Dopo le minacce di Mosca nei confronti di Stoccolma e Helsinki, Biden si muove per spingere nella Nato i due partner strategici. E Copenaghen investe sulla Difesa.
Tra i vari temi che ha smosso l’invasione russa in Ucraina, oltre alle ovvie preoccupazioni nei confronti della popolazione civile e della distruzione delle città controllate da Kiev, c’è anche un totale cambio di paradigma per quanto riguarda l’Artico.
Da decenni luogo di cooperazione e scambio reciproco, si è sempre auto-definito un luogo “a basso conflitto e alta cooperazione”. Ma come abbiamo avuto anche noi modo di sottolineare più volte, la cooperazione e la diplomazia non sono dati di fatto: vanno costruiti giorno dopo giorno, investendo in questa direzione con decisione.
Le scelte di guerra di Putin fanno saltare definitivamente il banco. Con la speranza che la diplomazia riesca a prendere il posto delle armi nel breve termine, è chiaro che decenni di lavoro di soft power russo sono stati buttati al vento, spazzati via dal tornado umorale di Mosca. Cosa cambia adesso?
Solo un mese fa, Helsinki ribadiva la scarsa propensione nell’ingresso nell’Alleanza Atlantica, volendo proseguire nella tradizionale politica di controllo e non-belligeranza nei confronti di Mosca. Nonostante i recenti acquisti in materia di difesa, infatti, la premier Sanna Marin aveva sottolineato più volte di non voler modificare lo status quo.
Il quadro appare radicalmente cambiato nel giro di pochi giorni. Secondo un recente sondaggio, la maggioranza dei finlandesi adesso propende per l’ingresso del Paese nordico nella NATO, un cambiamento culturale oltre che di posizionamento geopolitico.
Helsinki condivide con la Russia un confine di 1.340 chilometri, oltre a una storia di conflitti continui che hanno lasciato la Finlandia – dopo la Seconda Guerra Mondiale – “monca” di una parte considerevole di territorio. Oggi il 53% degli intervistati vuole l’ombrello atlantico, contro una quota del 28% che rispondeva affermativamente solo un mese fa.
Nel frattempo, lo scorso 4 marzo il Presidente americano Joe Biden ha incontrato l’omologo finlandese Sauli Niinisto, perorando l’ingresso di Helsinki nell’Alleanza. Mossa però già fortemente minacciata da Mosca nei giorni scorsi.
Nel frattempo, la Danimarca ha indetto per il prossimo 1 giugno un referendum per unirsi alla Difesa dell’Unione Europea. Anche in questo caso si tratta di un cambiamento epocale, perché segna uno spartiacque tra un prima e un dopo 24 Febbraio. Il governo danese ha annunciato il referendum per riconsiderare la clausola di “opt-out“, una particolarità che da 30 anni tiene Copenaghen lontana dalle politiche di Difesa di Bruxelles.
Il governo guidato da Mette Frederiksen ha annunciato che aumenterà la sua spesa per la Difesa per raggiungere l’obiettivo del 2% del PIL (come auspicato e richiesto a gran voce dagli Stati Uniti da lungo tempo), e che tale obiettivo sarà raggiunto entro il 2033.
“La lotta dell’Ucraina non è solo quella dell’Ucraina, è una prova di forza per tutto ciò in cui crediamo, i nostri valori, la democrazia, i diritti umani, la pace e la libertà”, ha detto la premier.
L’Accordo di Edimburgo del 1992 includeva una garanzia nei confronti della Danimarca che non obbligava questa nazione a diventare un membro dell’Unione europea occidentale, che in quel periodo era la “mano” dell’UE nel campo della difesa. Inoltre, l’Accordo pattuiva che la Danimarca avrebbe dovuto non prendere parte alle discussioni né sarebbe dovuta rimanere legata alle decisioni dell’UE riguardanti la difesa. Il Trattato di Amsterdam del 1997 includeva un protocollo che sanciva questa deroga e permetteva, dunque, la non-partecipazione della Danimarca alla Politica europea di sicurezza e difesa dell’UE. Di conseguenza, la Danimarca non partecipa alla PESC, ovvero non prende parte alle decisioni e non contribuisce con truppe alle missioni condotte dall’Unione europea.
Leonardo Parigi
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