L’intervista al Gen. Carlo Di Somma, Capo Ufficio Generale Pianificazione Finanziaria dello Stato Maggiore dell’Esercito.
Oltre 400 unità coinvolte, tra aerei, elicotteri, mezzi e uomini per l’esercitazione degli Alpini “Winter Resolve“, nel contesto della più ampia “Volpe Bianca 2024“. Con un unico obiettivo: addestrare le truppe italiane a un potenziale conflitto nel teatro artico. Lo scorso gennaio abbiamo avuto la possibilità di seguire da vicino l’esercitazione del Gruppo Tattico del 2° Reggimento Alpini, nell’area dell’alta Val di Susa e dell’alta Val Chisone.
Ma l’Esercito Italiano, e specialmente il Corpo degli Alpini, è da tempo concentrato (anche) sugli scenari bellici nei ghiacci estremi dell’Artico. Per capire perché e come, abbiamo intervistato il Gen. Carlo Di Somma, Vice Capo Ufficio Generale Pianificazione Programmazione e Bilancio allo Stato Maggiore della Difesa.
Le varie crisi internazionali attuali stanno cambiando nuovamente l’impianto delle Forze Armate e richiedono un approccio davvero multilivello. Fra questi, il “fronte Nord” potrebbe essere davvero un nuovo teatro di deterrenza o di eventuali azioni?
“Proprio in considerazione di questi aspetti, la NATO ha creato il Joint Force Command – Norfolk (JFC NF) nel settembre 2020 quale comando responsabile delle linee di comunicazione nel Nord Atlantico, in particolare a protezione del cosiddetto varco GIUK (Greenland, Iceland, United Kingdom), ma anche della protezione del territorio dei Paesi alleati del Nord Europa. Ciò si è reso necessario soprattutto a seguito della forte militarizzazione da parte russa dell’intera regione”.
Perché l’Italia si sta impegnando nella “winterizzazione” delle truppe e nell’addestramento per operazioni anche nell’Artico, se non ha interessi diretti a quelle latitudini?
“L’attenzione delle potenze regionali e globali verso l’Artico è in continua crescita, in relazione alle sue risorse naturali, ai benefici che ne derivano quale nuova via di comunicazione che connette l’Europa con il Nord America e l’Asia, e ai vantaggi riconducibili alla sfera dell’influenza politica e più specificatamente in ambito militare.
In tale contesto, si può affermare che quest’area dell’emisfero sta diventando rapidamente un nuovo teatro di competizione tra le grandi potenze, che stanno progressivamente migliorando e perfezionando le proprie capacità per operare nella regione, destinata a diventare un possibile e verosimile scenario di confronto. Il sempre maggior coinvolgimento dell’Italia è in linea con la crescente attenzione che la NATO sta dimostrando verso la regione. Infatti, negli ultimi anni l’Alleanza ha dimostrato uno spiccato interesse verso il Polo (con attività perlopiù riconducibili ad esercitazioni). Riteniamo, peraltro, di essere tra le poche Nazioni che possono esprimere una capacità strutturata in questo ambiente così pesantemente sfidante.
In tal ottica, le nostre truppe da montagna sono già addestrate ad operare in ambienti complessi come quello montano che, per alcuni aspetti legati allo stress psico-fisico, alle temperature rigide d’impiego e all’importanza dell’autonomia logistica, presenta delle caratteristiche similari a quello artico e subartico. D’altro canto, da un punto di vista non strettamente militare, l’Italia è stata ammessa nel Consiglio Artico dal 2013, in qualità di osservatore per l’attività svolta da tempo nella regione, sia a livello scientifico che economico.
In particolare, vivo è l’interesse nazionale nel campo della ricerca scientifica-ecologica, energetico e industriale, con la presenza di diversi stakeholder nazionali nell’area quali il Comitato Scientifico per l’Artico (CSA) con Programma di Ricerche in Artico (PRA – 2018); il CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) che gestisce delle basi scientifiche nell’Artide; l’ENI che opera, ad esempio, in Norvegia e in Alaska, LEONARDO e FINCANTIERI che sono coinvolte in progetti legati alla regione artica, potendo contare su assetti impiegabili nell’osservazione della Terra e nel Search and Rescue e su capacità cantieristiche funzionali alla produzione di naviglio da esplorazione, per produzione energetica eolica nonché per crociera”.
Oltre l’addestramento, è necessario avere anche mezzi e sistemi pienamente funzionanti in aree complesse, se parliamo di regioni artiche e sub-artiche. E così devono anche essere in grado di essere pienamente operativi con temperature di molto sotto lo zero termico. Quali sono i parametri principali per individuare i giusti mezzi per le brigate coinvolte in questi addestramenti?
“Considerando che si dovrà affrontare sia l’ambiente artico invernale (con diverse tipologie e stratificazioni di neve e temperature ben al di sotto dello 0), sia l’ambiente artico estivo (terreno che si traspone in soffice e acquitrinoso) è richiesta, in generale, una capacità di “deep fording”e di mobilità tattica estremamente elevata e versatile, richiamando il concetto “mobility equals lethality”.
