Le condizioni climatiche e le alte temperature aumentano considerevolmente il rischio di incendi in Canada e nell’Artico.
Le immagini di una New York ammantata da una coltre arancione, conseguenza dei fumi provenienti dai recenti incendi in Canada, hanno presto fatto il giro del mondo. Gli alti livelli di allerta per la salute hanno portato nel frattempo diverse autorità politiche disseminate tra Stati Uniti e Canada a richiedere la sospensione delle attività all’aperto (da quelle scolastiche alla raccolta dei rifiuti e manutenzione delle strade) e al ritardo o alla cancellazione dei voli.
Partiti dalle province canadesi della British Columbia e Alberta, gli incendi hanno raggiunto anche la costa occidentale canadese, portando fuliggine e particolato fino alla East Coast e al Midwest, raggiungendo la capitale Washington e arrivando a nord fino ai Northwest Territories canadesi. Gli effetti dei roghi, seppur con livelli molto più contenuti, sono previsti anche in Islanda e Norvegia, come avverte il Climate and Environmental Research Institute norvegese.
Gli incendi di maggio e giugno saranno con molta probabilità un precedente destinato a ripetersi nel teatro artico. Il consenso scientifico ha dimostrato come temperature più alte della media ed estati sempre più secche comportino non solo un aumento del numero dei roghi alle alte latitudini, ma anche una maggiore intensità degli incendi e la probabilità che questi divampino in aree finora meno esposte, salendo sempre più a nord e ponendo nuovi imprevisti alla politica degli stati artici, anche di partner di lunga durata come Stati Uniti e Canada.
Gli incendi primaverili-estivi nella foresta boreale canadese non sono un fenomeno nuovo. È pericolosamente nuovo, tuttavia, il fatto che siano scoppiati contemporaneamente in diverse aree del territorio canadese, così come è inusuale l’anticipo dell’avvio della stagione degli incendi (tradizionalmente sul versante occidentale). Secondo le stime, sono bruciati circa 3,3 milioni di ettari e 120.000 persone sono state evacuate.
Amplificati dal cambiamento climatico, gli incendi lo intensificano a propria volta, con effetti che diventano ancor più macroscopici nella regione artica. La presenza di fuliggine sulle superfici bianche, infatti, diminuisce l’albedo della superficie terrestre, provocando di conseguenza un aumento ulteriore della temperatura; a questo si aggiunge l’immissione di alti livelli di carbonio nell’atmosfera derivanti dalla combustione di materiale organico.
Con un aumento degli incendi, questo ciclo vizioso è destinato ad aggravarsi: il fatto che l’ondata di incendi canadese di maggio-giugno 2023 non sembri finora aver direttamente contribuito a tale fenomeno (quantomeno nell’Artico), ciò non è da escludersi con il protrarsi dei prossimi mesi e con la possibilità, sempre più alta, che l’ondata di incendi arrivi sempre più a nord, come già si è verificato in Siberia.
La vulnerabilità delle infrastrutture civili e militari, così come i danni alla salute dei cittadini, sono considerati nel giovane ambito della sicurezza climatica come minacce dirette alla sicurezza nazionale di uno Stato. Il dramma di questi mesi è, ancora una volta, una chiave per la comprensione di uno scenario politico e strategico sempre più complesso.
Da anni, si sottolinea come le infrastrutture militari americane nella zona settentrionale del continente siano a rischio (anche) di incendi dovuti al cambiamento climatico, ma senza aver dispiegato finora risposte adeguate nel teatro artico, già trascurato da Washington. Dall’altro lato, per il Canada (la cui strategia artica si è finora basata in particolar modo sul rafforzamento della sovranità nazionale verso le “periferie” nordiche), fronteggiare danni su vasta scala con diretti effetti sulla popolazione, le attività e l’ambiente è un orizzonte ancor più impegnativo.
Se nei prossimi anni (o mesi), gli incendi nella foresta boreale continueranno con ancor più forza, queste saranno sfide che non sarà più possibile ignorare. E questa volta l’avvertimento è già arrivato fino a New York e Washington.
Agata Lavorio
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