Recensione del film How I Ended This Summer, A. Popogrebskij (2010)
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Nutrirsi di natura e d’isolamento.
Ci troviamo in un momento storico molto particolare, in cui le distanze si allungano, la percezione delle persone intorno a noi cambia, le relazioni sociali sono più rade e quasi non siamo più abituati – noi, il popolo più caloroso dell’Europa Mediterranea – ad avere contatti fisici coi nostri cari.
Per questo motivo la redazione di Osservatorio Artico ha scelto di consigliarvi un film che ruota proprio attorno a questi temi: isolamento, impossibilità di comunicare e distanza dagli affetti. Questa produzione aprirà un filone di articoli che ci porterà a riflettere su quanto certe condizioni di vita per noi “aliene” siano invece normali per un certo numero di comunità, e seguendo questa traccia inizieremo l’esplorazione sociale dell’Artico russo.
Vi siete mai chiesti come si svolge la vita quotidiana di chi abita sopra il Circolo Polare Artico? Escluse le popolazioni nomadi che vivono in queste zone fin da tempi antichi, sono pochissimi ad avere un buon motivo per stabilirsi nell’Artico: tra questi, i responsabili delle stazioni meteorologiche, che si occupano di raccogliere dati sul meteo durante tutto l’anno.
Questo film ci racconta la vita quotidiana di uno di loro che abita un’isola di civiltà nella tundra artica: una casa blu contenente strumenti di lavoro di epoca sovietica, una legnaia piena e una stufetta per cucinare. Il protagonista di questo film è Sergej (Sergej Puskepalis), guardiano e responsabile della stazione meteo, un uomo tutto d’un pezzo che da anni svolge il suo lavoro con dedizione.
A interrompere la sua routine arriva Pavel (Grigorij Dobrygin), un giovane tirocinante appassionato di videogame che passa un periodo presso di lui durante l’estate. Il suo arrivo porterà alcuni eventi particolari che segneranno questa esperienza e la vita di entrambi.
Il film è girato nella regione della Čukotka, sul Mar Glaciale Artico. Questa ambientazione straordinaria ci offre una finestra sui paesaggi mozzafiato dell’artico in estate: la tundra desolata, le tempeste minacciose che si infrangono sugli scogli, gli iceberg fra cui Sergej fa lo slalom sulla piccola barca a motore, gli orsi polari che da lontano fiutano la presenza dell’uomo. La desolazione esterna si rispecchia nella caratterizzazione dei personaggi – dai tratti freddi ed essenziali – e pone le condizioni di base su cui è ricamata la trama.
Quasi come in un mondo parallelo, le abitudini dei due protagonisti sono del tutto diverse da quelle di un cittadino delle metropoli russe. Si devono infatti confrontare con condizioni di vita estreme sia dal punto di vista climatico che da quello psicologico, come la lontananza dai propri cari e la mancanza di qualsiasi comodità.
Le preoccupazioni più umane si fanno strada nel bel mezzo del nulla, in un luogo così sperduto che Sergej non riesce neppure a mandare un SMS alla moglie, e ne incarica i colleghi del centro meteorologico statale a cui ogni giorno trasmette i dati atmosferici. La lontananza dalla famiglia e i ricordi dei momenti trascorsi con la moglie sono fra le poche consolazioni di Sergei da una natura impietosa e dal lavoro monotono che porta a termine ogni giorno con meticolosa precisione.
La narrazione è lenta e scandita da pochi eventi-chiave, perciò lo spettatore si ritrova più volte a fare i conti con le proprie sensazioni e vive il film in uno stato di allerta che lo rende più recettivo ai dettagli della regia. Uno di questi si può riconoscere nella sensazione di straniamento data dal contrasto fra l’ambiente della vita “vera” di Sergej e gli scenari dei videogames di Pasha.
La contrapposizione è netta e simboleggia non solo la differenza di valori fra i due uomini – uno ancora giovane e irresponsabile e l’altro ormai forgiato dalla natura artica – ma anche la distanza fra il mondo della stazione metereologica e la vita nella società cittadina, dove è più normale assistere a scene di un gioco sparatutto che venire inseguiti da un orso polare. Il film si impernia proprio sul meccanismo di capovolgimento della realtà: il mondo surreale non è più quello all’interno del monitor ma è quello fuori dalla porta della baracca blu, e l’impressione che ne deriva è quella di trovarsi in una realtà assurda.
La chiave di lettura del film sta proprio nel suo iperrealismo: all’incirca a metà visione il tono da neutro vira verso il drammatico e si inserisce una forte tensione narrativa causata principalmente dalla difficoltà di comunicazione sia fra la stazione metereologica e il mondo esterno che fra gli stessi protagonisti. I sentimenti umani, la desolazione e la paura sono la trama su cui viene ordito l’intero film.
In particolare, i due uomini hanno grandi difficoltà ad esprimere le emozioni che li attanagliano, e spesso regna l’incomprensione e l’equivoco. Ciò si riscontra anche nei dialoghi, che sono brevi e concisi, mentre si contano su una mano le battute indispensabili alla comprensione del film. Per questo motivo vi consigliamo di guardarlo anche se non avete dimestichezza con la lingua originale. Le espressioni e i gesti degli attori parlano in un linguaggio universale che è valso loro a parimerito l’Orso d’argento per il miglior attore durante il 60° Festival Internazionale del Cinema di Berlino.
Il titolo originale russo è Как я провёл этим летом (trasl. Kak ya provyol etim letom) è un film di Aleksej Popogrebskij uscito nel 2010. Potete vederlo qui (con sottotitoli in inglese o spagnolo):
Corinna Ramognino
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