Groenlandia

La Groenlandia sarà il nuova Eldorado?

Crisi di politica e momento di potenziale svolta per l’isola più grande del mondo. La Groenlandia sarà il nuovo Eldorado?

Il tesoro di Kvanefjeld

La Groenlandia, la più vasta isola del pianeta, vede ormai stravolto il suo status globale. Da remota e inospitale zona semi-disabitata, a potenziale fulcro della “corsa all’Artico”. Un colosso da oltre oltre 2 milioni di chilometri quadrati, dove vivono poco più di 56.000 persone, che rischia di diventare, nel bene e nel male, un luogo soggetto a un profondo cambiamento.

Soprattutto per i recenti avvenimenti che ruotano attorno alla miniera di Kvanefjeld, i quali presentano sempre di più tutti gli ingredienti per una vera e propria spy story. Quest’isola è la fetta di terra che più risente dei cambiamenti climatici.

Ma che, a causa degli stessi, offre nuove e immense opportunità di conquista e potere. Potrebbe diventare l’hub per nuove rotte marittime commerciali, nuove destinazioni turistiche, e soprattutto nuove frontiere di sviluppo e di ricchezza

L’interesse nazionale

L’importanza che la Groenlandia ha iniziato a rivestire recentemente è dovuto alle grandi quantità di risorse che si stima siano presenti nel suo sottosuolo. L’isola, infatti, ospita il più grande giacimento di uranio e terre rare del mondo, sul quale sorge la miniera di Kvanefjeld. Gas e petrolio, ma anche carbone e altre materie prime, completano un quadro da sogno per ogni novello conquistador.

In realtà, la ricchezza di questa immensa terra ghiacciata non interessa solo ad attori terzi, ma alla Groenlandia stessa. La ricerca della totale indipendenza dalla Danimarca, per quanto l’autonomia di Nuuk sia già ampia ed estesa, passa proprio dall’utilizzo e dallo sfruttamento delle sue risorse.

Nel 2009 Copenhagen ha riconosciuto a Nuuk il diritto all’autodeterminazione, ma non la totale indipendenza, e in più ha concesso il controllo della maggior parte delle risorse minerali e naturali. Eccetto l’uranio, materia ritenuta di intesse strategico per il Regno.

Copenaghen versa ogni anno un sussidio di circa 520 milioni di euro alla “sua” enorme e complessa isola artica, che nel 2018 ha raggiunto un PIL pro capite di 54.000$. Senza il fondo della capitale, quale gli inuit (circa l’88% della popolazione) non sarebbero in grado di dotarsi del welfare del quale dispongono. Il prezzo della libertà, ovvero la rinuncia al fondo danese – secondo il governo groenlandese – è la concessione del maggior numero possibile di miniere alle grandi corporazioni internazionali. 

Di tutti e di nessuno

Il governo di Nuuk sostiene, a questo scopo, che la Groenlandia non abbia altra scelta se non quella di aprire la sua cassaforte. Di conseguenza, la miniera di Kvanefjeld sembra essere indispensabile per raggiungere questo obiettivo. Anche se molti sostengono che per raggiungere l’indipendenza economica la Groenlandia dovrebbe puntare oltre che sulla ricchezza di materie prime, anche sugli introiti ricavati dal turismo.

Questo genera di fatto una contraddizione importante. La nuova meta del “turismo esotico” potrebbe essere stravolta proprio a causa delle estrazioni minerarie, e dal conseguente e inevitabile inquinamento che queste producono. La miniera a cielo aperto più grande al mondo riveste anche un ruolo simbolico molto importante per la Groenlandia, perché vorrà dire che questa terra perderà quella innocenza e diversità custodita fino ad ora, lontano dalla storia dell’umanità.

Il cambiamento climatico, per la Groenlandia, sembra essere sia una minaccia sia un vantaggio. Le opinioni negative riguardo allo sfruttamento si raccolgono soprattutto tra la popolazione Inuit, a ragion del fatto che attualmente la cultura e la stessa sopravvivenza di questa popolazione risultano minacciate proprio a causa dei mutamenti economico-sociali e delle condizioni di vita derivanti dai cambiamenti climatici e ambientali.

Disagio sociale e nuovi problemi

Le forti pressioni provenienti dalle potenze economiche interessate a uno sfruttamento delle risorse, di cui la loro terra è ricchissima, generano nella popolazione indigena un sentimento contrastante. Ciò ha portato a un progressivo smantellamento degli usi e costumi caratteristici di questo popolo, una vera e propria disgregazione di una cultura millenaria avvenuta tramite una progressiva occidentalizzazione degli stili di vita.

