Il gigante asiatico è membro osservatore del Consiglio Artico e sta aumentando i propri investimenti nella regione. Perché e come l’India si affaccia al Grande Nord
Nel marasma geopolitico internazionale c’è una voce che si fa sempre più grossa, che gioca su più tavoli e con più attori, e che si candida a diventare uno dei protagonisti del ventunesimo secolo. Fra i tanti dati che si possono citare sull’espansione dell’India, ne basta uno: dallo scorso anno è il Paese più popolato al mondo, dopo aver superato la Cina.
Il gigante asiatico è membro osservatore del Consiglio Artico e sta aumentando i propri investimenti nella regione. La regione Artica, con le sue risorse naturali e le opportunità che deriveranno dall’apertura di nuove rotte, è da tempo di notevole interesse per la politica indiana, nonostante la scarsa prossimità geografica.
Il rapporto dell’India con l’Artico inizia nel febbraio 1920, quando fu firmato a Parigi il Trattato delle Svalbard, che pose fine alla lunga diatriba legale sulla giurisdizione internazionale delle isole, riconoscendo la sovranità alla Norvegia, pur con una serie di limitazioni e con l’obbligo di demilitarizzazione dell’arcipelago.
La prima spedizione scientifica indiana risale invece al 2007, allo scopo di avviare studi nel campo della microbiologia artica, delle scienze atmosferiche e della geologia. L’anno successivo è stata poi fondata la stazione di ricerca Himadri a Ny-Ålesund.
Nel 2014, il primo osservatorio indiano multi-sensore ormeggiato, IndArc, è stato dispiegato a Kongsfjorden, nelle Svalbard. Infine, a Gurvebadet l’India ha istituito il suo laboratorio atmosferico più settentrionale nel 2016.
Insieme a Cina, Giappone, Corea del Sud e Singapore, l’India è stata uno dei cinque Paesi asiatici a ricevere lo status di osservatore nel Consiglio Artico nel 2013. L’India è inoltre membro del Ny-Ålesund Science Managers Committee (NySMAC) e dell’International Arctic Science Committee (IASC). La partecipazione dell’India al Consiglio Artico in qualità di osservatore permanente ha aumentato l’ambizione politica ed economica indiana nella regione, sino ad allora limitata alla ricerca scientifica.
Si è giunti così, a marzo 2022, alla pubblicazione di un documento strategico da parte del governo indiano. Il dossier “India’s Arctic Policy: building a partnership for sustainable development” fissa i sei pilastri dell’azione indiana nell’Artico: scienza e ricerca, protezione del clima e dell’ambiente, sviluppo economico e umano, trasporti e connettività, governance e cooperazione internazionale e sviluppo delle capacità nazionali.
Ma la ricerca scientifica nell’Artico resta un motivo cardine della presenza indiana a nord del circolo polare: lo scopo dei ricercatori indiani è quello di osservare i ghiacciai artici e studiarne lo scioglimento, in un programma polare interconnesso che comprende attività nell’Artico, nell’Antartico e nell’Himalaya.
L’India comprende gran parte dell’Himalaya, che viene spesso definita il Terzo Polo perché i ghiacciai e i nevai delle sue montagne immagazzinano più acqua ghiacciata che in qualsiasi altra parte del mondo, eccetto Artico e Antartico. Il drastico scioglimento dei ghiacciai e i suoi gravi effetti costituiscono quindi una seria preoccupazione per l’India.
Nel documento programmatico, si parla chiaramente dell’impatto del cambiamento climatico sull’economia e dei suoi effetti sulla resa delle colture estive come riso, legumi e soia, che contribuiscono a quasi il 50% della produzione alimentare indiana, totalmente dipendente dal ciclo dei monsoni e dalle acque glaciali che alimentano il sistema fluviale.
L’India, con oltre 1,4 miliardi di cittadini, che rappresentano il 18% della popolazione mondiale, non può quindi permettersi di mettere a repentaglio la propria sicurezza alimentare, idrica ed economica.
Sebbene gli effetti dei cambiamenti nell’Artico sul clima, sulla temperatura e sugli ecosistemi globali, non siano ancora del tutto noti, è chiaro che questi cambiamenti potrebbero avere implicazioni significative per i modelli climatici e la biodiversità in tutto il mondo. L’India riceve più del 70% delle precipitazioni annuali durante la stagione dei monsoni, i venti caldi e umidi che soffiano da sud ovest portando con sé la stagione delle pioggie.
I monsoni hanno un impatto diretto sull’agricoltura indiana, che costituisce il principale mezzo di sostentamento per il 60% degli abitanti del Paese. Di conseguenza, uno dei principali obiettivi del programma artico indiano è quello di monitorare i fiordi e le acque costiere per un lungo periodo di tempo, al fine di comprendere gli effetti del cambiamento climatico e le sue connessioni con fenomeni come il monsone indiano.
Lo scioglimento dei ghiacci porta poi con sé un ulteriore fattore di rischio, causato dall’innalzamento del livello del mare: le oltre 1300 isole dell’arcipelago indiano e le città costiere vedranno assottigliarsi le proprie coste e porteranno grossi disagi in aree densamente popolate, non solo in India ma anche nei paesi limitrofi come il Bangladesh. Gli effetti devastanti potrebbero costringere alla migrazione decine di milioni di abitanti di queste aree costiere.
Sebbene finora l’attenzione dell’India sia stata rivolta principalmente alla ricerca scientifica e ai cambiamenti climatici, la nuova politica artica ha aumentato l’impegno verso altri interessi economici e strategici, cercando di bilanciare nella strategia artica il proprio fabbisogno energetico, il cambiamento climatico e la geopolitica globale.
