Intervista ad Alessandro Marrone, responsabile del Programma “Difesa” dell’Istituto Affari Internazionali di Roma.
Con l’ingresso nell’Alleanza Atlantica di Finlandia e Svezia, la NATO ha acquisito molto terreno, ampliando i suoi confini orientali e settentrionali. Ma anche integrando Forze Armate pronte e addestrate. Cosa cambia, adesso, anche nello scenario sub-artico, oltre che nella difesa europea?
“Lo scorso marzo la Commissione Europea, delineando una visione di insieme e di lungo periodo articolata in nuovi strumenti di politica industriale, ha pubblicato la European Defence Industrial Strategy (Edis) pronta ora a essere negoziata con gli stati membri e il Parlamento europeo, così da essere adottata definitivamente dall’UE nel 2025“, risponde Alessandro Marrone, responsabile del Programma Difesa dell’Istituto Affari Internazionali (IAI) di Roma.
“Il panorama generale ci regala un’Europa della difesa che ha preso una serie di iniziative positive certamente, ma da tempo di pace. L’integrazione tra i modelli e tra le nazioni avanza, e così crescono i budget comunitari per sviluppare l’industria bellica continentale. Ma sono fuori tempo, perché guardano a questi temi come se fossimo in condizioni pacifiche.
Bruxelles ha stanziato fino a 12 miliardi di euro per rimborsare le donazioni militari degli Stati membri verso l’Ucraina. Un aspetto positivo, ma non sufficiente per ripristinare gli aiuti militari di cui ha bisogno Kiev. Il fatto che l’Unione Europea metta a bilancio 1,5 miliardi di euro fino al 2027 è a dir poco inadeguato”.
Il tema sembrava lontano decenni, ed è riapparso sulle agende politiche di tutta Europa. La difesa, da sempre tematica relativa e aspra per l’opinione pubblica, era spesso considerata un costo alto e accessorio. Dopo il febbraio 2022, la percezione – per quanto con molti distinguo – è cambiata. “I Paesi europei sono arrivati al punto in cui non possono donare armi agli ucraini“, prosegue Marrone, “soprattutto per quando riguarda le difese anti-missile e anti-droni, per cui siamo già alla soglia di sopravvivenza. Se doniamo altro materiale, non abbiamo più risorse con cui eventualmente difenderci”.
La visione europea, ancorché distante da una reale e fattiva integrazione militare tra le parti, sembra comunque andare in una direzione univoca di collaborazione. È così? “La visione strategica c’è, la bussola strategica del marzo 2022 è un buon documento. Siamo tutti d’accordo sui fondamentali e sul sostegno all’Ucraina, alla NATO e all’architettura complessa della difesa europea. Ma nonostante la volontà dell’EDA di essere un pilastro continentale, siamo in grande ritardo”.
“Manca la volontà politica di un cambio di paradigma. L’ingresso nella NATO di Finlandia e Svezia rappresenta una vera pietra miliare nella politica militare del continente. Sono Paesi che portano nell’Alleanza Forze Armate di tutto rispetto, la Svezia ha circa mezzo milione di unità dispiegabili, tra effettivi e riservisti. La Presidente della Commissione Europea, Ursula Von der Leyen, ha chiesto alla Finlandia di mettere a disposizione degli altri Stati membri la loro visione di “Total Defence”, perché viene riconosciuto come un modello da seguire. Ma è indubbio che le differenze siano abissali”.
“Il quadrante scandinavo-baltico è molto stabile“, analizza ancora Marrone. “C’è una totale garanzia di sicurezza. Ora che la Danimarca ha risolto anche il suo opt-out (maggiori dettagli: qui), esistono nuovi progetti di cooperazione. La NATO può pianificare piani di logistica integrata con i territori della Finlandia e della Svezia, oltre a sviluppare programmi di Early Warning e di guerra elettronica. Tutto bene per la deterrenza. Ma poi?”
“Esiste un progetto europeo per l’adeguamento delle infrastrutture – porti, aeroporti e strade – al passaggio di mezzi militari pesanti, che ovviamente procederà più spedito adesso che Helsinki e Stoccolma sono parte della NATO. Ma in più, oltre ai mezzi, l’addestramento e la capacità militare, Finlandia e Svezia portano con sé un concetto diverso di difesa. Diverso, rispetto a ciò che vediamo noi”.
“L’Unione Europea, accettando di fatto il processo di adesione di Kiev, si è posizionata inevitabilmente in rotta di collisione con la Russia. E quindi anche Svezia e Finlandia sono portate a vedere Mosca come una minaccia. Ma è importante averli nel contesto unico dell’EDA e della NATO anche perché hanno gli strumenti culturali, sociali e politici più vicini per “leggere” determinate situazioni”.
E l’Italia, in questo contesto? “Se parliamo di preparazione, e dovessimo dare un voto da 1 a 10, possiamo dire che saremmo sul 5 scarso. La nostra competenza delle FF.AA. deriva dalle tante missioni all’estero, e abbiamo una forte componente elicotteristica, per i mezzi blindati, per ciò che concerne il mare e l’aeronautica. Ma non arriviamo alla sufficienza per il sottoinvestimento drammatico nei carri armati, nella componente missilistica, e nell’artiglieria a breve e lunga gittata”.
L’Italia ha però partecipato anche quest’anno a Nordic Response, spingendo anche alcune brigate alpine verso un addestramento molto specifico per la guerra artica. Ma cosa manca allora per far quadrare i conti, economici e non solo? “Il livello politico è, anche qui, insufficiente e inadeguato alle sfide attuali. Non si tratta solo di un carattere di governo o di partito, ma di visione d’insieme.
La priorità è chiudere l’esperienza di Strade Sicure, un programma dal costo folle che va avanti da quindici anni, senza che questi 5.000 militari nelle strade possano, legalmente, fare alcunché. È solo deterrenza, che però – visto il livello di scarsità delle nostre FF.AA. sul piano del personale – va totalmente rivisto.
La seconda priorità è relativa al programma di crescita. Se aumentassimo dello 0,1% il bilancio dedicato alla difesa, entro pochi anni arriveremmo a quell’obiettivo del 2% del PIL di cui si parla da anni. Un piano di crescita che può piacere o meno, ma è uno strumento necessario per stare almeno sulla sufficienza. Spagna, Francia e tanti altri Paesi europei, anche meno qualificati, hanno investito in questa direzione. Noi siamo fermi. Che equivale a fare solo passi indietro e a muoverci poi in fase emergenziale, aumentando costi e sperperi. Madrid ha aumentato il bilancio della difesa del 25% in pochi anni, a oggi siamo i quart’ultimi su tutti gli Stati membri, al 1,48% del PIL”.
“Nonostante i proclami del governo, il budget è rimasto uguale. Ma non abbiamo ancora capito che la Russia è una minaccia strutturale per l’Europa. E che lo è più per noi che per gli Stati Uniti. Sarebbe il caso di guardare agli eventi per ciò che sono, anziché nasconderci dietro a un dito con il forte rischio di scoprirlo quando siamo più vulnerabili”.
Leonardo Parigi
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