Clima

NATO-Russia, scambio di accuse sui dati climatici in Artico

La sospensione della condivisione dei dati climatici da parte della Russia ostacola la previsione del cambiamento climatico nell’Artico, complicando le decisioni politiche globali.

I dati climatici come strumento politico

La NATO ha recentemente accusato la Russia di trattenere informazioni climatiche cruciali riguardanti l’Artico, una regione sempre più strategica che si sta riscaldando molto più rapidamente del resto del pianeta. Secondo un alto funzionario dell’Alleanza, Mosca avrebbe interrotto la condivisione di dati da 21 delle sue 95 basi di monitoraggio artiche dopo l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022. Questa sospensione compromette l’efficacia dei modelli climatici utilizzati per affrontare il cambiamento climatico e ridurre le emissioni.

I marines finlandesi e svedesi si esercitano in operazioni anfibie con altri alleati della NATO nella Norvegia settentrionale (foto: NATO).

Secondo i funzionari NATO, questa mossa fa parte di una strategia più ampia di disinformazione, volta a minare la fiducia negli sforzi occidentali per la transizione energetica e la riduzione delle emissioni. La Russia è infatti un colossale produttore di petrolio e gas, e potrebbe risentire della transizione globale verso fonti energetiche rinnovabili. Inoltre, la fusione dei ghiacci sta aprendo nuove rotte marittime come la Northern Sea Route, che costeggia la Russia e sulla quale la Federazione sta investendo da molti anni, convinta che il suo sviluppo sarà inevitabile.

Non si è fatta attendere la risposta della portavoce del dicastero degli Esteri russo, Maria Zakharova: “Le affermazioni della NATO secondo cui la Russia starebbe presumibilmente ‘trattenendo’ informazioni sul clima nell’Artico sono assurde e completamente infondate. Come tutti sanno, sono i paesi artici occidentali che, dalla primavera del 2022, hanno ostacolato la cooperazione internazionale all’interno del Circolo Polare Artico” ha dichiarato.

Un problema globale

La sospensione della condivisione dei dati climatici da parte della Russia sta creando lacune significative per la ricerca scientifica internazionale. E questi dati sono fondamentali per sviluppare modelli climatici che aiutino i governi a formulare politiche efficaci per ridurre le emissioni.

La perdita delle stazioni russe riduce la capacità di monitorare variabili fondamentali come temperatura media, precipitazioni, profondità della neve, biomassa vegetale e umidità del suolo. In particolare, l’esclusione delle foreste di taiga siberiana elimina un componente critico per rappresentare l’intero ecosistema artico.

Già quasi un anno fa uno studio pubblicato su Nature Climate Change avvertiva che l’assenza dei dati russi crea un “punto cieco” per il monitoraggio degli effetti globali dello scioglimento del permafrost, considerato una “bomba a orologeria” che potrebbe rilasciare enormi quantità di CO₂ e metano. E c’è anche chi ipotizza che anche alcuni virus zombie potrebbe scongelarsi e minacciare la nostra salute.

Il termometro sta impazzendo

Se le tensioni internazionali stanno impedendo una corretta valutazione dei futuri effetti del cambiamento climatico, basta dare un’occhiata a quelli presenti: secondo le osservazioni della NASA l’estensione del ghiaccio marino artico estivo si sta riducendo del 12,2% ogni decennio a causa delle temperature più elevate.

Misura minima annuale (settembre) della copertura di ghiaccio nell’Artico. (NASA)

Nonostante il minimo storico di estensione del ghiaccio marino artico si sia leggermente rialzato rispetto al 2023, i livelli restano drammaticamente bassi rispetto al 1981, con una perdita annua di ghiaccio pari all’intera superficie dell’Austria. Ad aggravare la già drammatica situazione vi è poi l’età del ghiaccio che costituisce la calotta polare: via via sempre più “giovane”, oggi circa il 60% è costituito da ghiaccio di primo anno, più sottile e vulnerabile rispetto al ghiaccio pluriennale. Questo declino accelera il rischio di estati completamente prive di ghiaccio entro il 2050.

Insomma, la riduzione delle emissioni e l’abbandono dei combustibili fossili rimangono gli unici mezzi per evitare che l’Oceano Artico perda la sua copertura glaciale estiva. Tuttavia, a fronte degli attuali dati, questo obiettivo appare sempre più un sogno irraggiungibile. A maggior ragione se, senza una cooperazione scientifica globale, la raccolta dei dati stessi è attualmente compromessa.

Enrico Peschiera

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Enrico Peschiera

Genovese e genoano, sono laureato in Relazioni Internazionali all'Università di Maastricht. Oggi mi occupo di comunicazione aziendale e scrivo di geopolitica, logistica e portualità.

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