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Alaska LNG, il gas al centro della strategia di Trump

Le nuove strategie energetiche e geopolitiche degli USA tra Artico e Asia, con uno sguardo sul progetto Alaska LNG. Ne parliamo con Davide Guelfi, ricercatore del Politecnico di Milano.

GNL, la partita globale

Negli ultimi anni, la politica energetica è tornata a essere un potente strumento geopolitico. Il controllo delle risorse, delle infrastrutture e delle rotte commerciali si intreccia sempre di più con le grandi dinamiche globali: rivalità tra potenze, strategie regionali, equilibri economici che si stanno ridisegnando. In questo scenario, il gas naturale liquefatto (GNL) si è imposto come una risorsa strategica per la sicurezza energetica di molte nazioni, in particolare in Asia e in Europa. E tra le aree più delicate per lo sviluppo e l’esportazione di GNL, l’Artico rappresenta oggi uno dei nuovi teatri centrali di questa competizione.

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Davide Guelfi è ricercatore presso il Politecnico di Milano.

Gli Stati Uniti, sotto la nuova Amministrazione Trump, hanno riposizionato con decisione le proprie priorità in politica energetica, rilanciando progetti infrastrutturali di grande portata come l’Alaska LNG Project. Un’iniziativa che non solo mira a rafforzare l’indipendenza energetica americana, ma che si inserisce con forza nelle logiche della proiezione geopolitica verso l’Indopacifico e del confronto strategico con la Russia nell’Artico.

Per comprendere meglio questo intreccio fra risorse energetiche, geopolitica e interessi nazionali, abbiamo parlato con Davide Guelfi, ricercatore del Politecnico di Milano impegnato in studi sui mercati energetici e sulle catene del valore dell’energia. In questa intervista, ci guida attraverso le scelte della nuova Amministrazione americana, il rilancio del GNL, il ruolo strategico dell’Artico e le implicazioni globali di un progetto destinato a ridefinire le rotte energetiche del XXI secolo.

Come si inserisce la politica energetica della nuova Amministrazione americana nel contesto globale?

Se sul fronte della politica economica le mosse della nuova Amministrazione americana appaiono disordinate e a tratti contraddittorie (si pensi all’accostamento tra l’introduzione massiccia di dazi e l’annuncio di una drastica riduzione dell’inflazione) la situazione appare ben diversa se si analizza la politica estera ed energetica, ambiti in cui le azioni intraprese risultano, seppur accompagnate dai consueti toni enfatici, molto più coerenti con il quadro delineato in campagna elettorale.

In politica estera, l’obiettivo dichiarato è quello di ridurre progressivamente la presenza, quantomeno l’influenza, degli Stati Uniti in aree considerate strategicamente irrilevanti, concentrandosi su regioni del mondo che rivestono un’importanza cruciale per gli interessi nazionali. In questo contesto, il tradizionale impegno americano in alcune aree è stato rivisitato, con un chiaro spostamento verso le sfide geopolitiche ritenute prioritarie.

Sul fronte energetico, la strategia si articola invece attorno a due linee principali: da un lato, un’opposizione netta alla crescita dell’economia verde, percepita come esempio paradigmatico dell’ideologia “woke” (nonostante gli studi per confermare la correlazione tra investimenti nelle energie rinnovabili e adesione ai movimenti LGBTQ+ non abbiano ancora prodotto i risultati sperati), e, dall’altro, una forte protezione degli interessi dei grandi incumbent del settore Oil&Gas. La nomina di Chris Wright, ex CEO di Liberty Energy, tra i principali attori nell’industria del fracking e noto critico dell’industria green, come Segretario all’Energia è in tal senso particolarmente emblematico.

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In questo contesto, quali sono gli strumenti principali adottati per perseguire gli obiettivi energetici?

Per raggiungere i succitati obiettivi strategici, sono due gli strumenti tattici che la nuova Amministrazione reputa imprescindibili: da un lato, un crescente attivismo nel contesto artico, una regione ritenuta strategicamente fondamentale; dall’altro, la decisione di rilanciare l’export di GNL (gas naturale liquefatto).

Questo settore ha subito una battuta d’arresto a partire dal gennaio 2024, in seguito alla decisione della precedente Amministrazione Biden di implementare il cosiddetto “Permit Approval Freeze”, con cui sostanzialmente il Governo federale aveva temporaneamente bloccato, previa revisione delle analisi economiche, ambientali e di interesse strategico nazionale da parte Dipartimento dell’Energia, le autorizzazioni alla realizzazione di nuovi terminal per l’export del GNL (a tal riguardo, per evitare di finire vittime della spicciola propaganda politica, va notato che la decisione non rappresentava un divieto di esportazione di GNL, ma piuttosto un’opportunità per rivedere i progetti in corso che richiedevano l’approvazione).

