Ambiente e sostenibilità sono oggi temi primari, ma molto è cambiato negli ultimi anni. Per sapere come, abbiamo intervistato Andrea Bettini, divulgatore di RaiNews24.
Dal ghiaccio polare alle foreste amazzoniche, dalla desertificazione alle tempeste. Il clima intorno a noi sta mutando, e la natura sembra essere ormai fuori controllo. Andrea Bettini, classe ’81, è giornalista di RaiNews24, dove cura e conduce Futuro24, il programma settimanale dedicato a scienza e innovazione.
Ambiente e sostenibilità sono passati da essere temi naif a essere i primi punti delle agende politiche mondiali. Come trovi sia cambiata la narrazione sull’ambiente nel corso degli ultimi anni sui media?
«L’ambiente e la sostenibilità un tempo erano soprattutto temi trattati in contenitori specifici e programmi di approfondimento di nicchia. Ormai si è capito che sono tematiche trasversali, che riguardano ogni aspetto della nostra vita e della società. L’economia, la salute, persino gli equilibri politici mondiali dipendono da come trattiamo e tratteremo il nostro pianeta. Di conseguenza se ne parla molto più spesso e in contesti molto differenti.
Prevale la narrazione dell’emergenza, anche perché oggettivamente la principale questione ambientale – quella relativa ai cambiamenti climatici – è proprio questo: un’emergenza globale, con le anomalie termiche più accentuate nell’Artico come drammatico esempio di quello che potrebbe accadere anche alle nostre latitudini. Noto però anche una crescente presenza del “giornalismo costruttivo”, che oltre a denunciare i problemi prova anche di indicare possibili soluzioni. È quello che cerchiamo di fare anche in “Futuro24”, il programma settimanale sulla scienza che curo su RaiNews24».
Sostenibilità è senza dubbio una delle parole del nostro tempo. Quanto c’è di reale, in quello che trovi a livello lavorativo, e quanto invece è il cosiddetto “greenwashing”?
«Dipende dagli interlocutori e dal tema di cui ci si sta occupando. La tentazione di migliorare la propria immagine con un ambientalismo di facciata ci può ovviamente essere, in particolare per chi opera in settori presi particolarmente di mira. Capita che qualcuno provi a enfatizzare alcuni aspetti della propria attività e a sorvolare su altri. L’importante è esserne consapevoli quando si interagisce con gli uffici stampa e con gli intervistati».
Il tema dell’Artico, in Italia, sta crescendo sempre di più. E non solo per quanto riguarda l’ambiente. Eppure il tema del surriscaldamento e del cambiamento climatico fatica ancora a imporsi in maniera seria. Abbiamo un problema con la scienza?
«Se guardiamo alle pubblicazioni scientifiche degli ultimi decenni, i climatologi hanno avuto un’eccezionale capacità di prevedere l’evoluzione della temperatura del pianeta. Ci hanno avvertito con largo anticipo ma il mondo intero non li ha ascoltati a sufficienza. Il nostro paese ha una lunga tradizione nello studio dell’Artico, che oggi si concretizza soprattutto nell’attività della base “Dirigibile Italia” del CNR sulle Isole Svalbard e nelle campagne di ricerca in mare, come “High North” della Marina Militare e quella condotta la scorsa estate dalla rompighiaccio Laura Bassi dell’OGS.
Più conosciamo l’Artico, anche grazie al contributo degli scienziati italiani, più l’Artico ci mostra quanto possa essere considerevole l’impatto dei cambiamenti climatici. Credo che la grande maggioranza della popolazione italiana non metta in dubbio quanto dice la scienza, cioè che l’uomo è il responsabile del riscaldamento globale. Rimane una percentuale minoritaria ma comunque significativa di persone che preferisce credere a teorie che non hanno basi scientifiche. La colpa è anche di fake news e disinformazione diffuse ad arte, per qualche clic in più o per interessi economici ben più rilevanti. Sono fenomeni molto dannosi soprattutto quando frenano l’introduzione di misure a tutela dell’ambiente».
Lo Spazio, vedendo il tuo profilo Twitter, è certamente uno dei tuoi argomenti prediletti. Quanto è complesso raccontare un tema così a un pubblico eterogeneo come quello televisivo?
«L’aspetto più complesso è far capire a tutti quanti vantaggi offrano gli investimenti nel settore spaziale. Una delle critiche più comuni è: “Con tutti i problemi che abbiamo, perché spendere soldi per andare nello spazio?”. Bisogna spiegare che quando si parla di spazio si parla di ricerca, di tecnologia e di innovazione. Oltre ad aprirci nuovi orizzonti, andare nello spazio porta grandi benefici alla nostra vita sulla Terra. Parlando di Artico, pensiamo ad esempio a quante informazioni abbiamo sull’ambiente e sui ghiacci marini grazie ai satelliti per l’osservazione della Terra, a quanto siano utili i satelliti per chi naviga in acque polari, a quanto servano le comunicazioni satellitari per chi ha un’emergenza in regioni remote come quelle alle alte latitudini».
Quanto pensi che pesi la drammaticità delle notizie ambientali, sull’interesse (o il disinteresse) della popolazione sul tema?
«Solo nella scorsa estate abbiamo visto incendi terribili nell’Ovest degli Stati Uniti e in Siberia, punte di 48 gradi in Sicilia, quasi 50 gradi in Canada: stiamo assistendo a fenomeni di dimensioni quasi impensabili fino a qualche anno fa. È normale che questi disastri calamitino l’attenzione. Credo tuttavia che l’interesse sul tema sia reale e non sia legato esclusivamente a drammatici eventi di cronaca. La straordinaria mobilitazione dei giovani negli ultimi anni è la manifestazione più evidente di una graduale presa di coscienza collettiva, che sta avvenendo anche grazie all’impegno nella divulgazione di tanti scienziati e al lavoro di molti giornalisti scientifici. Mi auguro che a questo seguano anche cambiamenti negli stili di vita e interventi rapidi ed efficaci a livello istituzionale: il tempo a disposizione per evitare le conseguenze peggiori del riscaldamento globale purtroppo è sempre meno».
Leonardo Parigi
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