L’Artico si sta riscaldando con una velocità doppia rispetto alla media globale, a causa della perdita del ghiaccio marino e della degradazione del permafrost.
Senza la terra sotto ai piedi
Il bianco della superficie cede il suo posto al blu notte dell’oceano con maggiore frequenza e per periodi sempre più lunghi. La calotta polare, che ricopre l’oceano, si assottiglia ed allo stesso tempo. Sulla terra ferma, lo strato di permafrost che protegge il suolo diventa fango. Ma è davvero una situazione così allarmante?
Il 19 febbraio 2021 è stata per alcuni un’altra data simbolo della catastrofe climatico-ambientale in atto; per altri, l’inizio di una nuova era per il commercio che si muove lungo la Northern Sea Route. Quel giorno la nave cargo russa Christophe de Margerie è riuscita a compiere il suo viaggio in pieno inverno dalla provincia cinese di Jiangsu a Sabetta, una città portuale situata nel Nordest siberiano.
È stata, in effetti, la prima volta nella storia in cui una nave cargo abbia compiuto, durante il gelo della notte polare, un viaggio così lungo senza incontrare difficoltà tra i ghiacci. Ma quella che potrebbe essere una grande opportunità per il commercio globale, rappresenta invece un pericolo tangibile per le comunità artiche.
Da permafrost a fango
Mentre la percorribilità tra i ghiacci sempre più sottili della Northern Sea Route lascia auspicare ai naviganti che essa divenga a pieno titolo “rivale” del Canale di Suez, lo scioglimento del permafrost sulla terra ferma non lascia presagire alcuno scenario ottimistico.
L’effetto principale che deriva dalla progressiva e frequente scomparsa del permafrost dal suolo è noto. Questo strato di ghiaccio perenne conserva al suo interno gas come anidride carbonica e metano che contribuiscono alla degradazione del clima e al riscaldamento globale. Il cambiamento climatico ha il pericoloso vantaggio di essere silenzioso: ci si accorge della sua presenza solo quando il terreno su cui si cammina inizia a cedere.
Il grafico sottostante mostra ciò che le comunità dell’estremo Nord stanno ormai da tempo sperimentando. I danni causati dallo scioglimento del permafrost non sono solo quelli derivanti dalla dispersione dei gas serra, ma anche quelli quantificabili visivamente nel cedimento delle infrastrutture delle città polari.
La scoperta del collasso infrastrutturale che sta minacciando i residenti di molti centri siberiani della Siberia e dell’Alaska è stata messa a fuoco grazie ai dati forniti dalle missioni spaziali Sentinel-1 e Sentinel-2 inserite nel programma europeo Copernicus.
Questo nuovo studio ha permesso di compiere un grande passo in avanti nel riconoscimento dell’impatto che l’“uncertain ground” può avere sulle infrastrutture, quindi sulla vita stessa dei residenti. La ricerca identifica differenti categorie di infrastrutture, dalle abitazioni alle miniere, consentendo il rilevamento dei cambiamenti del permafrost e delle comunità più vulnerabili alla perdita del ghiaccio perenne in futuro.
Proiezioni sul futuro del permafrost
Secondo il rilevamento satellitare, il 97% delle aree individuate mostra un incremento di temperatura di quasi 1° ogni 10 anni. Lo studio in corso sulla temperatura del suolo artico permette di individuare le aree in cui, a partire dalla metà del secolo, il ghiaccio perenne sarà scomparso. I ricercatori affermano, seppur con cautela, che dal 2050 circa il 55% delle città più settentrionali saranno collocate in zone dove la temperatura del suolo sarà oltre gli 0°.
Il maggior impatto dello scioglimento del permafrost si verificherà in Russia, dove i centri polari si estendono per circa 700 km², e in alcune zone dell’Alaska. Sebbene i dati dei satelliti siano utili per comprendere il presente e i futuri scenari dell’Artico, non possono rivelare l’intensità a livello locale della degradazione del permafrost.
Il livello di criticità del suolo e la risposta dei residenti varia di zona in zona. La città di Noril’sk, ad esempio, ha previsto la costruzione di impianti di “refrigeramento” del suolo sotto le fondamenta degli edifici. Il programma di stabilizzazione termale, sorretto da una rete di tubature nelle quali defluisce un fluido refrigerante, è già in atto e verrà incrementato con un investimento di 7.9 miliardi di euro.
Ma cosa accadrebbe se il permafrost scomparisse? Un anticipo lo danno i residenti di Čurapča, una cittadina nel centro della Yakutia, dove il ghiaccio perenne si è trasformato in terreno paludoso ed interi edifici sono franati.
Anna Chiara Iovane
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