L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 21 marzo la Giornata Mondiale dei Ghiacciai. Una ricorrenza che vuole sensibilizzare sull’importanza di questi giganti e accendere i riflettori sulla loro vulnerabilità ai cambiamenti climatici.
Nel corso della settantasettesima sessione ordinaria, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato all’unanimità la proposta del Tajikistan per dichiarare il 21 marzo Giornata Mondiale dei Ghiacciai e il 2025 Anno Internazionale per la Conservazione dei Ghiacciai.
Se vi foste mai domandati da dove spuntano queste ricorrenze, ora sapete che non sono (del tutto) casuali. Ciascuno dei 193 stati membri dell’ONU può fare una proposta. Se questa raggiunge l’unanimità, diventa una giornata ufficiale in tempi tecnici (per essere pignoli dovremmo aspettare il 21 marzo 2025). Talvolta la data scelta richiama un avvenimento storico particolarmente simbolico. Talvolta è una questione di fare spazio nel calendario.
Oggi l’ONU conta oltre 140 giornate internazionali.
Lo scopo è “educare il grande pubblico su fonti di preoccupazione, per mobilitare la volontà politica e le risorse necessarie ad affrontare i problemi globali”. Quindi anche se la ricorrenza è ancora ufficiosa si presta per un valido momento di diagnosi e prognosi.
A partire dagli anni ‘60, sempre peggio. La salute dei ghiacciai si misura principalmente attraverso il bilancio di massa annuale, ovvero la differenza netta tra l’accumulo di neve e lo scioglimento per ablazione calcolata alla fine di un anno idrologico (riferimento temporale per lo studio dei regimi fluviali e dei cicli climatici che va dal novembre di un anno e all’ottobre di quello successivo). Un bilancio negativo sostenuto a lungo significa che il ghiacciaio sta scomparendo.
I dati raccolti dal World Glacier Monitoring Service (WGMS) coprono un insieme di ghiacciai di riferimento a livello globale per i quali sono disponibili più di 30 anni di osservazione continuativa. Un gruppo di esemplari rappresentativi della salute dell’intera specie.
Nell’ultimo anno idrologico (2022/23), i ghiacciai osservati hanno subito una perdita complessiva di 1200 kg di ghiaccio per metro quadrato. Un record che si aggiunge ai precedenti. I 7 dei 10 anni di bilancio di massa più negativi sono avvenuti tutti dopo il 2010.
L’accelerazione della perdita di ghiaccio, decennio dopo decennio, “non lascia dubbi sul cambiamento climatico in corso”. Anche se la relazione causale non è del tutto lineare. Bisogna tenere conto anche dei feedback positivi innescati dallo scioglimento, processi come l’abbassamento superficiale e la disintegrazione del ghiacciaio, che amplificano ulteriormente la perdita di massa.
E bisogna tenere conto del darkening,il deposito di detriti e polveri di origine sia naturale che antropica (combustione incompleta di prodotti petroliferi) che riduce la capacità della superficie di ghiaccio di riflettere la luce solare (albedo). Insomma, una serie di circoli viziosi.
Con i ghiacciai scompaiono panorami inestimabili, accecanti nella loro maestosità, capaci di silenziare la boria umana. Un lutto – solastalgia – che potrebbe forse essere elaborato se non scatenasse una reazione a catena di pericolosi impatti materiali.
I ghiacciai sono elementi fondamentali nella regolazione del ciclo idrologico e del clima locale e globale. Come la mucca di brina Auðhumla, da cui origina il mondo nella mitologia norrena, così i ghiacciai sono vivi e fautori di vita, ricorda Andri Snær Magnason nel suo libro “Il tempo e l’Acqua“. Da loro dipendono l’approvvigionamento di acqua potabile di 2 miliardi di persone e due terzi dell’agricoltura irrigua mondiale.
Il loro collasso mette decine di milioni di persone a rischio inondazioni. Lo scioglimento massiccio del ghiaccio infatti provoca la nascita, e lo straripamento, di laghi glaciali (fenomeno particolarmente visibile in Pakistan). Non solo, la scomparsa di enormi masse glaciali si ripercuote sull’intensità dei monsoni su scala globale.
