L’intervista al CEO di Real Ice, Andrea Ceccolini, per capire meglio la tecnica e le attività di sviluppo della start-up che vuole ricreare il ghiaccio artico.
Ricreare il ghiaccio dell’Artico
Partiamo da un presupposto. Il ghiaccio artico fonde sempre più, e i dati mostrano che la stagione invernale, quando si ricrea il ghiaccio marino, è sempre più breve. In poche parole: il ghiaccio perenne rischia di fondere completamente durante le estati dei prossimi quindici anni, e la mancanza di superficie bianca alimenta ulteriormente il riscaldamento del pianeta, visto che i raggi solari vengono riflessi in maniera minore.
“Il riscaldamento dell’Artico è molto più deciso rispetto ad altre latitudini, e questo ovviamente crea un problema enorme che difficilmente è comprensibile alle nostre latitudini”, racconta Andrea Ceccolini, CEO di Real Ice e con una lunga esperienza nel mondo tech. E allora, cosa possiamo fare, considerando l’enormità della regione e il progressivo peggioramento delle condizioni climatiche globali?
“La nostra attività parte da qui, con un approccio molto pragmatico. Esiste un ampio dibattito sull’utilizzo della geo-ingegneria, ma pensiamo che sia necessario guardare alla soluzione dei problemi con una visione olistica. Se da una parte è necessario continuare a insistere sulla decarbonizzazione e sulle attività di contrasto al cambiamento climatico, dall’altra serve anche agire rapidamente per mitigarne gli effetti. E per ricreare le condizioni ideali per il pianeta e il nostro benessere”.
Le azioni di Real Ice
Il ghiaccio marino artico riflette una notevole quantità di luce solare nello spazio, contribuendo al raffreddamento generale del pianeta, grazie al suo colore chiaro. Questa azione continuativa, detta “effetto albedo“, è stata messa in crisi dal riscaldamento globale e dalla minore capacità del ghiaccio marino artico di ricrearsi durante l’anno. Più l’acqua scura del mar assorbe calore, più si amplifica il problema. “Qui si inserisce il nostro progetto“, sottolinea Ceccolini, dal suo ufficio di Londra. “Stiamo progettando un sistema modulare e ad alta autonomia di droni sottomarini per ricreare il ghiaccio marino“. Troppo bello per essere vero?
“Ci è stato detto che il grado di salinità del mare avrebbe fatto naufragare il nostro progetto, perché l’idea è tanto semplice quanto estrema: dirigere un flusso di acqua sul ghiaccio, in modo tale da sfruttare la temperatura abbondantemente sotto lo zero per ricrearlo e ispessirlo. Abbiamo svolto diversi campi prova in Alaska, e nonostante tanti pareri contrati abbiamo dimostrato empiricamente che si può fare”.
Obiettivo dichiarato, quello di agire oggi per preservare circa 4 milioni di chilometri quadrati di ghiaccio marino. Una superficie colossale, che necessita di idee radicali e innovative. “Tecnologia e natura possono coesistere, e dobbiamo considerare che ormai qualsiasi azione deve avere una base di innovazione. Se pensiamo che per ricreare una foresta basti piantare milioni di semi, siamo fuori strada“, sottolinea ancora Ceccolini, che in Real Ice è entrato nel 2022 portando nuove energie e nuove idee.
Più rapido del freezer
Nel concreto, come fate a ricreare il ghiaccio in un’area così immensa e complessa? “Si pompa acqua sopra a uno strato di ghiaccio, ma è difficile farlo da una nave. Qui sta la sfida più grande, perché deve essere un’attività carbon free ed economicamente sostenibile. Pompando acqua su uno strato di neve, sopra il ghiaccio, la neve stessa si trasforma in ghiaccio e creando quindi un ulteriore spessore.
Per il pompaggio, servono pompe elettriche. E i droni si inseriscono qui, perché la temperatura subacquea è migliore rispetto a quella fuori dall’acqua. “Lavorando a circa -1,5°, i droni possono portare esattamente l’acqua dove riteniamo sia più utile, e le pompe possono lavorare con più autonomia. I droni a cui stiamo lavorando arriveranno nel punto prescelto, faranno un buco nella superficie ghiacciata e pomperanno acqua. La temperatura farà il resto”.
Il progetto, visionario e semplice allo stesso tempo, ha già raccolto grande interesse scientifico anche nei più rinomati campus britannici. A che punto siete? “Entro il 2026 vogliamo aver finito la fase di ricerca e sviluppo del modello del drone, e nel 2027 cercheremo di coprire circa 100 chilometri quadrati in Canada, dove abbiamo già svolto un altro campo prova molto utile, lavorando con gli Inuit”.
E i costi? “Se parliamo dell’intera regione artica, ragioniamo in miliardi di dollari. Ma questa, insieme ad altre soluzioni, può essere un’opportunità globale finanziabile anche a livello governativo. E se consideriamo gli attuali costi di emergenza del cambiamento climatico, la nostra idea sarebbe solo un piccolo investimento in ricerca, rispetto al costo che rappresenta oggi la crisi climatica”
Leonardo Parigi
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