Inquinamento atmosferico da navigazione marittima nell’ecosistema artico: note di cooperazione internazionale nella regione nel campo del diritto internazionale dell’ambiente
Il seguente lavoro intende fornire elementi di studio per l’analisi della cooperazione nella regione artica, al fine di stabilire un regime giuridicamente vincolante che tenga conto del controllo e della conseguente riduzione dell’inquinamento atmosferico causato dal trasporto marittimo nell’area. È importante comprendere l’importanza strategica del territorio nel trasporto marittimo internazionale, grazie alla recente apertura di nuove rotte polari che aumenteranno i livelli di interscambio commerciale e transito delle navi nell’Artide. Alla luce di ciò, la comunità internazionale è sollecitata nello sforzo collettivo di stabilire un corpus di norme giuridicamente vincolanti che tengano conto delle emissioni delle navi che transitano nel territorio. Il lavoro analizzerà non solo gli sviluppi più recenti di cooperazione per quanto concerne i regimi giuridici di tutela ambientale nello spazio artico legata alle emissioni di sostanze inquinanti, quanto cercherà di comprendere gli elementi ostativi che ancora minano l’adozione di norme vincolanti in tale area.
Una riflessione conclusiva sarà infine dedicata ai possibili elementi di cooperazione nell’Artico per stabilire dispositivi normativi in linea con i principi di diritto internazionale dell’ambiente al fine di prevenire l’inquinamento atmosferico nell’area.
Dalla scienza al diritto: l’inquinamento dell’Artico e le sue ripercussioni nell’ambito giuridico
La regione artica rappresenta al momento un’area geopolitica di notevole interesse dal punto di vista della comunità internazionale. La sua importanza è data da innumerevoli fattori, che a partire da un concetto di base, la fragilità del territorio legata al conseguente scioglimento dei ghiacciai, stimola il dibattito in numerose aree di studio: dall’area economica a quella politica, dall’interesse scientifico a quella di tutela giuridica del territorio.
È proprio quando si parla della cooperazione, articolata nel campo del diritto internazionale, che emergono elementi di studio particolarmente interessanti. Le esigenze del diritto internazionale dell’ambiente devono infatti tenere conto di un concetto di sovranità territoriale ben definita, con una netta differenziazione dal regime giuridico della res communis con cui si va a connotare l’area opposta del globo, ossia il territorio antartico. A tal proposito, l’interesse della comunità internazionale di un ambito di cooperazione sul territorio deve tenere prima facie conto della volontà degli stessi Stati artici di cooperare in questo territorio. Gli ambiti di tutela e di protezione ambientale dell’Artico sono sottoposti quindi ad una condicio di cooperazione degli attori primari della regione, gli stati artici, per poi essere esteso agli altri soggetti della comunità internazionale.
È anzitutto importante considerare che l’Artico sia oggetto di mutazioni climatiche significative. In questo senso, il fenomeno dello scioglimento dei ghiacciai è particolarmente importante. Gli ecosistemi artici, il clima e le popolazioni autoctone sono colpiti dall’inquinamento atmosferico proveniente da fonti remote e locali. Va infatti considerato che una serie di cambiamenti negli inquinanti atmosferici come le particelle di aerosol e la zona troposferica influenzano l’equilibrio delle radiazioni atmosferiche e contribuiscono al riscaldamento del clima artico.
Lo scioglimento dei ghiacciai crea come diretta conseguenza una maggiore accessibilità delle navi nello spazio artico, con un conseguente aumento dell’inquinamento atmosferico da attività come l’estrazione di petrolio e gas presenti sul territorio o il trasporto marittimo. La cooperazione scientifica al momento ha ricostruito con cura i possibili danni ambientali dell’area, con il particolare ruolo propulsivo del Progetto Internazionale di Chimica Atmosferica Globale (International Global Atmospheric Chemistry project; IGAC) con un progetto relativo all’inquinamento atmosferico nell’Artico: clima, ambiente e società (PACES), che è stato recentemente lanciato a seguito del riconoscimento all’interno della comunità internazionale. Inoltre, merita un breve cenno scientifico anche il dato inerente al fatto che la maggior parte del carburante consumato dalle navi che operano nell’Artico (57%) è olio combustibile pesante (Heavy Fuel Oil, HFO). La combustione di HFO crea particolato (incluso il carbonio nero) che è noto per aumentare il tasso di scioglimento del ghiaccio nel mare artico.
