Nuovo stop all’ammodernamento della flotta di rompighiaccio degli USA, un percorso a ostacoli che vede Washington ferma al palo.
Nella regione artica, le rompighiaccio sono strumenti fondamentali di sicurezza e potenza. Non solo liberano le rotte dal ghiaccio invernale, riforniscono i campi di ricerca o conducono missioni scientifiche, ma allungano anche il braccio degli Stati in una regione dove i confini possono essere facilmente contesi. Diventano così, anche, importanti simboli politici. Tuttavia, gli USA ritardano ancora la costruzione delle rompighiaccio, e il programma sembra essersi incagliato ancora una volta.
La questione delle rompighiaccio americane non è certamente una novità nel panorama internazionale. A fronte della corsa alle rompighiaccio portata avanti dai maggiori competitor americani nell’area (la Russia, con più di quaranta rompighiaccio, e la Cina, a breve con tre), le rompighiaccio operative americane restano tuttora solo due, di cui nessuna a propulsione nucleare. Condizione che ha portato molti a parlare di un “icebreaker gap” già dal 2015, rievocando momenti di competizione tecnologica e debolezza politica dal sapore di Guerra fredda.
Se è pur sempre vero che il dato geografico è sicuramente un fattore di primaria importanza per andare oltre una troppo semplice conta dei vascelli – con una costa russa che sfiora i 24.000 km e una Cina a più di 5000 km dal Polo Nord – l’icebreaker gap è una annosa questione dibattuta ormai da anni. Ma che, come spesso accade nella politica artica americana, fatica a imporsi a livello nazionale, nonostante la dimensione internazionale e globale della potenza. A riprova della lontananza, non solo geografica, ma anche politica e culturale, che corre tra Washington e Alaska.
Con la fine della Seconda guerra mondiale, le rompighiaccio americane sono prerogativa della Guardia Costiera americana (US Coast Guard): le due attualmente operative sono la rompighiaccio pesante Polar Star (commissionata nel 1976) e la media Healy (commissionata nel 1999), quest’ultima recentemente vittima di un incendio scoppiato in acque alaskane nel 2020. Una terza, ora in disuso (la Polar Sea), è diventata una scorta di pezzi di ricambio per la sorella, la Polar Star. La Polar Star è impiegata anche in missioni in Antartide, fatto che può portare la Healy ad essere, almeno in certi periodi, l’unica rompighiaccio americana disponibile in Artico. Peraltro non attrezzata per la difficoltosa navigazione invernale.
L’espansione della flotta delle rompighiaccio americane era stata avanzata e approvata durante l’amministrazione Trump, in anni di politica e strategia artica chiaramente segnata dalla preoccupazione per l’aumento della competizione nella regione. Il programma, approvato da entrambe le camere con un budget finale di circa $600 milioni nel 2019 (cifra alla quale era stata decurtata la differenza con i $750 milioni richiesti dal Senato e passati poi alla costruzione del muro sul confine col Messico), prevedeva sostanzialmente la costruzione di una rompighiaccio pesante all’anno (in gergo Polar Security Cutter). Il programma è stato fin da subito considerato irrealistico dalle agenzie competenti, a fronte sia dei tempi di costruzione sia delle mancanze strutturali nel dominio marittimo artico.
Dopo una serie di ritardi e di fermi per la costruzione della prima rompighiaccio (si è passati per una fine prevista nel 2021, nel 2024 e infine nel 2028), quest’estate i cantieri navali Bollinger, storici partner privati della Marina americana, hanno iniziato a costruire la prima rompighiaccio pesante, la Polar Sentinel, nei cantieri dello stato del Mississipi. La Polar Sentinel, in ogni caso, vedrà la luce tra almeno cinque anni.
Le rompighiaccio americane, nonostante non siano vascelli armati (anche se la proposta non è nuova), sono da sempre state correlate alla forza militare e politica di potenza, come d’altronde quasi tutto nella visione artica di Washington. Ma, anche questa volta, la costruzione di una politica e di una strategia artica in termini strutturati sembra procedere piuttosto debolmente.
In aggiunta ai giustificabili ritardi nella costruzione, permangono ancora dubbi e sfide che complicano ulteriormente il futuro margine di manovra della flotta rompighiaccio, come la costruzione di infrastrutture e porti adatti, una mappatura delle acque più dettagliata e completa, la partnership tra agenzie (la Guardia Costiera opera sotto il Dipartimento della Sicurezza Interna, mentre la Marina sotto il Pentagono), l’assegnazione del budget all’interno dell’arena politica nazionale e le competenze tra dipartimenti militari.
Per ora non resta che aspettare ancora una volta, chiedendoci nel frattempo cosa, con l’avanzare di maggiori effetti della crisi climatica, potrebbe accadere.
Agata Lavorio
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