“I ghiacciai non stanno scomparendo nel nulla, stanno diventando un oceano crescente che si infrangerà sulle porte della città del mondo”, ha evidenziato sempre Magnason, autore tra l’altrodel necrologio per il primo ghiacciaio islandese scomparso nel 2019, l’Ok.
Nei prossimi 25 anni, un miliardo di persone residenti in zone costiere saranno esposte alle conseguenze dell’innalzamento del livello del mare, principalmente causato dallo scioglimento delle calotte glaciali (sistemi di ghiacciai) di Groenlandia e Antartide.
Infine, i ghiacciai sono a tutti gli effetti degli archivi climatici estremamente preziosi. Consentono di ricostruire l’evoluzione del clima passato andando a ritroso di centinaia di migliaia di anni (800,000 in Antartide). Tracce di una storia di cui non abbiamo altra possibile memoria e che permettono di leggere con più alta risoluzione il clima attuale, nonché di calibrare i modelli per prevedere quello futuro. Questa è la missione ad esempio dell’Ice Memory Foundation, che vede un forte coinvolgimento dell‘Istituto di Scienze Polari del Consiglio Nazionale delle Ricerche Italiano (Cnr).
Non serve imbarcarsi in lunghe spedizioni dall’altra parte del mondo per essere testimoni del disequilibrio e della graduale scomparsa dei ghiacciai. Gli esempi abbondano sulle Alpi con dati particolarmente preoccupanti.
Un gruppo internazionale di ricercatori, tra cui esperti dell’Istituto di scienze polari del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isp) ha studiato l’evoluzione al 2100 della linea di equilibrio (ELA) dei circa quattromila ghiacciai situati nelle Alpi.
L’ELA è un po’ come una linea su cui leggere la febbre dei ghiacciai. È la quota che divide la zona di accumulo (crescita) da quella di ablazione (scioglimento). “Meno neve durante l’inverno e più caldo in estate portano la ELA ad altitudini più elevate, se (questa, ndr) va a collocarsi sopra la quota più alta occupata da un ghiacciaio, questo è destinato a scomparire” ha spiegato Renato R. Colucci del Cnr-Isp.
I dati raccolti hanno evidenziato che entro fine secolo potremmo perdere dal 69% al 92% dei ghiacci alpini a seconda dello scenario che si verificherà. Conclude Colucci: “Il totale disequilibrio con il clima dei ghiacciai attualmente localizzati al di sotto dei 3500 m di quota sulle Alpi, porterà comunque alla loro quasi totale scomparsa nel giro dei prossimi 20-30 anni”.
Matteo Oreggioni, scrittore ed operatore glaciologico, ha raccontato lo stesso fenomeno nel suo libro “Filosofia tra i ghiacci” allargando la riflessione dal piano meramente scientifico. Oreggioni solleva una questione interessante, la pratica di coprire i ghiacciai con teli plastificati, che definisce una “rappresentazione plastica dell’impossibilità di una cura”.
Si tratta di progetti spesso controversi e a rischio greenwashing se presentati come soluzioni al cambiamento climatico. Questi teli hanno senso solo se applicati su porzioni ridotte dei ghiacciai al fine di tutelare interessi economici e turistici. Hanno costi proibitivi, comportano un problema di dispersione di microplastiche e non devono distrarre dalle reali soluzioni di mitigazione.
“Educare il grande pubblico su fonti di preoccupazione, per mobilitare la volontà politica e le risorse necessarie ad affrontare i problemi globali” e “per celebrare e rafforzare i successi dell’umanità”. Questa è la seconda parte della ratio delle giornate internazionali ONU.
Un intervento tempestivo e massiccio per mitigare il cambiamento climatico potrebbe permetterci di celebrare qualche progresso nella protezione dei ghiacciai. Altrimenti, il 21 marzo diventerà una giornata di commemorazione.
Annalisa Gozzi
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