L’Organizzazione Marittima Internazionale ha pubblicato un documento nell’aprile 2018 allo scopo di delineare le misure di mitigazione per monitorare i rischi associati all’HFO, sulla base della valutazione d’impatto ambientale (VIA), già nota come principio giuridicamente vincolante del diritto internazionale. Nella 72esima sessione del Comitato per la Protezione dell’Ambiente Marino (Marine Environment Protection Committee, MEPC) tenutasi il 9-13 aprile 2018, la commissione ha adottato una strategia iniziale per la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra (Greenhouse Gases, GHG) delle navi, in linea con la sua visione globale di riduzione delle emissioni di gas inquinanti causati dalla navigazione internazionale.
La strategia include un riferimento specifico a un percorso di riduzione delle emissioni di CO2 coerente con gli obiettivi di riduzione della temperatura già previsti dall’Accordo di Parigi. Il Comitato, tuttavia, è chiaro che prima di lavorare su queste misure sviluppate, tenga conto della Convenzione di MARPOL che in tal senso costituisce la base giuridica su cui strutturare un dibattito internazionale volto a monitorare e ridurre le emissioni di sostanze inquinanti nell’Artico. A seguito delle discussioni, il Comitato per la Protezione dell’Ambiente Marino ha preso in considerazione la possibilità di incaricare il sottocomitato per la prevenzione e la risposta all’inquinamento (Pollution Prevention and Response, PPR) di preparare una proposta per un possibile divieto dell’uso e del trasporto di HFO come combustibile per le navi nell’Artide e che la proposta dovrebbe basarsi su una valutazione d’impatto di un divieto delle comunità artiche.
Nel recente MEPC di maggio 2019, tuttavia, il Comitato non ha affrontato la questione dell’inquinamento dell’Artico in modo incisivo, al punto di sollevare dissensi da coloro che si aspettavano che venisse implementata la portata di tutela ambientale dell’Artico sotto una prospettiva internazionale. Non è stata entusiasta la Clean Arctic Alliance, che ha espresso la sua frustrazione per quella che viene descritta come “l’incapacità degli Stati membri di affrontare il rischio per l’Artico derivante dalle emissioni di carbonio nero dalle spedizioni internazionali”, riferendosi a una proposta della Clean Shipping Coalition – coalizione che ha lo status di osservatore presso l’IMO – e membro della Clean Arctic Alliance Pacific Environment affinché le navi smettano immediatamente di usare l’HFO a causa delle sue emissioni di carbonio nero nella regione Artica. È stato tuttavia riconosciuto che “vi è stata una certa consolazione che, alla chiusura della riunione, si è convenuto di presentare proposte concrete per l’esame della prossima riunione del sottocomitato” Prevenzione e risposta all’inquinamento “(PPR7), prevista nel Febbraio 2020.
Tuttavia, è sempre volontà degli attori statali presenti sul territorio determinare il livello di controllo e le aree di cooperazione in materia di protezione dell’ecosistema artico. Da un punto di vista ambientale, sembra appropriato definire un ambio di tutela giuridica volta all’attuazione di una strategia per eliminare l’HFO dall’Artico. A questo proposito, il Canada e le Isole Marshall si sono dimostrate in grado di effettuare un’operazione congiunta nell’Artico per valutare gli impatti economici e di altro genere sulle comunità artiche. Questo rappresenta il primo progetto congiunto tra uno stato artico ed un altro soggetto della comunità internazionale volto a favorire un ambito di cooperazione internazionale al fine di prevenire e monitorare i danni ambientali nell’area artica.
È inoltre da tener presente che tali ambiti di cooperazione restano comunque subordinati agli spazi rientranti nella sovranità degli Stati che prendono parte a progetti di questo tipo, estendendosi in questo caso il monitoraggio dell’area solo alla porzione artica rientrante nell’ambito di sovranità canadese. In assenza di una volontà congiunta della totalità degli Stati artici, gli ambiti di cooperazione restano dunque sottoposti ad un vuoto giuridico impossibile da colmare.