Perché l’Alaska LNG Project è così centrale nella nuova strategia?

All’intersezione di queste due linee d’azione, l’Alaska LNG Project si configura come un esempio paradigmatico di come le scelte energetiche possano essere intrinsecamente legate a forti implicazioni (geo)politiche. Un progetto che non solo risponde agli interessi economici degli Stati Uniti, ma che, al contempo, diventa uno strumento nelle dinamiche geopolitiche globali, con un impatto diretto sugli equilibri di potere internazionali.

Già nel suo primo giorno di mandato, Trump firma un ordine esecutivo che sancisce la volontà di sfruttare il potenziale energetico dell’Alaska (“to unleash Alaska’s extraordinary resource potential”), annullando le protezioni ambientali introdotte dall’Amministrazione Biden, che limitavano lo sviluppo delle risorse petrolifere e del gas nello Stato. Il 4 marzo successivo, durante un intervento al Congresso, Trump ribadisce il suo pieno sostegno al progetto, elevandolo a pilastro fondamentale della sua nuova politica energetica.

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Un estratto del discorso di Trump al Congresso.

Quali sono le caratteristiche infrastrutturali principali di questo progetto?

Dal punto di vista infrastrutturale, il progetto si articola in tre principali componenti:

  1. Il Gas Treatment Plant (GTP), situato sulla costa settentrionale dell’Alaska, vicino a Prudhoe Bay, dove il gas viene estratto dal giacimento di North Slope.
  2. La Pipeline, lunga 807 miglia (circa 1300 km), che trasporta il gas ancora in forma gassosa fino al porto di Nikiski, a poche decine di chilometri da Anchorage, il capoluogo della regione.
  3. La Liquefaction Facility (LF), ubicata nell’hub portuale, che ha il compito di liquefare il gas, aumentando la sua densità energetica volumetrica e permettendo così la sua esportazione via nave.

Non sorprende certo che l’export sia indirizzato verso le coste orientali dell’Asia, dove diversi paesi del continente, con una crescente domanda di gas naturale, cercano di consolidare i legami con la nuova Amministrazione americana, vista da tempo come un alleato strategico fondamentale per evitare l’influenza crescente del temuto “Dragone”.

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Fonte: High North News

Possiamo avere un’idea più precisa della portata del progetto dal punto di vista numerico?

Per comprendere appieno la portata del progetto, è necessario chiamare in causa i suoi numeri. Secondo gli annunci ufficiali, la Pipeline che trasporterà il gas da Prudhoe Bay al porto di Nikiski sarà in grado di trasportare circa 100 milioni di metri cubi di gas al giorno. Salvo la presenza di diversi buffer installati presso il Gas Treatment Plant (GTP), lungo la Pipeline e nel sito di liquefazione, che garantiranno flessibilità all’infrastruttura modulando la capacità in base alle necessità della filiera, la capacità annuale di esportazione dovrebbe aggirarsi intorno ai 20 milioni di tonnellate di GNL.

Per fare un paragone, nel 2024 la capacità di esportazione di GNL degli Stati Uniti è stata di circa 93 milioni di tonnellate. Il solo Alaska LNG Project, con l’entrata in esercizio prevista per il 2031, contribuirà pertanto a un aumento di oltre il 20% dell’attuale capacità di esportazione, consolidando il ruolo degli Stati Uniti come leader globale nell’esportazione di gas naturale liquefatto.

Sempre secondo gli annunci, i costi totali di investimento del progetto (Capex) ammontano a circa 44 miliardi di dollari, evidenziando come si tratti di un’iniziativa di dimensioni colossali anche sotto il profilo economico.

Che tipo di relazioni internazionali sta cercando di costruire l’Amministrazione americana attraverso Alaska LNG?

Come detto, l’Alaska LNG Project si inserisce in una direttrice Artico-Asia, mirando a diventare un ponte energetico tra la costa settentrionale dell’Alaska e l’Asia orientale. A tal fine, nelle scorse settimane, il Governatore dell’Alaska Mike Dunleavy e i rappresentanti dell’Alaska Gasline Development Corporation (AGDC), principale sviluppatore del progetto, hanno intrapreso un tour asiatico per stringere accordi con operatori del settore energetico asiatico. Come era prevedibile, le tappe principali del tour hanno incluso i paesi più strategicamente rilevanti e allineati agli interessi americani, con Giappone, Corea del Sud e Taiwan in prima linea.

