Investimenti, documenti ed eventi mirati per la rinnovata “passione polare” di Parigi.
In soli 7 anni, dal 2023 al 2030, la Francia investirà un miliardo di euro nella ricerca polare. Lo ha dichiarato il Presidente Emmanuel Macron a conclusione di un vertice sul tema organizzato dall’Eliseo lo scorso 10 novembre, poco prima che si avviassero i lavori di COP 28.
Nell’ambito dell’annuale Paris Peace Forum, l’Eliseo ha organizzato un vertice interamente dedicato alla protezione della criosfera globale. L’One Planet-Polar Summit ha riunito numerosi capi di stato da Paesi che includono territori polari o ghiacciai nei propri confini. La Francia stessa annovera importanti ghiacciai nelle sue regioni alpine, una porzione di territorio e una stazione di ricerca scientifica (stazione di Dumont-d’Urville) nella penisola Antartica, e aspira a consolidare il ruolo di leader sul tema.
Il summit ha giovato del partenariato dell’Organizzazione Metereologica Mondiale (WMO) e dell’Organizzazione Educativa, Scientifica e Culturale delle Nazioni Unite (UNESCO). Numerosi esperti da tutto il mondo si sono riuniti nella capitale francese per presentare analisi e previsioni sulla salute dei ghiacciai, delle calotte in Antartide e Groenlandia, del permafrost e del ghiaccio marino nell’Artico.
Le “conseguenze, locali, regionali e planetarie, associate al restringimento della criosfera” dipinte dai ricercatori vanno oltre il degrado di ecosistemi unici, minacciando la vita di centinaia di milioni di persone.
In risposta a dati inequivocabili e accumunati dalla cifra dell’urgenza, è stato lanciato l’Appello di Parigi per i ghiacciai e i poli. Un’iniziativa che ad oggi riunisce una trentina di stati (Italia inclusa) e che secondo Macron “rafforzerà diverse azioni”.
Tra queste una in particolare ricorda che quello che succede ai poli non resta ai poli: l’attivazione di una coalizione di città, Stati insulari, grandi regioni costiere minacciate dall’innalzamento del livello del mare causato principalmente (ma non solo) dallo scioglimento dei ghiacci continentali, sotto la guida del sindaco di Nizza, Christian Estrosi.
La Francia ha fatto al tempo stesso da padrone di casa e da capo fila ben oltre la leadership politica e diplomatica, staccando un assegno da 1 miliardo di euro per la ricerca polare con scadenza al 2030.
Diverse sono le iniziative che verranno finanziate con questo generoso stanziamento, nell’ottica di fare dei poli “spazi privilegiati per la pace, la cooperazione scientifica e ambientale” nonostante il “rinnovamento delle tensioni geopolitiche” (leggi guerra Russo-Ucraina n.d.r.), secondo Macron.
In un contesto internazionale in cui i nostri punti di riferimento sono scossi, di fronte al ritorno della guerra e alla negazione delle nostre regole comuni, facciamo di questo vertice la dimostrazione che siamo sempre capaci di scrivere una nuova pagina di questo grande racconto, polare e glaciale, fatto di progresso, avventura, trasmissione e cooperazione universale.” – Emmanuel Macron(traduzione dell’autore)
All’estremità Sud del pianeta, l’Eliseo si è impegnato a ricostruire la stazione di ricerca di Dumont-d’Urville dal 2026 e a rinnovare la stazione franco-italiana Concordia. Non solo manutenzione, ma anche nuove iniziative. Verrà finanziata la costruzione di una nave intitolata al primo ambasciatore francese per i poli, Michel Rocard per l’esplorazione del Pacifico Occidentale e dell’Antartica.
Sempre in Antartide, una parte dei fondi sosterrà l’innovativo progetto di Jean-Louis Etienne, il Polar POD, una nave dall’aspetto quasi futuristico che sfrutterà la Corrente Circumpolare Antartica riducendo al minimo l’impatto ambientale delle spedizioni nell’Oceano Australe.
Dall’altra parte del mondo, si spingerà l’acceleratore sul cantiere della stazione artica Tara. Un immenso progetto disegnato dall’architetto Oliver Petit e dalla Fondazione Tara Océan per contribuire agli obiettivi della prima Strategia Polare Francese al 2030, intitolata“Bilanciare gli estremi. Tra gli obiettivi della strategia vi è quello di “triplicare i mezzi finanziari” concessi dalle autorità pubbliche alla ricerca e alla logistica nell’Artico per bilanciare appunto l’impegno tra i due poli.
All’One Planet-Polar Summit si è celebrato dunque l’importanza della ricerca polare. Una finestra che ci ha permesso di comprendere le passate evoluzioni del clima (vedi il progetto Ice Memory tra le iniziative sostenute dall’Appello di Parigi) e che oggi monitora la salute dei poli come “canarini nella miniera” della crisi climatica.
In un contesto di crisi, con i record di temperatura che non hanno conosciuto feste natalizie e sono proseguiti imperterriti nel nuovo anno, l’Artico è il primo a perire. La temperatura superficiale nella regione è aumentata quattro volte tanto rispetto alla media globale e le quindici estensioni minime del ghiaccio artico mai registrate corrispondono esattamente agli ultimi quindici anni. Gli impatti amplificati sulla regione innescano a loro volta quelli che vengono definiti feedback positivi, circoli viziosi che aggravano l’aumento delle temperature e ci avvicinano a pericolosi punti di non ritorno, i tipping points.
Il diagnostico non è più roseo per l’Antartide e i circa duecentomila ghiacciai sparsi per il mondo, metà dei quali scomparirà probabilmente entro fine secolo. Cosa poter fare oltre a sostenere una forma di ricerca polare a basso impatto ambientale? Ridurre le emissioni di gas climalteranti e guardarsi da una forma di transizione ecologica che riproponga lo stesso menu estrattivista in salse diverse.
La Francia, volendo guardare al risultato prima che alla motivazione, è anche in prima fila a sostegno del divieto contro l’esplorazione dei fondali marini nelle regioni polari. “Non stiamo parlando di una minaccia per il domani, ma di una minaccia già presente e in accelerazione” che [n.d.r] “oggi minaccia milioni e in futuro minaccerà miliardi di persone” ha detto Macron. Una sfida su cui vale la pena investire e anche tanto.
Annalisa Gozzi
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