I dati climatologici segnalano la perdita media lineare di superficie ghiacciata, e gli scienziati hanno individuato tre meccanismi chiave per leggere il futuro del ghiaccio artico.
Quest’anno il ghiaccio marino del Circolo Polare Artico ha raggiunto la sua minima estensione stagionale il 18 settembre e, secondo le rilevazioni satellitari del centro di ricerca National Snow and Ice Data Center dell’Università del Colorado, la contrazione si è assestata attorno ai 4,86 milioni di km².
Dal 1979 a oggi, la comunità scientifica internazionale ha riscontrato una perdita media lineare della superficie ghiacciata di 79.000 km² annui; in altri termini, in una finestra temporale di 43 anni, la calotta polare artica si è ridotta di circa 3,59 milioni di km², un’area che equivale a due volte il territorio dello stato dell’Alaska.
Ciononostante, durante la scorsa estate lo scioglimento del ghiaccio marino artico è apparso meno estremo rispetto alle estati precedenti (l’estate del 2012 detiene il primato storico con un’estensione minima di soli 502.000 km²), sebbene la temperatura atmosferica dell’intera regione sia stata eccezionalmente alta.
Nel mese di giugno, le colonnine di mercurio di numerose città situate al di sopra del 66° Nord hanno segnato temperature che abitualmente infuocano le spiagge bianche di Santo Domingo, Honolulu, o Bali. Il Norwegian Meteorological Institute ha stimato che la temperatura più alta è stata registrata nelle città norvegesi di Tana e Porsanger, che hanno raggiunto i 32,5°C.
Nel corso dell’anno, il ghiaccio marino dell’Oceano Artico si espande e si ritrae ciclicamente. In autunno, quando i raggi del Sole colpiscono la regione con intensità decrescente e la temperatura atmosferica diminuisce, l’area ghiacciata inizia ad aumentare in maniera progressiva. Quindi la coltre cresce nell’arco dell’inverno fino a raggiungere la sua massima estensione in primavera, quando la luce solare torna a scaldare l’atmosfera e fa fondere il ghiaccio.
Il ghiaccio marino raggiunge la sua massima estensione alla fine dell’inverno e la sua minima estensione alla fine dell’estate, poiché gli oceani si raffreddano e si riscaldano in ritardo rispetto alla temperatura dell’atmosfera. L’aumento delle temperature, lo scioglimento dei ghiacciai, la riduzione dell’estensione e dello spessore del ghiaccio marino, lo scongelamento del permafrost, e l’incremento del livello dei mari.
Sono tutti sintomi del riscaldamento della regione artica, le cui conseguenze non si limitano alla regione in sé ma si estendono sull’intero sistema climatico della Terra, amplificando l’entità del cambiamento climatico.
Gli scienziati hanno individuato tre meccanismi attraverso i quali le caratteristiche e i processi naturali artici, che però si manifestano a causa del riscaldamento globale, possono incrementare ulteriormente gli effetti del cambiamento climatico.
Il primo meccanismo ha a che fare con le proprietà riflettenti del ghiaccio e della neve che ricoprono quasi costantemente la regione e che alimentano un circuito di rifrazione che restituisce allo spazio le radiazioni del Sole. Con l’aumento delle concentrazioni di gas a effetto serra, il ghiaccio e la neve si formano più tardi in autunno e si sciolgono precocemente in primavera, esponendo più a lungo le superfici di acqua e di terra sottostanti che assorbono più energia.
Questo processo riscalda ulteriormente la superficie e l’atmosfera della regione, provocando uno scioglimento ancora più rapido del ghiaccio e della neve, e mettendo in moto un circolo vizioso che si autoalimenta e che è alla base della ragione per la quale l’Artico si sta riscaldando tre volte più velocemente rispetto ad altre regioni.
Il secondo meccanismo riguarda i flussi di circolazione delle acque oceaniche, che conducono l’energia solare dall’equatore verso i poli. L’inclinazione dell’asse terrestre fa sì che in prossimità dell’Equatore il Pianeta assorba una maggiore quantità di radiazioni solari rispetto a quanta non ne venga assorbita nelle regioni polari; l’energia immagazzinata nelle acque tropicali raggiunge poi le regioni più fredde attraverso un delicato sistema che tiene conto delle concentrazioni saline.
Se gli oceani sono resi meno salati a causa dell’aumento dell’acqua dolce – derivante dallo scioglimento dei ghiacci polari, del permafrost, e dei ghiacciai -, l’energia rimane bloccata all’altezza della fascia equatoriale; l’interruzione della circolazione oceanica, paradossalmente, sta inducendo così al raffreddamento di alcune regioni e al surriscaldamento di altre.
Il terzo meccanismo concerne lo scambio di gas a effetto serra tra il suolo e i sedimenti artici e l’atmosfera. Nel permafrost – lo strato di terreno permanentemente ghiacciato che si trova ad alte latitudini e ad alte quote – sono intrappolate grandi quantità di diossido di carbonio e di metano.
Il riscaldamento globale provoca il rilascio di questi gas a effetto serra, che fanno aumentare ulteriormente la temperatura dell’atmosfera e che quindi innescano il medesimo ciclo descritto nel primo meccanismo. Il rapido degradamento delle regioni polari agisce pertanto come amplificatore per il riscaldamento globale e come acceleratore per il cambiamento climatico.
Nicolas Drago
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