Galya Morrell è un’artista ed esploratrice artica. È nata in Unione Sovietica nel 1961 e, seguendo i passi dei suoi antenati del nord, pastori di renne Komi e cacciatori Pomory, vive e viaggia nell’Artico da oltre 30 anni.
Da Mosca al mondo intero
È stata cresciuta dai nonni fra Mosca (d’inverno, nel periodo scolastico) e l’artico russo (d’estate), quindi si è laureata in giornalismo e ha lavorato prima come reporter di guerra per il principale giornale sovietico, la Pravda, viaggiando dalle sabbie del Karakum ai geyser della Kamchatka, dall’altopiano del Pamir ai deserti ghiacciati della Chukotka.
Morrell ha poi lasciato la Russia per vivere due anni a Madrid lavorando come diplomatica, e infine ha scelto di tornare alle sue origini e dedicare la sua vita all’Artico. Parte della sua famiglia vive a New York, dove torna alcune settimane all’anno, ma suo marito è di etnia Inuit, e ciò la porta a vivere in un nomadismo continuo fra la Groenlandia e la Siberia.
Galya Morrell è stata ideatrice e co-fondatrice di diversi progetti la cui missione principale è prevenire l’aumento dei suicidi giovanili nelle regioni artiche. Nel suo lavoro artistico ed educativo vuole assicurarsi che la cultura e le tradizioni dei popoli dell’Artico siano preservate e tenute in vita come un essere vivente e più che come pezzi da museo.
Vivere col passato
«Vivere con i popoli da cui provennero i miei antenati è diventata la mia vera scuola», racconta Morrell. «Ho imparato a camminare sul ghiaccio e a vivere in sintonia con la natura invece che cercare di combatterla, a fidarmi del mio corpo e del mio istinto più che della ragione. Vivendo così, a poco a poco, ho iniziato ad allontanarmi dalle parole e a lavorare attraverso le immagini, perché il mio messaggio arrivasse al cuore delle persone, e da giornalista sono diventata artista».
Sotto lo pseudonimo di ColdArtist, Galya esplora i limiti del proprio corpo in un raro genere di performance visiva oltre il Circolo Polare Artico. Nella sua arte fonde con successo tradizione e modernità, indigeno ed esotico. La maggior parte delle sue mostre sono nate per essere nomadi, come la cultura di cui sono il vessillo. E le stesse hanno girato il mondo a dorso di renna e di cavallini yakuti, su slitte trainate da cani e su una piccola barca aperta, fra gli insediamenti più piccoli della Siberia e della Groenlandia.
Corpo e Mente
«Da giovane volevo diventare ballerina al Bolshoj, ed effettivamente aver studiato danza mi è tornato utile nel controllo del corpo che metto nelle mie performance artistiche. Uso soprattutto il mio corpo come principale mezzo di comunicazione. Mi fido del mio corpo più che della mia mente. La società occidentale ha messo su un piedistallo la nostra “mente civilizzata” e troppo spesso ci dimentichiamo che oggi la nostra mente è solo un derivato di tutti i nostri istinti ancestrali nascosti al di sotto di essa. Istinti che tornano ad essere essenziali quando ci avviciniamo alla dimensione più animale della vita e dobbiamo adottare le strategie più diverse per vivere nel freddo artico».
Il mio palcoscenico è un deserto di ghiaccio: qui si può vedere per centinaia di miglia in ogni direzione ed il silenzio è assoluto. Gli unici rumori sono i richiami delle foche, il pack che si spezza o gli ululati di pochi lupi, gli sfiati delle balene e il coro notturno dei cani da slitta, ma tutto sovrasta la sinfonia di colori dell’aurora boreale».
Il ruolo del silenzio è cruciale per le popolazioni artiche. In una società in cui siamo abituati ad essere bombardati continuamente dalle informazioni, è sorprendente come, durante un viaggio nell’Artico, anche il manager più indaffarato impari finalmente il valore del silenzio.
Dopo alcune ore di marcia silente, il corpo, i sensi e le orecchie iniziano ad adattarsi e a percepire ogni minimo rumore. Si impara a distinguere il tipo di terreno sotto i piedi, a camminare sul pack alla deriva e si inizia a diventare tutt’uno contro la natura.
Expedition Avannaa
Insieme all’esploratore polare groenlandese (e marito) di etnia inuit Ole Jorgen Hammeken, Galya ha co-fondato Expedition Avannaa, un progetto di spedizioni culturali che raccolgono le testimonianze dalla viva voce dei più piccoli insediamenti artici. Questi villaggi rischiano di scomparire a breve a causa dello spopolamento e degli effetti del cambiamento climatico, ed è essenziale che rimanga memoria della loro voce anche quando non ci saranno più.
Galya Morell viaggia fra la Chukotka, l’Alaska e la Yakutia, e raccoglie storie e leggende di questi insediamenti. Organizza spettacoli musicali, circensi e teatrali in cui usa il pack alla deriva come palcoscenico. La prima di queste esplorazioni Galya l’ha fatta con Ole, viaggiando su una piccola barca aperta e attraversando l’Oceano Artico per 4000 km.
«Ci vestiamo con pelli di animali e cacciamo con le lance. Beviamo sangue caldo e talvolta non ci laviamo per mesi. Un terzo dell’anno abbiamo la notte, nell’altro terzo il giorno, e tutto il resto è il crepuscolo. Dormivamo durante il giorno e viaggiavamo di notte: il mare è più calmo di notte e spesso si vede meglio che di giorno».
«Abbiamo fatto tappa in ogni singolo insediamento che abbiamo incontrato, visitando persone che vivono negli insediamenti più settentrionali del mondo. Così, abbiamo potuto vedere in prima persona come affrontano i cambiamenti climatici, la caccia e la pesca. Siamo stati fortunati a condividere il bottino della carne di foca con i nostri nuovi amici a Qeqertat alle 3 del mattino… Siamo andati a caccia di narvali a mezzanotte e poi ci siamo uniti alla festa mattutina che ne è seguita».
Un Artico senza limiti
Nel 2015 Galya e Ole hanno fondato Arctic Without Borders, un’iniziativa diplomatica con lo scopo di costruire ponti culturali tra le comunità circumpolari più piccole attraverso la collaborazione e lo scambio di conoscenze.
«L’Artico è un posto speciale: qui nulla limita l’orizzonte. In questo bianco si può pensare senza parole, e gli elementi naturali risvegliano l’immaginazione umana. Qui vivono persone coraggiose, che non si lamentano delle loro circostanze, non “lottano” contro gli elementi, ma vi si integrano, sfruttando al meglio le forze della natura come se facessero parte di loro stessi».
Corinna Ramognino
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