Giovedì 30 novembre la terza edizione di “Italia chiama Artico”, il festival annuale di Osservatorio Artico. Tra gli ospiti, l’Ambasciatore norvegese, il Ministero degli Affari Esteri, il CNR e la Marina Militare.
Italia chiama Artico 2023
“Ciò che accade nell’Artico non resta nell’Artico”. Un tema ricorrente durante “Italia chiama Artico” 2023, la manifestazione annuale promossa da Osservatorio Artico, che riunisce tutti gli attori italiani attivi sul tema dei cambiamenti nella regione polare. La terza edizione del festival ha preso luogo giovedì 30 novembre, negli spazi del Galata Museo del Mare di Genova, accogliendo una giornata intera di approfondimenti scientifici, politici e culturali su ciò che sta mutando nell’Artico, e sui collegamenti che l’Italia ha e può sviluppare con una regione così distante.
Presenti all’iniziativa, l’Inviato Speciale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Min. Carmine Robustelli, il Vicedirettore dell’Istituto Idrografico della Marina, C.V. Claudio Marchi, il Direttore dell’Istituto di Scienze Polari del CNR, Carlo Barbante e rappresentanti della Commissione Europea, S.E. l’Ambasciatore della Reale Ambasciata di Norvegia, Johan Vibe, ma anche Michele Nones, Vicepresidente dello IAI – Istituto Affari Internazionali, ente che ha partecipato all’organizzazione dell’evento.
Oltre ai già citati, sono stati anche presenti Marzio Mian, saggista e autore di diversi libri sul tema, Marco Piredda, Head of International Affairs Analysis and Business Support di ENI. Roberto Martinoli, Senior Advisor e CEO di Royal Caribbean Group, Laura Borzi, Centro Studi Italia-Canada, e tanti altri ancora.
La velocità del cambiamento
“Nell’Artico i cambiamenti climatici hanno un impatto tre volte maggiore rispetto a ciò che vediamo, già drammaticamente, alle nostre latitudini. E ciò colpisce anche l’Italia. Ma ciò che ancora non vediamo sono i cambiamenti politici e strategici nella regione”, afferma Leonardo Parigi, fondatore e direttore di Osservatorio Artico.
“I cinque Paesi costieri dell’Artico – Russia, Canada, Stati Uniti, Danimarca e Norvegia – hanno in mano una buona fetta della sicurezza globale prossima ventura. Lo scioglimento progressivo dei ghiacci e la trasformazione radicale dell’intera regione apre scenari completamente nuovi: turismo, investimenti, rotte commerciali, energia. E anche la possibilità che nell’Artico possano manifestarsi aspri conflitti armati”.
“L’Italia è un membro osservatore dell’Arctic Council, abbiamo una forte connessione col mondo polare anche per ragioni storiche. E in questo contesto geopolitico particolare, il ruolo del consesso internazionale del Consiglio Artico, proprio per la sua natura diplomatica, è importante perché getta ponti di conoscenza, scambio di dati e informazioni, condivisione sulla ricerca scientifica”, ha affermato il Ministro Carmine Robustelli.
Tema ripreso anche dall’Ambasciatore norvegese Johan Vibe, che ha sottolineato come la presidenza norvegese del Consiglio, attualmente in corso, è complessa per le evidenti ragioni politiche internazionali, ma rappresenti anche uno sprone anche per ritrovare una cooperazione internazionale, cruciale per la salvaguardia ambientale e la ricerca scientifica.
Tra cooperazione e rischio di conflitti
Ma oltre alla cooperazione e alla diplomazia, le attività militari della Russia e le volontà geopolitiche cinesi sono state al centro del festival di Osservatorio Artico, prima rivista italiana dedicata al mondo polare. “La Cina si considera come uno stato quasi-artico, e quindi non possiamo che considerare anche l’Asia nel suo se valutiamo le implicazioni economiche e le decisioni politiche che riguardano il futuro dell’area”, sottolinea Marco Volpe, in collegamento da Seul.
Sviluppo sostenibile e ricerca scientifica, ma anche la crescita del rischio di conflitti e lo stravolgimento delle economie regionali. Temi affrontati anche da Lorenzo Pellerano (Camera Vernetti Shipping Lawyers), Alberto Pera (AdSP Mar Ligure Occidentale), Roberto Minerdo (ISTNAV-ONTM) e Giuseppe Zagaria (RINA) per la parte di apertura delle rotte marittime commerciali a Nord, che impegnano già da anni miliardi di dollari di sviluppo portuale al largo delle coste russe.
E che non possono che toccare le comunità indigene dell’area, “che oggi rischiano di vedersi snaturate rispetto al mondo tradizionale”, come dice Gianluca Frinchillucci (Museo polare “Silvio Zavatti”), ma che “possono essere integrate in processi virtuosi di crescita sostenibile, anche in contesti minerari e di sfruttamento delle risorse”, come racconta Giulio Galleri, esperto del settore Oil&Gas in Canada.
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