Roma – Il sole del primo giorno di ottobre tradisce i primi giorni dell’autunno, e l’ufficio di Erik Vilstrup Lorenzen, Ambasciatore danese in Italia, è pieno di luce. Il mese di settembre è stato estremamente piovoso in Danimarca, e molti non si ricordavano un inizio di autunno così colpito dalla pioggia. Ma Copenhagen è lontana, e Roma è più vicina all’Artico di quanto non sia mai stata.
L’estate 2019 è stata senza dubbio caratterizzata dalle allarmanti notizie che arrivavano dal Polo Nord sulle tremende emergenze ambientali. La Siberia in fiamme, lo scioglimento del permafrost, la fusione a livelli da record del ghiaccio groenlandese. E il clima, insieme alla sostenibilità ambientale, sono i due prismi obbligatori attraverso i quali possiamo guardare il futuro. «La visione del Regno di Danimarca sull’Artico rappresenta prima di tutto una strategia complessiva tra la Danimarca, le Isole Far Øer e la Groenlandia». Sì, perché le peculiarità del piccolo regno danese, su questo tema, sono molteplici. Dei suoi 5 milioni e 781mila abitanti, solo poco più di 50mila abitano la più grande isola del mondo, la Groenlandia appunto, che è legata a Copenhagen per diversi aspetti. “Kalaallit Nunaat” possiede senza dubbio uno dei climi peggiori, un terreno ricoperto per i tre quarti della sua intera estensione da ghiacci perenni. Ma sta diventando uno dei punti cruciali della politica internazionale.
Il Regno di Danimarca è uno dei cinque Paesi costieri proprio grazie al legame con la Groenlandia. Dopo un passato secolare di colonizzazione, la Groenlandia è oggi un territorio autonomo all’interno del Regno, e i suoi 410mila chilometri quadrati liberi da ghiaccio (a fronte di 1,75 milioni di km quadrati che resteranno ancora sepolti sotto il bianco perenne) fanno gola a molti, che vedono in questo gigante geografico un punto di approdo per le navi portacontainer, possibili basi aeree, nuovi porti e grandi infrastrutture. «Ma ciò che perseguiamo, come Regno di Danimarca, è una prospettiva che incentivi uno sviluppo sostenibile e che abbia come scopo ultimo il miglioramento del benessere di chi vive nell’area», afferma l’Ambasciatore danese. «Molto spesso, quando si parla di Artico, si finisce a parlare delle visioni strategiche dei grandi Paesi e delle possibili implicazioni dei colossi mondiali. Ma l’Artico è anche e soprattutto un luogo che decine di migliaia di persone chiamano “casa”, e la Danimarca è perfettamente consapevole di questo aspetto».
L’ultima strategia complessiva per Copenhagen risale al 2011, quando fu pubblicata la “Kingdom of Denmark Strategy for the Arctic 2011-2020”. L’orizzonte temporale, quasi esaurito, prendeva in considerazione anche modelli climatici e ambientali che sono stati disintegrati dai rilevamenti degli ultimi mesi. La velocità di scioglimento dei ghiacci è decisamente più rapida rispetto al previsto, e anche il permafrost (il terreno rimasto ghiacciato per migliaia di anni che caratterizza queste porzioni di pianeta) sta via via collassando, liberando nell’aria tonnellate di anidride carbonica e metano. Ma a livello politico resiste un mito: “l’Artico è un luogo di grande cooperazione e di bassa tensione”. Un luogo comune o una realtà consolidata? «Certamente l’Artico rappresenta un unicum a livello politico. La notizia che il Consiglio Artico sia candidato come possibile vincitore del Premio Nobel per la Pace rende bene l’idea del lavoro di cooperazione che viene svolto quotidianamente da decenni. Per quanto possano coesistere visioni differenti su alcuni argomenti, i cinque Stati artici (Stati Uniti, Canada, Danimarca, Norvegia, Russia) lavorano alacremente per garantire alti standard di salvaguardia ambientale e di sviluppo sostenibile. E anche se esistono zone contese a livello di piattaforma continentale, l’approccio tra noi e la Russia – ad esempio – è sicuramente collaborativo».
La Groenlandia fra investimenti e diplomazia
Erik Vilstrup Lorenzen ha lavorato molto nell’ambito diplomatico, e il suo curriculum racconta molto del tema artico. Prima di essere nominato Ambasciatore a Roma, Malta e San Marino, Vilstrup Lorenzen è stato Ambasciatore in Canada tra il 2009 e il 2013, e poi ha ricoperto la stessa carica direttamente come rappresentante dedicato all’Artico per conto del Regno di Danimarca. «Porto con me la splendida esperienza del Canada», afferma guardando lontano oltre le colline romane. «Tutte le estati andavo in Groenlandia. Nel punto più stretto, Canada e Groenlandia sono distanti non più di 25 chilometri. Luoghi davvero magici». Ma la Groenlandia è assediata, se non manu militari, sicuramente dagli investimenti esteri. In tanti casi Copenhagen ha fermato i progetti. «Non possiamo essere naïf su certe questioni. Ben vengano gli investimenti, anche esteri. Ma siamo consapevoli della centralità della Groenlandia per la Danimarca e per i suoi stessi abitanti, e non possiamo aprire la porta a ogni tipo di investimento, specie quando rischia di essere un ariete per penetrare in altri ambiti».
