Superati gli 81 gradi Nord, ci avviciniamo ancora di più al limite dei ghiacci per proseguire con la mappatura dei fondali oceanici dell’Artico.
Location: Tra le nebbie oltre le isole Svalbard
Coordinate: 80°55.054’ N; 016°42.051’ E
Meteo: 2 gradi, sole
Puntamento nave
High North24 è arrivata alla sua ottava edizione. Quali sono i margini di crescita e di sviluppo di questo Programma, e come si può ulteriormente potenziarne l’efficacia? “Possiamo distinguere due categorie di attività in High North24: le attività “istituzionali” (come batimetria, campionamento di dati chimico-fisici nella colonna d’acqua, sedimentologia), in cui continueremo ad acquisire dati.
Più dati significa maggiore conoscenza dell’ambiente. Poi ci sono le attività più innovative, come lo studio delle dinamiche dei ghiacci in interazione con i rilevamenti satellitari, e lo studio della propagazione acustica, dove si proseguirà alla ricerca di risvolti interessanti in ambito tecnologico e ambientale”. A rispondere è il Capitano di Corvetta Samuele Stefanucci, Capo Ufficio Oceanografico dell’Istituto Idrografico della Marina, con alle spalle già diverse spedizioni in diverse parti del mondo.
“Per potenziare il programma, è fondamentale coinvolgere più enti, sia civili che militari. Da tre anni abbiamo integrato la componente sommergibili, e quest’anno partecipano due dottorandi dell’Università di Milano-Bicocca e dell’Università di Stoccolma, nell’ambito della collaborazione con la Fondazione “The Polar Initiative“, supportata dal Principe Alberto II di Monaco. Le collaborazioni non solo migliorano la qualità della ricerca, ma favoriscono anche uno scambio di conoscenze e competenze che può portare a soluzioni innovative per le sfide ambientali dell’Artico”.
“La nuova nave idro-oceanografica maggiore permetterà all’IIM di accrescere e migliorare il suo contributo nel campo della ricerca”, sottolinea ancora Stefanucci, che dei ghiacci è grande conoscitore anche oltre alle attività scientifiche, grazie alla passione alpinistica.
“Innanzitutto, il ruolo di organo cartografico dello Stato richiede una continua acquisizione e aggiornamento dei dati batimetrici, comprese aree come l’Antartide, dove l’Istituto ha la responsabilità della pubblicazione di tre carte nautiche. Inoltre, il supporto alle forze armate diventerà sempre più indispensabile, richiedendo un supporto idro-oceanografico rapido e adeguato ai contesti moderni.
Per garantire tutto ciò, è fondamentale possedere la tecnologia e le conoscenze appropriate. Infine, l’IIM continuerà a contribuire alla ricerca scientifica sul mare, collaborando con la propria expertise e con i mezzi della Marina. La nuova nave sarà essenziale in questo ambito, fornendo un prezioso aiuto in un campo dove i fondi e le risorse sono sempre limitati”.
Quest’anno sono presenti a bordo due borsisti della “The Polar Initiative” della Prince Albert II Foundation. Quali sono le loro attività, e qual è la connessione tra un’istituzione come l’IIM e una realtà privata come TPI?
“La collaborazione tra l’IIM e il TPI nasce da un’esigenza comune legata al tema “artico”: completare e arricchire il bagaglio di conoscenze su questo ambiente. Entrambe le istituzioni traggono beneficio dalla collaborazione, acquisendo sapere e know-how l’una dall’altra. Posso affermare personalmente che il contributo dei due studenti è stato davvero prezioso. Per completare al meglio le nostre attività, abbiamo scelto due profili professionali diversi.
Matteo Monzali, dottorando alla Milano-Bicocca, è specializzato nel telerilevamento satellitare di superfici innevate e ghiacciate. Florian Heinze, dottorando all’Università di Stoccolma, è specializzato invece in scienze geologiche, e partecipa al progetto batimetrico “SEABED 2030“. Questa sinergia tra IIM e TPI dimostra come la collaborazione internazionale e multidisciplinare possa significativamente avanzare la ricerca artica. Continuare su questa strada promette di svelare nuove scoperte e di affrontare con successo le sfide ambientali del nostro tempo”.
“La ricerca richiede una vasta quantità di dati per garantire la massima affidabilità, e in otto anni High North ha contribuito significativamente a creare una preziosa base di conoscenze in un ambiente poco esplorato come l’Artico. Analizzando i dati raccolti, su una regione che va dall’Isola dell’Orso al Norske Banken, sono stati esplorati e misurati 25.000 km² di fondali marini. Inoltre, sono state effettuate 240 misurazioni di temperatura e salinità, sia dalla nave che dai battelli, anche in mezzo al pack.
Sono stati realizzati 29 campionamenti di fondale, tramite benne e box corer, fornendo informazioni dettagliate e cruciali per la comprensione di questo ambiente estremo”.
Nonostante la spedizione di High North24 sia ancora lunga, un risultato “visibile” è già presente sui dispositivi del team. È la mappatura integrale del seamount accanto al Molloy Hole, quel ‘Seamount’ che mancava negli scandagliamenti degli scorsi anni, che porta il nome di “Atla”. “Un ottimo risultato con una definizione fino a 25 metri, che ci consente di guardare con precisione a questo vulcano sottomarino”, racconta Roberto Nardini, funzionario del reparto di geofisica marina dell’Istituto Idrografico della Marina.
“In quest’area è molto difficile arrivare, perché è solitamente coperta dai ghiacci marini. Stiamo parlando di una montagna in una zona con alta attività tettonica, i terremoti sono frequenti, così come le emissioni gassose. La sua cima misura 1370 metri dal pelo dell’acqua, con un’altezza del rilievo di circa 2.300 metri.
Considerando che però dalla sua cima al fondo del Molloy Hole – il punto più profondo del Mar Glaciale Artico – c’è un’unica scarpata, possiamo vedere distintamente come la distanza tra i due punti superi abbondantemente i 4.000 metri. Un risultato eccezionale, anche perché è davvero complesso riuscire ad avere una panoramica ampia di questa zona”.
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