La nostra inviata a Parigi per il forum “Dinamiche geopolitiche nell’Artico”, per capire il ruolo della Francia e le evoluzioni nella regione polare.
Il 22 maggio si è svolto a Parigi il seminario “Dinamiche geopolitiche nell’Artico: Comprendere il ruolo della Francia” organizzato dall’Istituto Francese per gli Affari Internazionali e Strategici (IRIS) e l’Istituto Fridtjof Nansen (FNI). Nella prima parte della giornata, si è discusso delle evoluzioni attese nello scacchiere geopolitico della regione.
“C’è ancora carenza di sfumature quando si parla di artico”, così ha esordito Andreas Østhagen, Senior Fellow presso l’istituto norvegese FNI. L’idea del seminario parigino ospitato da IRIS è nata proprio per rispondere a questa esigenza, “sfumare gli equivoci” che persistono attorno alla regione artica.
Alle parole di Østhagen è seguita una ola di approvazione degli esperti presenti.
Da dove origina questa rappresentazione a bassa risoluzione?
Da un lato, come spesso accade, dai banchi di scuola. L’offerta accademica relativa all’artico, e dunque la familiarità degli studenti con questa regione, è insufficiente anche negli istituti politici d’élite. Si consideri ad esempio l’università francese Sciences Po, al primo posto in Unione Europea nella categoria Scienze Politiche (QS World Ranking).
Dall’altro, dal mondo dei media, dove le testate non specializzate parlano sporadicamente – e per lo più superficialmente – di artico, mentre quelle specializzate scarseggiano.
Questa trattazione spesso a tinta unita e generalmente sottodimensionata dell’artico ha due conseguenze fondamentali. Una è tematica, la conflagrazione di molteplici e sfaccettate problematiche tra cui sicurezza militare, vie commerciali, diritti delle popolazioni indigene e clima. L’altra è geografica, la rappresentazione di un artico dove le specificità delle varie sotto-regioni vanno perdute.
Organizzando il seminario del 22 maggio, l’intento di FNI ed IRIS è stato quello di porre domande ben localizzate su temi precisi. Una direzione che gli esperti invitati hanno rispettato con cura.
Trattandosi di sviluppi geopolitici, non si poteva non partire dalla regione dell’artico interessata dalla presenza russa. Lo scoppio del conflitto russo-ucraino nel febbraio 2022 ha stravolto infatti la concezione di questa parte dell’artico, e reso l’evoluzione dei rapporti tra Putin e l’Occidente una chiave di lettura fondamentale per gli sviluppi nella regione.
Secondo il professore del FNI Arild Moe, il sisma dell’invasione in Ucraina avrebbe aperto due vie possibili per lo sviluppo regionale artico: l’isolamento della sfera russa oppure l’assist per una presenza sempre più consistente della Cina. A definire i prossimi sviluppi sarà il combinato disposto degli interessi egoistici delle due potenze.
Per ora, la cooperazione necessaria allo sviluppo risente dell’inaffidabilità della Russia, intenta a perseguire i suoi obiettivi immediati, il che favorirebbe la ricezione di una proposta da parte della Cina per una visione più a lungo termine. Ciò a patto naturalmente che Pechino ritenga di poter soddisfare i propri interessi lungo questa strada.
La Russia non teme che offrire alla Cina la possibilità di prendersi un dito finisca per sacrificare il proverbiale braccio? E invece l’instabilità “fisica” del permafrost in via di scioglimento?
Sul primo punto, va osservato che in poco più di un decennio il clima tra Russia e Cina è mutato al punto da rendere possibile (almeno) un dialogo su una forma di co-gestione della Northern Sea Route. La Russia sembra aver messo da parte – per ora – i ragionevoli timori per l’ingordigia dell’interlocutore asiatico e per l’evidente asimmetria di forze, perseguendo una strategia decisamente a breve a termine.
Sul secondo punto, sembra che la sfera politica russa non si sia ancora realmente interessata dei rischi climatici nel suo territorio. Domina la mentalità del tecno-soluzionismo: il cambiamento climatico – incluse le sue conseguenze sul permafrost – verrà “risolto”, grazie alla tecnologia. Di conseguenza, nonostante numerose attività di ricerca e analisi economiche suggeriscono di prestare attenzione al permafrost, questo monito non ha fatto breccia nella mentalità politica che domina il Cremlino.
Un altro grande tema affrontato è stato quello degli strumenti legali e di governance politica che interessano l’artico, e in particolare di come questi siano spesso considerati inefficaci, erroneamente.
Nell’artico “esiste un framework politico e legale solido”, ha infatti affermato Virginie Saliou, ricercatrice in governance marittima presso l’Istituto per la Ricerca Strategica della Scuola Militare francese (IRSEM), sottolineando come la cooperazione sia preponderante rispetto alle dispute vere e proprie.
All’interno di questo framework, un ruolo cruciale è giocato dal Consiglio Artico, nonostante la percezione distorta del suo assopimento. Lo stallo temporaneo delle attività del forum nel febbraio 2022 ha interessato sì il livello politico, e visibile, dei lavori, ma non quello più in ombra della collaborazione tra esperti.
Questo perché “ogni stato artico ha bisogno del Consiglio per giustificare le proprie rivendicazioni”, spiega Hélène de Pooter, specializzata in diritto internazionale e marittimo. Sotto la forte spinta della presidenza norvegese il Consiglio è tornato operativo molto rapidamente e rimane un centro di gravità politica nella regione.
Tuttavia, esistono importanti nodi di conflittualità, come lo status dei passaggi marittimi a nord-est e nord-ovest dove le disposizioni contenute nella Convenzione delle Nazioni Unite sulla Legge del Mare (UNCLOS) si scontrano sia con il reclamo della libertà di navigazione di Cina e Stati Uniti, che con le recenti prevaricazioni russe nel Mar Baltico.
Su questo secondo punto la professoressa Saliou ha apposto un asterisco particolarmente interessante. Martedì 21 maggio è stata pubblicata sul sito ufficiale del Cremlino la bozza di un decreto con cui la Russia vorrebbe modificare unilateralmente il confine marittimo con le vicine Lituania e Finlandia.
Una mossa che pare licenziare la Legge del Mare. Eppure, la UNCLOS rimane il riferimento legale delle rivendicazioni russe. Si tratterebbe quindi più che altro di una voluta “malinterpretazione finalizzata ai propri (della Russia) interessi”.
Al posto di una disapplicazione selettiva delle disposizioni legali internazionali, alcuni ufficiali del Cremlino spingono per il recesso totale della Russia dalla UNCLOS. Si tratta, però, di una strada senza uscita dal momento che la Corte Internazionale di Giustizia ha stabilito che la definizione della piattaforma continentale marittima è parte del diritto consuetudinario.
Mentre a Parigi si svolgeva questa discussione, il ministro degli Esteri lituano Gabrielius Landsbergis ha definito l’operazione russa “un’evidente escalation contro la NATO e l’UE, che deve essere accolta con una risposta adeguatamente ferma.”
Occhi aperti dunque sui prossimi sviluppi.
Annalisa Gozzi
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