Lo specifico obiettivo della missione era duplice. In primo luogo, cercare di individuare degli offtaker (acquirenti), ossia partner disposti a firmare contratti a lungo termine per l’acquisto di GNL, assicurando una base stabile di ricavi fissi per il progetto, generalmente per periodi che vanno dai 5 ai 10 anni, fondamentali per garantirne la sostenibilità economica. In secondo luogo, l’intento era di attrarre investitori che possano entrare nella fase di sviluppo, acquisendo quote di proprietà del progetto, rafforzando così ulteriormente i legami commerciali tra gli Stati Uniti e le aziende (anche State-owned di questi paesi).

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Il governatore dell’Alaska Michael J. Dunleavy (terzo da destra) è raffigurato qui con i rappresentanti di ConocoPhillips, Mitsubishi, TOGAS e JERA, i partner originali del progetto Alaska LNG coinvolti nella prima spedizione di GNL dell’Alaska in Giappone. La foto risale al 2019 (fonte: flickr.com)

Quali sono gli obiettivi strategici del progetto, oltre a quello economico?

Le mosse dei rappresentanti americani, supportate e indirizzate in modo determinante dal Governo federale, sembrano essere motivate da tre principali obiettivi strategici. Il primo di natura economica, mentre i due successivi intrecciano strettamente dimensione commerciale ed economica con la strategia geopolitica.

L’obiettivo economico alla base di queste mosse è l’ormai noto e spesso enfatizzato desiderio di Donald Trump di ridurre il deficit commerciale che gli Stati Uniti hanno accumulato negli ultimi decenni con il resto del mondo, un problema che il tycoon ha sempre considerato la causa principale di tutti i mali economici e sociali del paese.

Per quanto riguarda invece i due obiettivi di portata economico-geopolitica, il primo è abbastanza evidente: rafforzare il blocco di alleanze con i paesi asiatici in funzione anticinese. Trump è fermamente convinto che la vera sfida del XXI secolo si giochi nell’Indopacifico, e considera un errore strategico non intensificare, anche sotto il profilo commerciale, i legami con i paesi asiatici già allineati. Gli Stati Uniti intendono quindi creare reti economiche interconnesse che legano indissolubilmente questi paesi agli Stati Uniti, riducendo il rischio che possano orientarsi verso potenze rivali, in primis la Cina.

E sul fronte artico, come si colloca Alaska LNG Project rispetto alla strategia americana più ampia?

Un ulteriore elemento cruciale per comprendere appieno l’Alaska LNG Project è la sua posizione all’interno della più ampia strategia per l’Artico, oggi al centro dell’attenzione geopolitica mondiale, con protagonisti indiscussi gli Stati Uniti e la Russia di Vladimir Putin. Sotto l’Amministrazione Biden, l’Ufficio per il Controllo dei Beni Esteri del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti (OFAC) ha intensificato le sanzioni contro le entità russe coinvolte nel settore del GNL artico.

Il 1° maggio 2024, sono state aggiunte diverse società e navi legate al progetto Arctic LNG 2, un’importante iniziativa di esportazione di GNL su larga scala nella penisola di Gydan, alla lista degli Specially Designated Nationals (SDN), limitando l’accesso di queste entità a risorse critiche e finanziamenti internazionali. Nonostante queste sanzioni, che mirano a fermare la produzione russa di energia nell’Artico, considerata una pietra angolare della strategia economica del paese, Novatek, il principale operatore russo indipendente nel settore del GNL, insieme ai partner del progetto, ha proseguito la costruzione di Arctic LNG 2, il cui completamento è previsto per il 2026.

Come si collocano questi progetti nel più ampio quadro delle relazioni fra Stati Uniti e Russia?

Poiché tanto l’Arctic LNG 2 quanto l’Alaska LNG Project puntano a servire i mercati asiatici come principali destinazioni di esportazione, la domanda sorge spontanea: sarà cooperazione o competizione tra Stati Uniti e Russia nelle rotte artiche del GNL?

Sebbene alcuni segnali recenti, a seguito di un incontro tra le delegazioni americana e russa a Riyad (il cui tema oggetto di discussione è stato solo marginalmente la situazione ucraina), sembrano suggerire una possibile cooperazione, il futuro resta incerto. L’imprevedibilità dei due attori coinvolti rende questa domanda ancora senza risposta definitiva. I prossimi mesi, tuttavia, potrebbero chiarire quale strada prenderanno gli sviluppi in questa dinamica complessa.

Enrico Peschiera

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Enrico Peschiera
Genovese e genoano, sono laureato in Relazioni Internazionali all'Università di Maastricht. Oggi mi occupo di comunicazione aziendale e scrivo di geopolitica, logistica e portualità.

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