Questa situazione, sommata anche alla sempre più elevata disoccupazione, ha di conseguenza prodotto un fenomeno di alienazione sociale che si manifesta con forti tassi di alcolismo e suicidi

Fonte: www.ggg.gl/project/

A proposito di disoccupazione, è emblematico il caso di Narsaq, villaggio nei pressi del quale si trova la miniera di terre rare. «In dieci anni Narsaq ha perso il 10 per cento della popolazione, paga il più alto tasso di disoccupazione della Groenlandia», scrive Marzio Mian nel suo libro “Artico, la battaglia per il Grande Nord“. «Trecento lavoratori a casa su millequattrocento abitanti, praticamente tutti i capifamiglia, tutti licenziati nel 2010 dall’impianto della lavorazione dei gamberetti».

E come se ciò non bastasse, si aggiunge alla sofferenza degli abitanti della cittadina anche l’apertura della miniera d’uranio e terre rare, che porterà gli abitanti a lasciare definitivamente e in massa il paese. Essi sostengono infatti che con l’inizio delle estrazioni la distruzione del territorio sarà totale, e temono che la Groenlandia possa diventare un “nuova Africa”. 

Cambio di rotta?

I recenti avvenimenti dimostrano però come anche all’interno del governo siano presenti incertezze, in particolare riguardo all’avvio dei lavori alla miniera. Il governo groenlandese ha infatti perso la maggioranza in Parlamento dopo che uno dei partiti ha lasciato la coalizione.

Oltre alle elezioni anticipate in primavera, previste per il 6 aprile, la crisi politica potrebbe cambiare tutte le carte in tavola. A questo si aggiungono le minacce di morte ricevute da alcuni ministri durante le udienze necessarie per il rilascio della licenza per l’estrazione. 

Manifestazione a Narsaq contro l’insediamento minerario. Fonte: www.ejatlas.org

Un’ulteriore questione ancora poco chiara riguarda proprio la licenza di sfruttamento della miniera, la quale sembra sia stata totalmente concessa a una società australiana, la cui maggior azionista è una compagnia di Pechino. Ma ciò che complica la faccenda è il fatto che le autorità di Nuuk, nonostante la concessione, stiano cercando acquirenti per le risorse della miniera in Europa. 

Questione di geopolitica

«La vicenda di Kvanefjeld è facilmente una nuova puntata della competizione fra Stati Uniti e Cina per la Groenlandia, questa volta sulle terre rare», sostiene Federico Petroni, analista di Limes e Coordinatore di Geopolitica di Osservatorio Artico. «Pechino è un quasi monopolista di questi materiali decisivi per tutte le più importanti tecnologie odierne. Controlla il 60% della produzione mondiale».

Più volte ha ventilato di restringere l’export verso gli Usa per mettere in ginocchio le loro industrie. Nel 2019, l’amministrazione Trump decise che era il momento di ridurre la dipendenza dalla Cina. Per questo mise gli occhi sui giacimenti groenlandesi. In quel momento, venne fuori l’idea di comprare l’isola. Grande scandalo, mezza crisi con Copenhagen, intanto in silenzio gli americani hanno concluso un accordo per aprire nuove miniere di terre rare.

Il video promozionale del progetto minerario

Resta però il fatto che il giacimento di Kvanefjeld appartiene a una società australiana controllata da una compagnia cinese, con diversi agganci con il regime di Pechino e con l’industria del nucleare. È assai probabile che le minacce di morte alle autorità groenlandesi rientrino nel braccio di ferro fra cinesi e americani su chi mette le mani sulle terre rare della Groenlandia.

In ballo dunque non c’è tanto chi controlla l’isola più grande del mondo – come nel 2018, quando gli americani costrinsero i danesi a respingere il tentativo dei cinesi di acquisire quattro aeroporti. Qui la partita è assai più ampia perché riguarda le risorse e le tecnologie d’avanguardia».

Giulia Sacchi

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Giulia Sacchi

Mi sono laureata in Scienze Internazionali ed Istituzioni Europee presso l'università statale di Milano, dove tutt'ora sto continuando con la magistrale in Scienze Politiche e di Governo. Ed è proprio grazie ai miei studi che mi sono appassionata a tutto ciò che è Artico.

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