Oggi, mercoledì 22 aprile, si celebra la 50esima edizione dell’Earth Day, la giornata dedicata alla conservazione ambientale e allo sviluppo sostenibile. Una giornata che oggi più che mai assume grande rilevanza, anche in relazione alla scomparsa dei ghiacci.
«We must act decisively to protect our planet from both the coronavirus and the existential threat of climate disruption» – UN Secretary-General António Guterres
La manifestazione avrebbe dovuto essere una delle più grandi in assoluto a livello globale, sul tema ambientale. La pandemia in atto in tutto il globo costringe gioco-forza a trasportare sul mondo digitale le istanze del mondo per quanto riguarda lo sviluppo sostenibile.
Acqua, rifiuti, sviluppo, educazione, lavoro, tecnologia. Tutti i temi della nostra quotidianità sono inevitabilmente collegati fra loro, e riuscire a riconoscere questo aspetto nella battaglia per lo sviluppo sostenibile rappresenta la chiave di volta per una crescita politica del tema.
Artico e Polo Nord rappresentano senza ombra di dubbio uno degli indicatori più specifici. Secondo l’analisi di Rinnovabili.it:
Quello che è certo è che, per vedere gli effetti del riscaldamento globale al Polo Nord, non bisognerà aspettare il 2050. A sostenerlo è oggi un nuovo studio che ha coinvolto 21 istituti di ricerca di tutto il mondo. Il ricco team, coordinato da Dirk Notz dell’Università di Amburgo, ha preso in mano 40 diversi modelli climatici e sulla base degli ultimi dati ottenibili, ha estrapolato la futura evoluzione del ghiaccio marino artico.
Attualmente, il Polo Nord è coperto da ghiaccio tutto l’anno. Ogni estate, tuttavia, l’area di copertura diminuisce, per poi tornare a crescere in inverno. L’aumento delle temperature terrestri ha fatto sì che negli ultimi decenni si perdesse il perfetto ri-equilibrio stagionale. In altre parole l’area complessiva ha perso molti metri di estensione, influendo direttamente sull’ecosistema e sul clima.
Ma gli studi in materia si moltiplicano, e tutti puntano verso la medesima direzione. Sappiamo che la velocità di fusione dei ghiacci artici è continuamente aumentata, arrivando a immettere ogni anno nei mari qualcosa come 275 miliardi di tonnellate di ghiaccio, contribuendo per il 20% all’aumento del livello marino. E, soprattutto, immettendo grandi quantità di acqua dolce nel fragile sistema di correnti oceaniche.
Stando allo studio pubblicato sul giornale The Cryosphere, intitolato “Unprecedented atmospheric conditions (1948–2019) drive the 2019 exceptional melting season over the Greenland ice sheet”, i modelli climatici suggeriscono che nel 2019 lo scioglimento dei ghiacci groenlandesi abbia contribuito all’innalzamento dei mari per il 40% del totale. Aveva fatto notizia – e non poteva essere altrimenti – quando la scorsa estate erano stati stimati in 600 miliardi di tonnellate i ghiacci persi.
Marco Tedesco (Glaciologo e Professore presso il Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University e ricercatore del Centro Nasa Giss a New York) racconta a Repubblica:
Un aspetto importante che abbiamo scoperto è che l’aumento della fusione dei ghiacci in Groenlandia non è solo dovuto all’aumento delle temperature. Con il collega Xavier Fettweis, dell’Università di Liegi (Belgio), abbiamo, infatti, appurato che complice delle temperature è l’aumento del numero di giorni con condizioni anti-cicloniche (cioè cieli limpidi e assenza di nuvole).
Questo comporta un aumento della radiazione solare che riesce a raggiungere la superficie ghiacciata che, di conseguenza, fonde più rapidamente. Come in un complotto da commedia shakespeariana, la temperatura non è la sola colpevole ma è aiutata da complici quali la riduzione delle precipitazioni nevose e l’aumento della radiazione solare nel perpetrare il crimine dall’accelerazione della fusione del ghiaccio della Groenlandia. Questi periodi prolungati di condizioni anti-cicloniche sono come degli impulsi di fusione che si aggiungono al segnale di base del continuo aumento delle temperature.
Nella sua ultima analisi, all’interno della rubrica “SustainArctic“, Andrea Grieco afferma: «Uno degli obiettivi dell’Islanda sarà potenziare e applicare l’Agenda 2030 con i suoi 17 Obiettivi anche alla regione artica in due ambiti specifici: la protezione degli oceani e la creazione di aree marine protette. Questo potrà avvenire attraverso il working group del Consiglio Artico che si occupa della protezione dell’ambiente marino artico (PAME) e il benessere delle popolazioni che abitano l’Artico con maggiore attenzione alle popolazioni indigene.
Riuscirà l’Islanda a portare il tema dello sviluppo sostenibile e dell’applicazione dell’Agenda 2030 in un Artico sempre più militarizzato e alla ricerca di nuove vie commerciali? Riuscirà a convincere gli Stati artici i cui rapporti si stanno lentamente deteriorando in seguito all’emergenza Coronavirus che la priorità per quella regione è tutelare l’ambiente marino, terrestre e le sue popolazioni?»
Oggi il tema, dunque, non riguarda solamente il mondo ambientale, o addirittura accademico. Abbiamo davanti a noi l’evidenza scientifica di quanto ogni aspetto ambientale sia profondamente intersecato con il resto dei fattori, e che solamente prendendoci cura degli ecosistemi potremo creare un mondo sostenibile. Una lezione di cui occorrerà fare tesoro.
Per capire meglio lo stato dell’arte della nostra cura ambientale: sito ONU.
Leonardo Parigi
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