconfiggere. Resterà invece una presenza impalpabile, ineluttabile, onnivedente, nei due racconti originali del suo creatore.
Agata Lavorio
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