D’altro canto, è importante sottolineare che in Antartide l’uso e il trasporto di HFO è vietato dal 2011. Gli emendamenti alla Convenzione MARPOL dell’IMO per la prevenzione dell’inquinamento provocato dalle navi sono entrati in vigore il 1 ° agosto 2011, vietando l’HFO nell’Antartico. Infatti, un nuovo regolamento MARPOL per proteggere l’Antartico dall’inquinamento provocato dagli oli pesanti è stato aggiunto all’Allegato I (Regolamento per la prevenzione dell’inquinamento da petrolio), con un nuovo capitolo 9 sui requisiti speciali per l’uso o il trasporto di oli nella zona antartica.
Come afferma il regolamento 43, esso vincola le navi che commerciano nella zona, siano esse passeggeri o navi mercantili, a passare a un tipo di carburante diverso quando transitano nell’area antartica, definita come “l’area del mare a sud di 60°S di latitudine”. È prevista un’eccezione per le navi impegnate a garantire la sicurezza delle navi o in un’operazione di ricerca e salvataggio
Il futuro della cooperazione artica: il ruolo del diritto internazionale dell’ambiente
Come è emerso finora, le basi legali per proteggere l’Artide dall’inquinamento atmosferico causato dal trasporto marittimo sono relativamente modeste. Ciò si scontra soprattutto con la cooperazione scientifica in questo settore, che invece sembra essere particolarmente sviluppata. Infatti, se da un lato la ricerca, la catalogazione e lo studio dell’inquinamento dell’Artico registrano sviluppi costanti da una prospettiva scientifica, attualmente la comunità internazionale stenta ancora nell’attuazione di un’area di protezione legale che attui misure giuridicamente vincolanti al fine di prevenire l’inquinamento dovuto al passaggio delle navi nella zona.
È ben noto che le aree di cooperazione interstatale nell’Artide presentino un livello di complessità assai più elevato della situazione che si trova nell’Antartide, che, rimosso dalla sovranità degli Stati, rimane un patrimonio comune dell’umanità ugualmente condiviso da tutti gli Stati. L’Artico ha una situazione molto diversa. In effetti, il territorio non è solo condiviso dagli Stati costieri che si trovano ad esercitare una sovranità esclusiva all’interno delle proprie aree di giurisdizione nazionale, ma è anche un crocevia economico di scambi commerciali di fondamentale importanza. Lo scioglimento dei ghiacciai sta infatti aprendo la strada a nuove rotte commerciali artiche, pronte per essere sfruttate da alcuni Stati presenti nell’area al fine di aumentare il loro potere economico e geopolitico a livello globale.
Se quindi l’Artide non può essere sottoposto ad un’internazionalizzazione come nel caso del polo opposto, resta importante definire misure di diritto internazionale dell’ambiente che tengano conto del rischio d’inquinamento ambientale dell’area e del potenziale degradamento dell’Artico. Il ruolo propulsivo dell’Organizzazione Marittima Internazionale è fondamentale nel valorizzare l’impegno del Comitato per la Protezione dell’Ambiente Marino nel monitoraggio dell’inquinamento regionale e nell’adozione di strumenti giuridici di cooperazione condivisa nel settore. In linea con l’obbligo di prevenzione nell’adozione di misure preventive necessarie ad impedire la realizzazione di attività che rechino gravi pregiudizi transfrontalieri, in tal caso legati all’inquinamento aereo da parte di sostanze chimiche, l’ambito di cooperazione dovrebbe avvalersi di un approccio ibrido, che tenga conto di accordi di cooperazione in materia ambientale sia bilaterali che multilaterali, tenendo conto della volontà degli Stati costieri, i quali restano i principali attori regionali, ma che si avvalga dell’expertise e di ambiti di cooperazione anche con altri Stati non artici con cui avviare progetti di cooperazione scientifica nella regione.
