La nostra inviata a Parigi per il forum “Dinamiche geopolitiche nell’Artico”, per capire il ruolo della Francia e le evoluzioni nella regione polare.
Nella seconda parte del seminario “Dinamiche geopolitiche nell’Artico: Comprendere il ruolo della Francia” tenutosi a Parigi il 22 maggio e organizzato dall’Istituto Francese per gli Affari Internazionali e Strategici (IRIS) in collaborazione con l’Istituto Fridtjof Nansen (FNI), ci si è concentrati sugli interessi di UE e Francia nell’estremo Nord.
Nel corso degli anni, l’Unione Europea ha mantenuto costantemente aggiornata le proprie politiche sull’artico, dimostrando un interesse crescente per le problematiche e le opportunità dell’estremo Nord. In questo scenario di attenzione generalizzata e necessità di coordinare i diversi livelli di competenze tra Unione e Stati Membri, si trova una certa varietà di posizioni.
Tra i 27 membri UE, alcuni stati sono superficialmente consapevoli di quello che succede nell’artico e si interessano solo di determinate questioni. Le risorse minerarie della regione rappresentano senza dubbio un interesse largamente condiviso. Altri stati dell’UE, invece, hanno una visione molto ben definita, Finlandia e Svezia naturalmente, ma anche la Danimarca. O meglio, il Regno di Danimarca che include le Isole Fær Øer e la Groenlandia, e che si trova in una posizione unica di dialogo triangolare tra UE, NATO e Stati Uniti.
Il potenziamento militare ingaggiato dalla Russia rappresenta una campana di allarme a cui Copenaghen, tra le altre capitali europee, non può sottrarsi, anche a causa delle pressioni degli Stati Uniti affinché il Regno di Danimarca ne favorisca la presenza nell’artico. Tuttavia, la risposta danese alla minaccia russa è relativamente lenta e timida, rispetto ad esempio a quella della Norvegia.
In Europa, la posizione della Danimarca è particolarmente delicata e complessa, stretta tra la volontà di militarizzazione di Copenhagen e la resistenza groenlandese all’idea di diventare un avamposto militare nella regione.
E la Francia?
Le ambizioni dell’Eliseo nell’artico sono parte integrante di una strategia più ampia, attraverso la quale la marina francese punta a essere presente in tutto il mondo.
Lo sguardo francese sull’artico risponde a diversi interessi, dall’affermazione della propria potenza militare e la deterrenza, all’addestramento specifico sulle problematiche polari, alla costruzione di una concezione di sicurezza marittima che includa sia le questioni ambientali che quelle militari.
Il mandato estremamente ampio dell’Ambasciatore per i Poli e le Questioni Marittime, Olivier Poivre D’Arvor, sarebbe per Virginie Saliou, specialista in governance marittima presso l’Istituto per la Ricerca Strategica (IRSEM), l’espressione del fatto che la Francia guarda all’artico non tanto in qualità di regione geografica, quanto attraverso una “lente marittima”.
Altri esperti, invece, hanno suggerito che questa carica così vasta sia sintomo di una difficoltà nel tradurre i grandi investimenti per la ricerca polare in una rappresentazione politica efficace.
Le criticità dell’approccio francese alla regione artica sono state approfondite da Emilie Canova, dottoressa di ricerca presso lo Scott Polar Research Institute a Cambridge.
Riprendendo la discussione in merito all’Ambasciatore per i Poli e le Questioni Marittime, la dottoressa Canova ha tenuto a specificare che nonostante il carisma di questa figura pubblica (nota bene, non dipendente pubblico), la Francia rimane pressoché invisibile nelle conferenze sull’artico.
Un’assenza che non ci si aspetterebbe da un paese che si è dotato di un’apposita strategia per i poli.
Indubbiamente, l’ampiezza del mandato di Olivier Poivre D’Arvor non consente una presenza capillare, e il fatto che non esista ad oggi un equipe di lavoro ad hoc sull’artico non aiuta. Tuttavia, le contraddizioni sono copiose e visibilmente frustranti per gli esperti francesi.
La posizione contro le manovre del parlamento norvegese riguardo al deep sea mining versus l’accordo con lo stesso paese scandinavo sulla cooperazione per una trasformazione industriale “green”; ma soprattutto il focus sullo sviluppo delle tecnologie di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS) in tale accordo versus la narrativa di protezione ambientale e climatica dell’artico promossa dal “One Planet – Polar Summit” organizzato dalla Francia lo scorso novembre. E ancora, il tono paternalistico di queste istanze di protezione ambientale versus l’autorità degli stati artici.
Infine, le contraddizioni dello stesso documento della Strategia per i Poli presentato nel 2022 che ruota attorno alla sicurezza marittima e alla volontà di trasporre la leadership francese nella ricerca in Antartide dall’altra parte del mondo.
Un documento sull’artico e non per l’artico, che si rivolge chiaramente a un pubblico – quello francese – che non ha ben chiaro perché il proprio stato dovrebbe interessarsi di questa regione. Una strategia, inoltre, che stride con le attività del Ministero per l’Europa e gli Affari Esteri e il coinvolgimento in certe esercitazioni militari, ma anche con le comunicazioni del Ministero della Difesa.
Insomma, il tentativo di “comprendere il ruolo della Francia” inscritto nel titolo dell’evento ha dato vita a molte suggestioni interessanti, lasciando diversi quesiti aperti che invitano a non distogliere, ora più che mai, lo sguardo dall’artico.
Annalisa Gozzi
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