E come rispedire al mittente la proposta di Donald Trump, che lo scorso agosto si era fatto avanti addirittura per acquistare l’intera isola? «Trump ha detto ciò che ha detto», racconta Lorenzen tradendo anche un certo fastidio «ma la posizione del nostro Governo è chiara: la Groenlandia non è in vendita». La Russia è il Paese costiero che sembra decisamente più avanzato per quanto riguarda le infrastrutture e l’implementazione militare. Come riesce la Danimarca, allo stesso tempo un piccolo e ricco membro dell’Unione Europea, a contrastare le mire di un colosso simile? «La cooperazione e il dialogo sono costanti che caratterizzano la regione artica, lo ribadisco. Ma portiamo avanti anche dialoghi bilaterali con i partner regionali, con altri Paesi non-artici, con le Organizzazioni Internazionali. Non è sempre facile e scontato riuscire a mantenere una posizione tale, tanto più se gli scenari politici riguardano tutti i gradini di una scala di pericolosità. Ma se la Russia è certamente la più avanzata a livello militare, tutti noi promuoviamo comunque una cooperazione forte e che si basi sullo sviluppo sostenibile».
«La Danimarca è membro NATO sin dalla sua fondazione», prosegue Lorenzen, «eppure siamo convinti che in certe situazioni, come in questo caso, sia molto più proficuo proseguire in una direzione di calma e accordi internazionali». Lo scorso anno la Cina aveva provato a inserirsi proprio in Groenlandia attraverso un finanziamento da 800 milioni di dollari per sviluppare l’aeroporto della capitale Nuuk, ma l’affare non andò in porto anche a causa dello stop istituzionale da parte di Copenhagen e Washington. «Gli investimenti nel settore turistico, nello shipping, nelle infrastrutture e nello sfruttamento delle risorse sono i benvenuti. A patto che rispettino tutte le nostre regole e i nostri standard». Danimarca e Stati Uniti sono legati anche da un’antica convenzione per cui la Thule Air Base, nella zona settentrionale dell’isola, possa essere utilizzata in maniera diretta ed esclusiva da parte dell’esercito americano. Un’assicurazione in più o un pungolo? «I rapporti tra noi e gli Stati Uniti sono ottimi, e anche se loro non si sono mai considerati come un Paese artico a tutti gli effetti – a differenza della Russia, che invece culturalmente è legata alle zone polari in maniera profonda – è chiaro che l’intervento di Mike Pompeo allo scorso Consiglio Artico non lascia dubbi sulle intenzioni di Washington di considerarsi della partita».
Il futuro è del Nord
La Danimarca è all’avanguardia per quanto riguarda lo sviluppo sostenibile e l’impegno verso una transizione ecologica sostenibile e partecipata. Ma cosa fare quando gli altri non rispettano le stesse regole?
«Ci sono aspetti, come la pesca, dove possono incidere solo gli accordi internazionali. Noi abbiamo alti standard qualitativi, differenti anche tra le tre entità della Danimarca, delle Isole Far Øer e della Groenlandia a loro volta, che però non tutti hanno. La pesca è uno di questi. Ma anche se ci sono visioni differenti, è necessario che tutti collaborino. Prendiamo la questione ambientale. Sarebbe surreale pensare che si possa incidere nella lotta al cambiamento climatico da soli. È necessario che tutti gli attori coinvolti siano parte della soluzione, per cui siamo contenti se anche altre entità statali e internazionali aiutano a migliorare la condizione regionale. Italia e Germania, ad esempio, sono Paesi distanti dall’Artico che però hanno attività di ricerca importanti a livello scientifico. L’Italia, inoltre, ha lo status di Osservatore presso il Consiglio Artico, il che le consente di prendere parte direttamente a molte questioni rilevanti. E se anche Roma è geograficamente molto distante, non importa. Ciò che conta è l’impegno e le risorse messe in campo da tutti per un obiettivo superiore».
Nessuno snobismo o paura allora nei confronti di quelle nazioni così distanti che si auto-definiscono “Stati quasi-artici”, o che vorrebbero far parte di questo club così elitario? «No, assolutamente. Certamente il Regno di Danimarca valuta con attenzione le partnership strategiche, ma se possiamo passare da un “Club di 5 Stati” – gli Stati costieri a tutti gli effetti, ndr – al numero complessivo che ha oggi il Consiglio Artico, allora è importante che si mantenga l’anima e la visione reale sulla regione. Ma non è negativo anche l’intervento esterno di altre realtà, che magari possono portare conoscenza, risorse e tecniche».
La Danimarca, nonostante le ridotte dimensioni della sua parte continentale, è forse uno dei Paesi con le idee più chiare su ciò che può significare lo sviluppo della regione. Se da una parte lo scioglimento dei ghiacci e del permafrost significa grandi cambiamenti, Copenhagen ha bene in mente che solo attraverso movimenti armonici fra tutti gli attori in campo si potranno raggiungere livelli di benessere per gli abitanti e uno sviluppo economico sostenibile. Il settore del trasporto marittimo e delle crociere è emblematico. Le previsioni dicono che ci saranno più navi e di stazza più grande a solcare le acque gelide dell’Artico. Ma navi e crociere significano anche investimenti per lo sviluppo o la creazione ex novo di porti, gasdotti, linee elettriche e alberghi. E ospedali, centri per il soccorso, eliporti. Potrà accadere tutto ciò guardando al benessere complessivo della regione e allo sviluppo sostenibile? Il Regno di Danimarca ha la sua risposta.
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