Clima

Il CNR ricostruisce 120mila anni di storia di ghiaccio marino

La notizia è dello scorso 21 gennaio. Il CNR – Consiglio Nazionale delle Ricerche – ha annunciato di aver prodotto una ricerca sensazionale. Uno studio dell’Istituto di Scienze Polari del CNR su una carota lunga 584 metri, estratta nel 2015 in Groenlandia, indica che l’estensione media di ghiaccio marino artico presente negli ultimi 11mila anni è stata inferiore a qualsiasi altro periodo degli ultimi 120mila.

La squadra con in mano l’ultimo pezzo di carota estratta

Le scoperte del CNR sul clima globale

La ricerca, pubblicata su “Climate of the Past“, ha prodotto il primo paleorecord di ghiaccio marino nel Nord Atlantico che ha consentito di scoprirne l’evoluzione durante le variazioni climatiche degli ultimi 120mila anni: dalle fasi finali dell’era interglaciale precedente, l’Emiano, a tutta l’ultima era glaciale, fino all’attuale periodo interglaciale, l’Olocene. Lo studio è stato portato avanti nell’ambito di un progetto Erc europeo, “ice2ice”, a cui il Cnr ha partecipato sia nelle operazioni di carotaggio sia nelle fasi successive di misure chimiche e analisi dati. La carota di ghiaccio usata per questo studio paleoclimatico, lunga 584 metri, è stata estratta nel 2015 da un ghiacciaio situato sulla costa Est della Groenlandia.

«I risultati mostrano che l’estensione media di ghiaccio marino presente durante gli ultimi 11mila anni dell’Olocene, è stata inferiore a qualsiasi altro periodo precedente degli ultimi 120mila. Il record mostra anche che il periodo di massima estensione e spessore del ghiaccio si verificò circa 20 mila anni fa, durante l’ultimo massimo glaciale. Il ghiaccio iniziò poi a sciogliersi circa 17,5 mila anni fa, in concomitanza con molti altri cambiamenti climatici avvenuti durante la deglaciazione che portò allo stato interglaciale attuale», spiega Niccolo Maffezzoli, ricercatore del Cnr-Isp e autore della ricerca. Abbiamo raggiunto Niccolò Maffezzoli per una breve intervista sulle attività del team:

Da quanto tempo lavora alla ricerca?

La ricerca che ha portato a questa pubblicazione è iniziata nel 2014, presso il Niels Bohr Institute dell’Università di Copenhagen, e si è ‘conclusa’ ora presso l’Istituto di Scienze Polari del CNR.

Maffezzoli dietro a un pezzo di ghiaccio vecchio di qualche decina di migliaia anni fa

Quali possono essere i risvolti scientifici di una tale conferma in ambito climatico?

Il risultato che abbiamo raggiunto – una ricostruzione del ghiaccio marino nel Nord Atlantico – non è mai stata fatta, e quindi necessita sicuramente di altre conferme. La metodologia di ricostruzione, attraverso l’uso di alcuni traccianti di sali marini nelle carote di ghiaccio, è relativamente nuova e deve essere sicuramente approfondita per elucidarne più chiaramente le eventuali limitazioni e I processi chimici che ne stanno alla base. Ritengo quindi che questi risultati possono considerarsi ‘validi’ solamente se confermati in futuro da studi simili. Nell’articolo c’è un punto di domanda alla fine – lo considero un po’ l’emblema di questo ragionamento. Di questo vorrei ringraziare un reviewer anonimo.

Una ricostruzione paleoclimatica del ghiaccio marino ha risolti veramente molto ampi. All’interno degli ultimi 120 mila anni sono contenuti due periodi interglaciali (aka, caldi) e un periodo glaciale. Variabili astronomiche che modificano l’orbita della terra attorno al sole guidano questi macro-cambiamenti climatici, ma come l’energia della forzante solare viene poi ridistribuita è molto meno chiaro e sono ancora moltissimi i punti interrogativi all’interno di questo contesto. Il ghiaccio marino ha profonde influenze sulle correnti oceaniche e di riflesso sulla distribuzione del calore a livello planetario. Una ricostruzione del ghiaccio marino fornisce quindi informazioni fondamentali agli oceanografi. I processi atmosferici inoltre sono anch’essi influenzati dalla presenza di ghiaccio sulla superficie del mare: la radiazione solare è riflessa efficacemente da superfici ghiacciate riflettenti ma viene assorbita dall’oceano se il ghiaccio sparisce.

Questo ‘polar-feedback’ ha un’importanza cruciale. Dalla nostra ricerca si evince, come ci si aspetterebbe, che durante il periodo interglaciale attuale (attuale ovvero gli ultimi 12 mila anni!) il ghiaccio marino nel Nord Atlantico si è ritirato rispetto all’era glaciale precedente, in cui abbiamo notato che l’estensione fosse maggiore. Una questione su cui ci si interroga molto è quella del legame esistente tra le temperature dell’emisfero nord registrate dalle carote groenlandesi e la temperatura delle acque dell’oceano Nord Atlantico. Abbiamo notato che durante l’ultima deglaciazione l’oceano si è scaldato contemporaneamente allo scioglimento del ghiaccio marino, anticipando il riscaldamento dell’atmosfera nell’emisfero nord.

Nonostante la distanza geografica, il ghiaccio marino Artico ha anche profonde conseguenze sull’Antartide e sull’emisfero sud, e quindi sul clima a livello planetario. Il tramite di questo legame è corrente calda del Nord Atlantico che, una volta arrivata alle alte latitudini inabissa e si dirige verso sud e verso l’Antartide. Molti sono ancora I meccanismi che non sono compresi, ma il ruolo del ghiaccio marino Artico è dimostrato essere cruciale.