Ciò, significando che la complessità delle condizioni di impiego e sopravvivenza richiede un elevato ritmo di operazione cercando di ridurre il tempo d’esposizione delle unità. A tal riguardo, sicuramente i mezzi pesanti e cingolati dovranno poter utilizzare una cingolatura adeguata per poter affrontare i terreni ghiacciati ovvero per garantire la corretta distribuzione del peso onde evitare lo sprofondamento nella neve o nei terreni paludosi.
Oltre a questa tipologia di piattaforme, si farà largo uso di mezzi di dimensioni contenute, agili e facilmente impiegabili quali motoslitte e quad, nonché di veicoli logistici su ruota che possano garantire i rifornimenti e i trasporti intra-teatro. In aggiunta, l’estensione e la morfologia del territorio richiedono un cambio del paradigma di impiego delle unità così come della capacità di muovere su grandi distanze. Sarà pertanto necessario, in chiave abilitante, avere un adeguato sostegno logistico e veicoli che consentano un’efficace mobilità operativa”.
Nordic Response ha visto la partecipazione anche dell’Italia, e non è la prima volta. Quanto si possono integrare le Forze Armate di diversi Paesi in un contesto così particolare, magari anche fisicamente molto distante dalle aree di prima appartenenza?
“La standardizzazione NATO agevola il processo di integrazione e la cooperazione tra tutte le F.A. dei Paesi membri e partner. Pertanto, questo tipo di esercitazioni creano il contesto migliore per confrontarsi con realtà così specifiche, ma soprattutto per confrontarsi con quei Paesi – e le loro F.A. – che insistono su queste aree geografiche del globo, al fine di identificare tutti quei gap che andranno colmati per avere la capacità di sopravvivere, muovere e, se necessario, combattere, nonché cercare di acquisire un adeguato know-how. Le peculiarità afferenti al particolare ambiente operativo necessitano di creare un “sistema artico”, non limitato all’esclusiva definizione di specifici progetti di sviluppo delle capacità militari ma, in prospettiva strategica, all’esplicitazione di un nuovo approccio che comprenda anche aspetti di cooperazione internazionale”.
I recenti ingressi di Svezia e Finlandia nella NATO quanto possono cambiare gli assetti dell’Alleanza verso Nord, e quanto questi ingressi possono semplificare anche l’addestramento e il monitoraggio delle regioni settentrionali della Nato?
“L’ingresso di Finlandia e Svezia nell’Alleanza amplifica sicuramente la panoplia di opportunità di confronto e le occasioni di integrazione e addestramento. Considerando l’aspetto della sicurezza del fronte nord è palese che i Paesi scandinavi, oggi, siano legati al Patto Atlantico e questo crea i presupposti per un controllo condiviso e integrato dell’intera area”.
Nel caso in cui ci possa essere un inasprimento del confronto oltre il Circolo Polare Artico, ritiene che sarebbero più impegnate truppe di terra o unità marine?
“Qualora ci fosse questa evenienza non si può pensare di svolgere operazioni disgiunte e scollegate, pertanto vedrebbe il comando di livello operativo (joint) coordinare tutte le componenti impiegate in un’ottica multi-dominio. Chiaramente, per loro natura e missione, le unità di terra sono quelle maggiormente specializzate per operare in un contesto come quello artico vedendo unità navali e aeree quale assetto strategico e di supporto per le operazioni.
In sintesi, non è possibile etichettare “di dominio esclusivo” di una componente nessun singolo ambiente operativo, ma è necessario immaginarlo sempre a “geometria variabile” dove le varie componenti, tra loro perfettamente integrate, siano in grado di produrre gli effetti richiesti dalla missione da assolvere, sebbene, nel contesto specifico, è inevitabile pensare a un ruolo di primazia dell’Esercito nel dominio land“.
Quanto incide la tecnologia, la ricerca e la spinta verso l’innovazione tecnologica (sistemi, cyber, ma anche design dei materiali) nei confronti dell’equipaggiamento adatto per essere pronti a qualunque scenario in quest’area?
“In verità c’è una grande attenzione a vari livelli per la ricerca e sviluppo di mezzi, materiali ed equipaggiamenti dedicati allo sviluppo della capacità di operare nell’artico e per motivi di ricerca scientifica anche in Antartide, dove l’Esercito vanta, da anni, la collaborazione e il supporto dell’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA). Nello specifico l’Esercito, tramite attività addestrative e dimostrative, sta coinvolgendo molteplici attori (Università, poli tecnologici/industriali e di ricerca) al fine di studiare, sviluppare, testare, individuare e infine implementare le soluzioni migliori per ogni aspetto riguardante il personale, l’organizzazione, i procedimenti tecnico-tattici e, naturalmente, i materiali specifici, senza i quali è impensabile condurre qualsiasi attività a quelle latitudini”.
Leonardo Parigi
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