Un quarto delle riserve mondiali di terre rare si trova nella sola Groenlandia. Inoltre, l’Artico è ricco di idrocarburi, e secondo alcune stime potrebbe costituire la più grande area geografica inesplorata per l’estrazione di petrolio rimasta sulla Terra e conterrebbe il 30% di gas naturale non scoperto.
Il delicato equilibrio ambientale della regione potrebbe però essere sconvolto da una corsa all’estrazione, andando a causare quegli stessi effetti avversi che l’India si prefigge di combattere. La strategia indiana non ammette direttamente questo dilemma, ma promette vagamente di avviare attività economiche che seguano i principi della sostenibilità ambientale, economica e sociale, che generino valore ai residenti dell’Artico e alle comunità indigene.
È interessante però notare che l’azienda indiana di petrolio e gas, ONGC Videsh, nel 2001 (sette anni prima dell’inizio del programma artico dell’India, ndr) aveva stretto un’alleanza con Rosneft, la compagnia petrolifera di proprietà russa, per collaborare nella conduzione di indagini geologiche e attività di esplorazione sulla piattaforma continentale della Federazione Russa, includendo la regione artica e subartica. Dopo quasi un decennio, nel 2015 la partecipazione del 15% di ONGC Videsh nei giacimenti petroliferi di Vankor ha collocato l’India sulla mappa energetica dell’Artico.
La collaborazione in missioni esplorative è il mezzo con cui l’India aspira a rafforzare le proprie partnership con gli Stati artici, e al contempo tenere un piede nella corsa alle risorse. Ma minerali e fossili non sono l’unico interesse: la strategia indiana prevede il vaglio di opportunità di investimenti in infrastrutture quali piattaforme offshore, porti, ferrovie, aeroporti e infrastrutture di telecomunicazione, a testimonianza del fatto che l’Artico è un’area di interesse strategico a tutto tondo. Ma l’India non è, ovviamente, l’unico colosso del continente asiatico ad essersi accorto delle potenzialità della regione.
Anche il coinvolgimento cinese nella regione è aumentato in modo significativo e, nonostante l’argomento non venga affrontato nel documento strategico indiano, la proiezione della Cina come “Stato quasi-Artico” e il suo desiderio di costruire la Via della seta polare rendono impossibile ignorare l’elefante – o il dragone – nella stanza. L’India teme che la Cina si impadronisca delle rotte commerciali del Nord, eliminando così la sua dipendenza dallo Stretto di Malacca, erodendo la capacità indiana sul controllo delle rotte.
A causa della sua posizione geografica, l’India potrebbe non avere lo stesso interesse diretto per il passaggio della Northern Sea Route (NSR), ma la policy governativa riconosce il potenziale della rotta del Mar Glaciale Artico e la sua possibilità di sostituire in futuro la rotta convenzionale del Canale di Suez.
Per questo motivo il Corridoio Internazionale di Trasporto Nord-Sud (INSTC), un corridoio multimodale per le merci, è promosso come alternativa alla rotta del Canale di Suez e alla Via della Seta Polare cinese, con costi di spedizione ridotti e un minor numero di giorni di trasporto.
Il progetto, firmato nel 2002 insieme a Russia e Iran, è stato rilanciato di recente e la policy indiana ne promuove la necessità per lo “sviluppo complessivo dell’entroterra e delle comunità indigene, più che per la connettività est-ovest”. La rotta potrebbe rappresentare un valido corridoio di trasporto per l’India, soprattutto per la ricezione delle risorse petrolifere e di GNL russe.
Mentre il ghiaccio si scioglie e apre nuove vie di navigazione, l’India non ha quindi intenzione di stare a guardare e ha iniziato a consolidare il rapporto con la Russia sullo sviluppo della NSR, anche attraverso la costruzione di navi rompighiaccio. Gli investimenti indiani nel settore del petrolio e del gas russo sono aumentati considerevolmente, a dimostrazione che la neutralità indiana nel conflitto tra Russia e Ucraina sta portando benefici al gigante asiatico.
Cooperazione allo sviluppo sostenibile e ricerca scientifica sono le parole chiave che appaiono nella strategia governativa indiana. Ma c’è molto di più nell’interesse dell’India nell’Artico, a partire dalle risorse energetiche che fanno molta gola a quello che è diventato, lo scorso anno, il paese più popolato al mondo, superando proprio la Cina.
La crescente presenza indiana in Artico e il rafforzamento dei rapporti con la Russia nella regione denotano la volontà di ostacolare lo sviluppo cinese ed evitare che le nuove rotte artiche giochino troppo a favore della rivale Repubblica Popolare.
Una traiettoria costante della politica estera indiana attuale è il tentativo di mantenere la partnership sia con gli Stati Uniti che con la Russia, senza diventare un alleato di nessuno dei due. L’India sta comprendendo l’evoluzione delle dinamiche geopolitiche regionali e internazionali, l’attuale crisi innescata dall’invasione russa dell’Ucraina e il complessivo mutamento dell’ordine mondiale. Il colosso guidato da Narendra Modi sta così mantenendo una posizione ambigua, presentandosi come partner degli Stati Uniti nella competizione con la Cina ma contemporaneamente avvicinandosi alla Russia per il proprio approvvigionamento energetico.
Fa ben sperare l’enfasi sulla cooperazione internazionale nei settori della ricerca, dell’economia, dello sviluppo sostenibile, del rafforzamento delle capacità in ambito legale, sociale, politico e di governance e altro ancora. L’India è infatti, per le sue caratteristiche, ancora un “gigante buono” dentro l’anarchico gioco delle grandi potenze. Non a caso la strategia cita in conclusione la filosofia vedica del “Vasudeva Kutumbakam”, che significa “il mondo è una famiglia”. Sperando non sia solo un vuoto proclama.
Enrico Peschiera
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