Scienza

Non possiamo negoziare con il punto di fusione del ghiaccio

Nel corso della ventinovesima conferenza mondiale ONU sul clima tenutasi a Baku dal 12 al 22 novembre sono stati presentati dati allarmanti sullo stato della criosfera, ma i riflettori erano puntati altrove. 

La criosfera non conosce compromessi

Mentre l’attenzione di media e osservatori era focalizzata sui paradossi della presidenza azera, sugli impatti della ritirata statunitense, e sulla patata bollente della finanza climatica, nei padiglioni della ventinovesima Conferenza delle Parti dell’UNFCCC a Baku la comunità scientifica si sgolava per presentare i dati che dovrebbero guidare gli impegni degli Stati. 

Non possiamo negoziare con il punto di fusione del ghiaccio” è il sottotitolo—tanto accattivante quanto lapidario—del rapporto annuale sullo stato della criosfera elaborato dall’International Cryosphere Climate Initiative (ICCINET) e presentato a COP 29 il 12 novembre. La criosfera è l’insieme di tutte le zone permanentemente innevate e ghiacciate della Terra (manto nevoso, permafrost, ghiacciaci, calotte, ghiaccio marino e oceani polari).

“State of the Cryosphere 2024—Lost Ice, Global Damage” vede il contributo di oltre cinquanta scienziati di prim’ordine, e allo stesso tempo si allontana con decisione dai toni generalmente cauti dei comunicati scientifici, per assumere un chiaro valore politico. Il messaggio è semplice. Possiamo, anzi dobbiamo continuare a negoziare tra Stati (sebbene i limiti di questi negoziati siano sempre più evidenti), ma dobbiamo fare i conti con il fatto che il sistema terrestre dal canto suo non è disposto a scendere a compromessi. 

Dall’Artico al Pacifico

Il rapporto è stato presentato presso il Padiglione della Criosfera, uno spazio organizzato in collaborazione da Cile e Islanda, co-presidenti dell’Ambition on Melting Ice High-level Group (AMI). Il gruppo è stato fondato nel 2016 a COP 27 e annovera tra i suoi membri la triade scandinava di Norvegia, Svezia e Finlandia, ma anche paesi insulari come Samoa e Vanuatu.

Che cosa ci fanno delle isole sperdute nell’Oceano Pacifico in una simile alleanza? La composizione del gruppo riflette semplicemente il fatto che gli impattiirreversibili e devastantidella scomparsa della criosfera non riguardano solo le regioni polari e montane, ma tutto il pianeta. In modo particolare le aree minacciate dall’innalzamento del livello del mare (il 75% delle città con più di 5 milioni di abitanti si trova a meno di 10 m s.l.m.). 

Tre scenari per un unico destino

La magnitudine degli impatti ecologici, sociali ed economici della fusione, ormai innescata, dei vari componenti della criosfera dipende dell’evoluzione delle temperature e dei livelli atmosferici di CO2 che “saranno il risultato delle scelte prese oggi”. La direzione di queste scelte si può ricondurre a 3 macro-scenari possibili, le cui conseguenze sono dissezionate con precisione nel rapporto ICCINET. 

Scenario numero 1: gli Stati mantengono le promesse contenute nei rispettivi piani di azione climatica (NDCs), causando il superamento del limite di +2°C rispetto ai livelli pre-industriali. In questo scenario la calotta groenlandese oltrepasserebbe una soglia critica, condannandoci a un innalzamento del livello del mare di oltre 10 metri nei prossimi secoli, e l’Oceano Artico sarebbe completamente privo di ghiaccio per 4 mesi ogni anno, con conseguenze imprevedibili e potenzialmente estreme sulle condizioni meteorologiche delle medie latitudini. Nel mentre lo scioglimento del permafrost causerebbe emissioni di CO2 e metano equivalenti a quelle dell’intera Unione Europea in un circolo vizioso inarrestabile. 

