In occasione della terza edizione del nostro festival, abbiamo il piacere di avere lo IAI al nostro fianco per l’organizzazione della giornata del 30 Novembre. Un motivo in più per intervistare Michele Nones, Vicepresidente dell’Istituto Affari Internazionali di Roma.
Giovedì 30 Novembre torna a Genova “Italia chiama Artico“, il festival di Osservatorio Artico, giunto quest’anno alla terza edizione. All’evento, a ingresso libero previa registrazione sul sito dedicato, che si potrà anche seguire online sulle nostre pagine Facebook, LinkedIn e YouTube, parteciperà in partnership anche lo IAI – Istituto Affari Internazionali.
Professor Nones, il quadro politico internazionale si sta rapidamente offuscando, e dall’Ucraina a Israele, fino all’Indopacifico, sono molte le aree di allerta. C’è una connessione anche con l’estremo Nord, con la Russia ormai fuori dai contatti con l’Occidente e sempre più vicina a Pechino?
“La fine della guerra fredda aveva illuso molti, e in particolare gli europei, che fosse possibile riaccogliere la Russia nella famiglia europea. Allo stesso modo, gli accordi con l’Iran del 2015, gli accordi di Abramo nel 2020 e i recenti contatti israelo-sauditi avevano fatto sperare in un cambio di passo nell’annosa questione mediorientale. Tutte queste illusioni si sono rivelate tali e oggi ne paghiamo il prezzo in termine di instabilità.
Il punto di rottura è stata l’aggressione russa all’Ucraina non solo perché ha riportato la guerra “classica” sul Vecchio Continente, per la prima volta nel dopoguerra, ma perché ha rimesso in discussione l’inviolabilità dei confini nazionali su cui si è retta la pace in questa parte del mondo. Per inciso, va osservato che solo in Medio Oriente quest’ultimo principio non è mai stato rispettato, a differenza che in tutti gli altri continenti. Vi sono, però, altri fronti di instabilità meno evidenti e drammatici, anzi in alcuni casi latenti come in Africa occidentale.
Altri ancora sono semplicemente “sospesi” ma, se dovessero scatenarsi, potrebbero causare un effetto domino rovinoso. E mentre gli occhi di tutti vanno da Gaza a Teheran, sullo sfondo resta il problema di Taiwan. In questo contesto è importante che i diversi fronti di instabilità non si fondano tra loro, pena la de-regionalizzazione dei conflitti e la creazione di connessioni capaci di saldarsi in una crisi difficilmente controllabile.
L’inevitabile reazione europea e transatlantica contro l’aggressione russa sta spingendo questo paese verso la Cina, la vera grande potenza che si sta rafforzando a livello globale. Questo rischia di offrire ai cinesi la possibilità di costruire una tenaglia il cui braccio meridionale è rappresentato dalla loro espansione in Africa e quello settentrionale dal loro alleato russo e dall’espansione congiunta nell’area artica. Una tenaglia che potrebbe potenzialmente stringersi attorno all’Europa”.
Il cambiamento climatico in atto ci porta in una nuova dimensione anche geopolitica, dove il fattore ambientale diventa determinante in certe aree, come nell’Artico. Quanto e come può incidere sulle decisioni degli Stati?
“Il cambiamento climatico modifica inevitabilmente lo scenario geo-strategico. Basti pensare a fenomeni come la desertificazione, la siccità, l’arretramento costiero, la riduzione della portata dei fiumi. Tutti cambiamenti che stanno modificando il territorio, ma hanno importanti effetti economici e sociali. Lo stesso avviene per il mare che, non va dimenticato, occupa il 70% della superficie del nostro pianeta.
Il suo innalzamento si ripercuote sulla linea costiera, ma, soprattutto la riduzione della calotta artica comincia a facilitare lo sfruttamento del Mar Glaciale Artico o Oceano Artico come alcuni lo definiscono. Strategicamente l’aspetto rilevante del fenomeno sta nella progressiva maggiore navigabilità (seppure con certe limitazioni).
Questo può modificare radicalmente l’asseto del sistema di trasporto marittimo, ma anche quello del dominio del mare. Fino ad ora, infatti, Europa e Nord America erano relativamente protetti sul fronte settentrionale e la minaccia russa era condizionata dalle condizioni climatiche (che oltre tutto limitavano l’interazione fra Flotta del Nord e Flotta del Pacifico).
Solo i sottomarini nucleari si muovevano liberamente potendo passare sotto la calotta artica. Ora, invece, anche la superficie del mare può essere più stabilmente utilizzata. Un’ulteriore conseguenza riguarda la possibilità di sfruttare di più quest’area per l’approvvigionamento energetico e minerario“.
“Italia chiama Artico” è un evento che vede coinvolti insieme Osservatorio Artico e IAI. Perché uno dei principali Think Tank italiani sceglie di puntare anche su questo tema?
“Il nostro Istituto da molti anni è il più importante centro di studi internazionali che si occupa nel nostro Paese di sicurezza e difesa. Abbiamo seguito queste tematiche con particolare impegno soprattutto negli ultimi venticinque anni in parallelo con alcuni cambiamenti particolarmente rilevanti per il Vecchio Continente sul piano politico (in particolare il processo di integrazione europeo), su quello industriale (in particolare nel campo dell’aerospazio, sicurezza e difesa) e su quello tecnologico (innovazione e digitalizzazione).
Vi sono due nuove dimensioni dove si giocherà la sfida fra le potenze, vecchie e nuove, nei prossimi anni: lo spazio e la subacquea. Ma vi è una sola area sulla terra che ancora non è stata sfruttata: l’Artico. Il confronto, sperando che non diventi scontro, si giocherà anche nell’estremo Nord. Il cambiamento climatico lo favorisce e i risultati dell’innovazione tecnologica lo consentono. Ma, per molteplici ragioni, l’Europa potrà partecipare a questa sfida solo se saprà definire una politica artica comune e gestirla attraverso la collaborazione dei suoi Stati membri”.
Scopri tutto su “Italia chiama Artico” 2023
Leonardo Parigi
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