Nuovo anno, nuova Amministrazione. Fra i tanti dossier che aspettano il nuovo Presidente sulla scrivania dello Studio Ovale, c’è anche quello artico. Vediamo cosa può fare Biden per l’Artico, fra spinte securitarie e allerte ambientali.
Dopo quattro anni guidati dal vulcanico Donald Trump, gli Stati Uniti si trovano a dover fare i conti con un mondo sempre più complesso, e con una situazione ambientale che necessita di scelte ormai radicali. Parafrasando la celebre frase di Kennedy, cosa può fare Joe Biden per l’Artico?
Ha provato a chiederselo la rivista americana Arctic Today, che ha proposto una serie di suggerimenti sul tema al nuovo inquilino della Casa Bianca. Partiamo dal tema della sicurezza. Troy J. Bouffard, Coordinatore del Center for Arctic Security and Resilience (CASR), afferma che “Gli Stati Uniti dovranno senza dubbio rivedere la National Security Strategy entro i primi mesi dall’insediamento”.
Questo documento sarà la stella polare delle prossime mosse a livello di politica estera di Washington. Una revisione completa delle minacce agli interessi nazionali statunitensi, che quindi fungerà da fondamenta su cui poggiare i pilastri della sicurezza americana dei prossimi anni. Potrebbero esserci delle sorprese? L’Artico probabilmente non sarà particolarmente preso in considerazione, ma bisogna fare attenzione ai cambiamenti in atto a livello regionale.
Given relatively recent U.S. military interests involving Arctic regional security and defense-related adversarial advancements, the next edition of the NSS seems more likely than not to include Arctic-specific language. More importantly, it will not be cursory — like the single mention in the current edition. Such developments will significantly change the family of Defense Department Arctic-related strategies with specific regard to operational requirements and capabilities.
Jim Gamble, Direttore dell’Arctic Program di Pacific Environment, fa il punto invece sulle questioni più legate al fattore ambientale. Il 2020 si è chiuso con il colpo di coda di Trump sulle coste dell’Alaska, e con il bando all’heavy fuel. Che il nuovo anno riesca a portare una logica più green sulle coste americane?
«L’amministrazione Biden-Harris dovrebbe agire con urgenza per liberare le acque artiche dal pericolo perpetuo di una devastante fuoriuscita di petrolio, vietando l’olio combustibile pesante nelle acque regolamentate degli Stati Uniti e quindi collaborare con gli alleati diplomatici per vietarlo in tutto l’Artico», afferma Gamble ad Arctic Today.
«Il divieto all’utilizzo dell’Heavy Fuel Oil (HFO) nelle acque degli Stati Uniti non solo proteggerebbe le comunità artiche indigene e altre comunità costiere americane dagli impatti ambientali negativi del carburante, ma aiuterebbe anche a catalizzare la transizione verso l’energia pulita nel trasporto marittimo, uno dei più grandi ritardatari climatici del mondo».
Lo scorso 20 novembre le Nazioni Unite, tramite l’agenzia dedicata al mondo marittimo – IMO – hanno approvato un nuovo bando sull’utilizzo di olio combustile pesante per le navi che solcano le acque artiche. Una buona notizia in teoria, che ha però suscitato le ire del mondo ambientalista.
Le organizzazioni internazionali, da Greenpeace al WWF, hanno criticato le nuove indicazioni dell’IMO a causa di “notevoli scappatoie”, che continuerebbero a lasciare mano libera all’inquinamento fino alla fine del decennio. Il Comitato per la protezione dell’ambiente marino dell’IMO – il MEPC (Marine Environment Protection Committee) – ha infatti posto come data di scadenza per l’utilizzo dell’olio combustibile pesante (HFO) nell’Artico il 1 luglio 2024.
Francis Ann Ulmer, precedentemente a capo della United States Arctic Research Commission ed ex Vice-Governatore dell’Alaska dal 1994 al 2002, chiede al nuovo Presidente un’attenzione particolare all’Artico e alla regione polare. Con Biden, Ulmer condivide l’appartenenza al Partito Democratico e una sostanziale visione d’insieme a livello politico progressista. Basterà questo per aiutare la Casa Bianca ad avere un nuovo sguardo?
«L’Artico merita l’attenzione dell’amministrazione Biden per molte ragioni», afferma Ulmer. «A livello nazionale, fa parte degli Stati Uniti, con cittadini, risorse, culture indigene ed ecosistemi vulnerabili che sono tutti a rischio a causa dei cambiamenti climatici. A livello internazionale, la sua posizione strategica e l’importanza geopolitica – e la sua influenza sul clima globale e sul livello del mare – ne fanno una regione che richiede un impegno strategico e di grande impatto».
Per aiutare ulteriormente le scelte federali, Ulmer individua tre punti cruciali per il cambio di passo a statunitense sull’Artico. «In primo luogo, ristabilire la Northern Bering Sea Climate Resilience Area», analizza la “Senior Fellow” presso l’Arctic Initiative del Belfer Center for Science and International Affairs dell’Università di Harvard. L’area protetta, creata dall’Amministrazione Obama, prevede una speciale sorveglianza e preservazione a livello ambientale e faunistico, ma simboleggia anche la volontà dell’amministrazione centrale di dare seguito alle linee-guida sul tema.
«In secondo luogo, ripristinare l’Arctic Executive Steering Committee per organizzare, coordinare e sfruttare le azioni dell’agenzia federale nell’Artico degli Stati Uniti. Più di una dozzina di agenzie federali hanno responsabilità nella regione, ma nessuna agenzia ha l’autorità o la capacità di assicurare un’adeguata focalizzazione e collaborazione tra di loro». E terzo punto:
Nominare un ambasciatore degli Stati Uniti per l’Artico per guidare gli sforzi americani all’Arctic Council e tutti gli altri forum internazionali incentrati sulla politica internazionale per l’Artico. Tutte le altre nazioni artiche hanno nominato una persona del genere, così come molti Paesi non artici tra cui Giappone e Corea. Di tanto in tanto gli Stati Uniti hanno designato una persona presso il Dipartimento di Stato per coordinare gli affari artici, ma senza la statura, l’autorità e le risorse per impegnarsi efficacemente con Paesi simili. La nomina di un diplomatico a livello di ambasciatore cambierebbe la situazione.
Leonardo Parigi
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