Scenario numero 2: le promesse non vengono né incrementate né mantenute e i trend attuali continuano indisturbati. In questo caso raggiungeremmo un aumento delle temperature globali di 3-3.5°C. Le conseguenze scatenate dall’alterazione della criosfera in questo scenario, tra cui l’acidificazione estrema dell’Oceano Artico e l’alterazione dei sistemi di correnti globali, si prefigurano ben oltre ogni soglia di possibile adattamento. 

Scenario numero 3: lo scenario del male minore, in cui l’aumento della temperatura tocca i 1.6°C per poi rientrare a +1.4°C. Danni e perdite, soprattutto per gruppi particolarmente esposti come le popolazioni indigene dell’Artico, non sarebbero azzerati, ma significativamente contenuti. Questo scenario è l’unico in cui esiste la possibilità di una rigenerazione almeno parziale di alcuni ghiacciai e del ghiaccio marino ai due poli.  

Nuovi campanelli d’allarme

In questa quarta edizione del report ICCINET vengono evidenziate nuove consapevolezze sulle soglie critiche e i “punti di non ritorno” della criosfera che puntano allo scenario numero 3 come l’unico razionalmente accettabile. 

Superare l’obiettivo degli 1.5°C (il livello di ambizione più alto dell’Accordo Parigi) implica accettare gravi rischi legati alla risposta della criosfera, anche laddove l’”overshoot” sia limitato. A seconda della durata di questo “overshoot” e della temperatura di picco raggiunta, il rischio di raggiungere punti di non ritorno (i cosiddetti “tipping points”) per le calotte groenlandese e antartica, numerosi ghiacciai continentali e il capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (AMOC) varia considerevolmente. 

Il Mar Glaciale Artico, estate 2024 © Osservatorio Artico

Per lo scioglimento del permafrost, invece, non c’è un chiaro punto di rottura identificabile né un margine sicuro accettabile. Ogni frazione di riscaldamento aggrava la situazione sia in termini di danni locali che del rilascio di nuove emissioni.  In modo simile, l’acidificazione degli oceani polari è un processo che si aggrava con ogni frazione aggiuntiva di CO2 in atmosfera e che inoltre non sarà reversibile per migliaia di anni

A COP 29 non è stato fatto nessun progresso sul tema della mitigazione, ovvero la riduzione delle emissioni che determinano in quale scenario vivremo. Molti guardano all’appuntamento del 2025 in Brasile, e prima ancora ai negoziati intermedi di Bonn della prossima estate, come ai momenti della verità su questo punto. Staremo a vedere.

Annalisa Gozzi

Osservatorio Artico © Tutti i diritti riservati

Annalisa Gozzi

Sono una studentessa del Master in Environmental Policy all’Università Sciences Po di Parigi. Sono appassionata di comunicazione e cerco di rendere il tema del cambiamento climatico accessibile nella sua complessità.

Articoli Recenti

La Norvegia migliora le comunicazioni artiche grazie a un nuovo cavo sottomarino

Dopo il sabotaggio del 2022, la Norvegia finanzia la posa di un nuovo cavo sottomarino…

5 ore fa

Gli indigeni dell’Artico russo tra industrializzazione e tradizione

L’industrializzazione dell’Artico russo mette a rischio l’ambiente e lo stile di vita delle comunità indigene.…

12 ore fa

Londra e Oslo si affacciano al confine russo

Con gli Stati Uniti sempre più distanti dall’Europa, Londra e Oslo sembrano promettere il rafforzamento…

1 giorno fa

L’Unione Europea contro il greenwashing, Lapponia sotto esame

La nuova direttiva UE contro il greenwashing costringe le località sciistiche a rivedere le proprie…

1 giorno fa

Disgelo fra USA e Russia: ma a quale prezzo?

Gli USA tornano al dialogo con la Russia dopo anni di gelo diplomatico. Le possibilità…

2 giorni fa

Prospettiva Bruxelles, dati climatici in pericolo

La rubrica settimanale da Bruxelles che racconta le tre notizie principali degli ultimi sette giorni…

3 giorni fa