La navigazione nell’Artico e l’estrazione delle (ingenti) risorse energetiche sono due aspetti fondamentali per quanto riguarda lo sviluppo della regione. Se ne parla molto, ma cerchiamo di fare un po’ chiarezza.
Per arrivare a una sintesi sull’argomento abbiamo intervistato Federica Santoro, ricercatrice e analista geopolitica:
Buongiorno Federica, parliamo di navigazione nell’Artico. Le previsioni concordano sullo scioglimento dei ghiacci, ma quanto c’è di reale nella possibilità di una navigazione commerciale a breve?
Secondo l’ultimo Report dell’International Panel on Climate Change (IPCC), considerato il riscaldamento climatico globale a 2°, si prevede che l’Oceano artico sarà libero dai ghiacci una volta ogni dieci anni. L’International Maritime Organization (IMO) scommette sul Passaggio a Nord-Est quale principale via di trasporto marittimo nell’Artico e nel 2017 ha rilasciato un Codice che legifera sulla navigazione polare. Due dei principali Paesi oggi interessati all’Artico sono Russia e Cina. Quest’ultima come sappiamo ha rilasciato una Arctic Policy a Gennaio indicando nella rotta polare artica un obiettivo di natura strategica per il paese.
La Russia sta investendo, aiutata dalla Cina, in infrastrutture marittime, porti, nuovi rompighiaccio, una flotta di Difesa. Tutto questo ci fa pensare che in un futuro non troppo lontano le cose saranno molto diverse da come appaiono oggi. Proprio la Russia ha deciso di limitare il passaggio lungo la Northern Sea Route, per le spedizioni di petrolio, gas e carbone, alle sole navi battenti bandiera nazionale, costruite nei cantieri russi, in qualche modo applicando un principio contrario alla libertà di navigazione sancito a livello internazionale con l’obiettivo di proteggere l’industria navale russa. Ecco, questi sono tutti i segnali di una attenzione elevata che si traduce in procedure di regolamentazione mirate a proteggere gli interessi strategici della Federazione in Artico. Lo dimostrano le eccezioni applicate alle navi coreane da e per lo stabilimento di Yamal.
L’estrazione delle risorse energetiche dell’area che impatto potrebbe avere sull’area, anche a livello ambientale?
L’impatto economico e geopolitico dell’estrazione delle risorse, sopratutto gasifere, è potenzialmente altissimo. Sia per ciò che riguarda il sistema di approvvigionamento energetico euroasiatico, sia per il sistema economico e commerciale nel suo insieme. Dal punto di vista ambientale non so risponderle con precisione, certamente a garanzia dell’impatto ambientale delle operazioni tanto la Russia quanto ad esempio la Norvegia sono molto attente. L’ecosistema artico è fragile, come sappiamo necessita di maggiore cautela e dello sviluppo di adeguate infrastrutture e tecnologie, che mi sembra le compagnie coinvolte abbiano applicato.
Quello che è certo è che per adempiere a tutte le regole che istituzioni come il Consiglio Artico hanno definito, collegialmente, saranno necessari in futuro notevoli investimenti a garanzia e tutela tanto del mare quanto delle attività produttive locali e tradizionali come la pesca.
Le suggestioni di possibili conflitti nella regione vengono animate sempre più di frequente, ma quanto c’è di vero in questo scenario piuttosto che in una sorta di “spartizione” per settori?
Per ciò che riguarda gli allarmismi su un imminente conflitto in Artico, dal mio punto di vista la previsione non è fondata. Innanzitutto perché la regione, se così la volgiamo definire, ricade quasi totalmente sotto la giurisdizione degli stati artici. Quindi anche il mare, e conseguentemente ogni operazione – sia essa commercio, sfruttamento delle risorse o transito navale – deve sottostare alle norme del Diritto Internazionale Marittimo ed è comunque vincolata politicamente in diversi accordi multilaterali e bilaterali.
Gli Stati Uniti, gli unici che non abbiano ratificato la Convenzione, non mostrano particolari interessi bellicosi. Qui apro e chiudo una parentesi: l’operazione militare della Nato “Trident Juncture” dello scorso ottobre non può assolutamente essere definita una prova di guerra in Artico, ma va letta come una esercitazione che ha avuto l’obiettivo di testare il sistema di difesa dell’Alleanza e la capacità di tutti i paesi NATO di allenarsi e operare insieme in condizioni estreme. La stessa esercitazione è stata eseguita da Cina e Russia. Attenzione a confondere la necessaria capacità e dimostrazione di una capacità di deterrenza come prova di un imminente conflitto.
E’ davvero possibile che il settore energetico si sviluppi in un’area così ospitale e ad alto rischio? I benefici superano davvero i costi complessivi di operazioni di questo tipo?
Abbiamo visto come di recente il Qatar abbia annunciato la sua imminente uscita dall’Opec. Questo ovviamente avrà ripercussioni sul mercato del gas, di cui il Qatar vorrebbe divenire leader mondiale. La Russia è il secondo esportatore di gas al mondo dopo di USA, e ha tutto l’interesse a produrre di più per togliere agli Stati Uniti fette di mercato.
Certamente uno dei fattori-chiave sarà la domanda da parte dei Paesi asiatici in via di sviluppo, primo fra tutti la Cina. Le previsioni dell’International Energy Agency danno già la Cina come primo consumatore di gas naturale, posizione che avrà ancora almeno fino al 2023, con un netto incremento della richiesta per la produzione industriale.
Stando così lo scenario non mi meraviglierei se un giorno anche compagnie più piccole si tuffassero nell’impresa artica. Se le condizioni lo permetteranno, la redditività economica di questi progetti considerata dagli operatori una scelta di investimento a lungo termine, potrebbe rivelarsi la scelta giusta.
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