Un nuovo capitolo all’Allegato I (Regolamento per la prevenzione dell’inquinamento da petrolio) e all’Allegato VI (Prevenzione dell’inquinamento atmosferico emesso dalle navi) dovrebbe considerare un nuovo regime giuridico che monitori l’inquinamento atmosferico e vieti l’utilizzo di carburanti inquinanti nella regione. Il ruolo propulsore del Consiglio Artico è in tal caso fondamentale, grazie al ruolo dei sei Working Group dell’organizzazione internazionale nell’incentivare l’adozione di un emendamento congiunto in tale ambito. L’adozione di dispositivi normativi efficaci nell’eliminazione dell’inquinamento atmosferico emesso dalle navi potrebbe portare anche alla creazione di una Emission Controlled Area (ECA), che definisce speciali “Aree di controllo delle emissioni di SOx” (SECA) con controlli più rigorosi sulle emissioni di zolfo. In queste aree, il contenuto di zolfo nell’olio combustibile usato a bordo delle navi non deve superare l’1,5% m/m. In alternativa, le navi devono installare un sistema di depurazione dei gas di scarico o utilizzare altri metodi per limitare le emissioni di ossidi di zolfo (SOx).
L’istituzione di un’ECA nell’area artica determinerebbe un netto avanzamento nell’ambito della tutela ambientale della regione, poiché come è noto sono poche le aree SECA esistenti a livello globale; includendo il Mar Baltico (SOx, adottato nel 1997; applicato nel 2005) e il Mare del Nord (SOx, adottato nel 2005/2006 nel luglio 2005; applicato nel 2006), l’ECA nordamericana, compresa la maggior parte degli Stati Uniti e la costa canadese (NOx e SOx, 2010/2012) e l’area ECA dei Caraibi degli Stati Uniti, compresi Puerto Rico e le Isole Vergini americane (NOx e SOx, 2011/2014).
Il danno dell’inquinamento atmosferico, come visto, ha anche un impatto diretto sulle comunità indigene stanziate sul territorio. In tal senso, è pacifico concludere che l’attività inquinante non determina soltanto gravi pregiudizi a livello ambientale, ma determina inoltre un pericolo per la vita degli individui stanziati sul territorio. Nella sua visione trasversale, l’adozione di strumenti normativi in linea con le disposizioni giuridiche del diritto internazionale dell’ambiente troverebbe un elemento congiunturale con gli obiettivi di sviluppo sostenibile, che tengono conto proprio di un regime di coesistenza tra attività economiche, tutela dell’ambiente e protezione degli individui. Un efficace ambito di tutela da inquinamento atmosferico garantirebbe strumenti di mitigazione del cambiamento climatico nell’Artide e avrebbe esternalità positive anche sulle comunità indigene sempre più minacciate negli ultimi anni di sopravvivenza nell’area polare a causa dello scioglimento dei ghiacciai.
In ultima istanza, si potrebbe concludere che l’Artico resta un territorio che suscita l’interesse dell’intera comunità internazionale, la quale però non riesce a tutelare efficacemente questo territorio da eventuali danni ambientali causati dalla navigazione marittima internazionale. Se l’Artide si sottrae alla definizione di un territorio comune aperto alla libera cooperazione internazionale, come nel caso opposto può dirsi per l’Antartide, è importante che esso vada però a connotarsi come area di “interesse comune”. Per interesse comune, si intende un’area nella quale le problematiche ambientali “sono sottratte all’esclusiva gestione dei singoli Stati a prescindere da questioni di sovranità, perché sono considerate di interesse di tutta la Comunità Internazionale”.
In tal senso il concetto di interesse comune, se applicato correttamente nella regione artica, non lede la sovranità degli Stati sulle proprie risorse, tuttavia andrebbe ad incidere sulla domestic jurisdiction, inducendo gli attori statali ad uno spirito di cooperazione internazionale nell’area. Attraverso l’applicazione di questo concetto, già utilizzato nel caso degli accordi inerenti ai cambiamenti climatici e nella protezione delle biodiversità, esso va a determinare un ambito di cooperazione internazionale, rationae materiae o rationae loci che, pur iscrivendosi in una logica di sovranità statale ben definita, sancisce l’universalità della problematica ambientale e la colloca in una prospettiva più ampia e internazionalmente rilevante.
Francesco Gaudiosi
Francesco Gaudiosi è dottorando in Diritto Internazionale all’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. Laureato con lode e menzione in International Relations alla Federico II di Napoli, i suoi interessi di studio riguardano il diritto dell’ambiente, lo sviluppo sostenibile e la tematica artica. Dal 2018 gestisce le attività editoriali del CSI- Centro Studi Internazionali in qualità di chairman.
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