Passaggi climatici misteriosi avvenuti più volte nell’emisfero nord durante l’ultima era glaciale, noti come eventi di Dansgaard-Oeschger, che consistono in un repentino riscaldamento atmosferico (circa 8°C nel giro di pochi decenni), si pensa che siano legati a doppio filo alla presenza di ghiaccio marino. La nostra ricostruzione può fornire delle evidenze anche per testare queste teorie e a capirne meglio I processi responsabili. Capire come si è comportato in passato il ghiaccio marino durante ere climatiche diverse contribuisce dunque alla conoscenza di svariati meccanismi che regolano il clima, migliorando I modelli climatici e le proiezioni future.

I risultati indicano chiaramente un’evoluzione preoccupante della condizione climatica. Quali pensa possano essere gli effetti di una situazione climatica simile nell’ambito dello stesso Artico e della regione?

I risultati della nostra ricerca non si sono addentrati nello specifico nel cambiamento ‘antropico’ degli ultimi due secoli a partire dalla rivoluzione industriale, bensì inquadra il periodo interglaciale attuale, l’Olocene, che dura da circa 12 mila anni, all’interno di scale temporali molto più lunghe. In confronto con l’ultima era glaciale, l’estensione di ghiaccio marino negli ultimi 12000 anni si è contratta a causa della forzante solare, e l’uomo ha avuto un ruolo marginale, se non nullo. Questo però è cambiato negli ultimi due secoli, a cui si sta assistendo ad un riscaldamento antropico su una base-line di clima caldo, e questo porta ad effetti molto ingenti. La regione artica è la più soggetta a questi cambiamenti perché a queste latitudini gli effetti si moltiplicano. Ci sono evidenze che l’Artico del futuro sarà profondamente cambiato, non solo a livello puramente climatico, ma anche a livello della sfera biologica e sociale per le popolazioni che vi abitano. Non dimentichiamoci dell’effetto del Permafrost, sorgente enorme di gas metano qualora si dovesse arrivare ad una sua fusione nel prossimo futuro.

Niccolo Maffezzoli e Andrea Spolaor in rosso (Cnr-Isp)

Scienza e dati sembrano essere ormai in “conflitto” con quelle che sono le abitudini di vita del mondo industrializzato. A prescindere dalle decisioni politiche, crede che la ricerca scientifica riuscirà – attraverso conferme impressionanti come questa – a incidere su eventuali modifiche strutturali del sistema produttivo?

Questa è una domanda veramente difficile, ma credo che una risposta arriverà nel giro di qualche decennio al massimo. Io sono fiducioso che la ricerca scientifica possa guidare una crescita della consapevolezza, che però non è sufficiente. Una battuta di un collega che mi fa sempre molto sorridere è: “L’uomo sta facendo un bellissimo esperimento climatico da un paio di secoli, ma non si sta rendendo conto che il topolino nella gabbia è lui stesso”.

A fronte di tali evidenze scientifiche quali sono gli scenari climatici più realistici per il pianeta?

Sicuramente a breve termine i modelli climatici suggerisco un Oceano Artico libero dai ghiacci, perlomeno durante la stagione estiva, nel giro di qualche decennio. Questo accelererà l’aumento delle temperature atmosferiche medie planetarie e di molto quelle delle regioni artiche, le più sensibili per i meccanismi di ‘Polar Amplification’ descritti prima. Un’accelerazione dell’aumento delle temperature avrà conseguenze sulla perdita netta di massa dalla calotta polare groenlandese, che si crede essere uno tra i principali attori dell’innalzamento del livello medio degli oceani. In questo senso il ghiaccio marino artico è un catalizzatore dei cambiamenti in atto.

I risultati della ricerca

Dal punto di vista paleoclimatico il ghiaccio marino è un parametro molto difficile da ricostruire: «Il bromo e il sodio, gli elementi contenuti nelle particelle di sale che vengono utilizzati come traccianti per la per la sua ricostruzione, realizzata attraverso carotaggi di ghiaccio, lasciano infatti una traccia chimica che è mascherata dalla sorgente principale di questi sali, il mare aperto. Lo studio è stato portato avanti nell’ambito di un progetto Erc europeo, ice2ice, a cui ha partecipato anche il Cnr sia nelle operazioni di carotaggio che nelle fasi successive di misure chimiche e analisi dati. La carota di ghiaccio usata per questo studio paleoclimatico, lunga 584 metri, è stata estratta nel 2015 da un ghiacciaio situato sulla costa Est della Groenlandia. Le nostre analisi chimiche eseguite con spettroscopia di massa hanno quantificato bromo, sodio e altri elementi intrappolati nella matrice di ghiaccio a fino a livelli del ppt, ovvero di una parte per trilione», conclude Maffezzoli.

«Il nostro studio usa un marcatore di utilizzo recente nello studio delle carote di ghiaccio, il rapporto bromo-sodio, sul quale vi sono ancora da chiarire alcuni aspetti: ma le prove a suo sostegno, non ultime il confronto con le ricostruzioni ricavate dalle carote di sedimenti dei fondali oceanici, inducono a proseguire la ricerca in questa direzione. Attendiamo con ansia di poter misurare la carota che verrà estratta dalla calotta antartica nel progetto Beyond-Epica, che si stima possa coprire l’ultimo milione e mezzo di storia climatica della Terra».

Leonardo Parigi © Tutti i diritti riservati

Leonardo Parigi

Sono Laureato in Scienze Politiche Internazionali all’Università di Genova e di Pavia. Sono giornalista pubblicista, e collaboro con testate nazionali sui temi di logistica, trasporti, portualità e politica internazionale.

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