Il 2 novembre si è conclusa a Cali, in Colombia, la sedicesima Conferenza delle Parti della Convenzione ONU sulla Diversità Biologica (COP 16). Nonostante alcuni importanti risultati, il vertice non ha prodotto il cambio di marcia necessario.
La crisi ecologica è, di fatto, una poli-crisi in cui non esistono compartimenti stagni come sembrano suggerire certi approcci politici ed economici. A poco più di una settimana dalla conclusione di COP 16, centinaia di delegazioni da tutto il mondo si trovano già a Baku per l’annuale COP sul clima.
La crisi climatica e l’erosione della biodiversità globale sono due processi contemporanei, ma tutt’altro che paralleli (nel senso geometrico del termine). Il paese ospitante, la Colombia, ha cercato di fare luce su questo legame promuovendo anche in seno a COP 16 la proposta illuminata di un Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili. Un riconoscimento importante della concausalità tra crisi del clima e della biodiversità rimasto però isolato.
A Cali e a Baku si parla di due sfide esistenziali con numerosi punti di contatto, sia fisici che in termini di (ir)risoluzione politica. In questa congiuntura è importante tenere sotto mano un bilancio del vertice colombiano che ci permetta a fine anno di sovrapporre le radiografie di questi due summit e individuare i punti dolenti in comune.
La chiusura del sedicesimo summit ONU sulla biodiversità è stata a dir poco caotica. I negoziati, che da programma si sarebbero dovuti concludere venerdì 1 novembre, si sono protratti fino alle 8.30 di mattina del giorno seguente. Molte delegazioni sono dovute partire e così si è scesi sotto il quorum necessario per sigillare un accordo.
Tra i punti rimasti in sospeso vi è la creazione di un nuovo fondo globale per la biodiversità, fortemente spinto da molti paesi tra Sud Globale tra cui lo Zimbabwe e il Brasile. Ad oggi infatti l’ambizioso obiettivo di “mobilitare $20 miliardi all’anno fino al 2025” da parte delle nazioni più ricche stabilito dal Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (GBF) si appoggia al preesistente Global Environment Facility (GEF).
Un altro tema importante rimandato al meeting ad interim del prossimo anno a Bangkok riguarda la definizione di un nuovo framework per il monitoraggio e la revisione dei progressi nazionali (previsto al 2026 e 2030) nel contrasto alla perdita di biodiversità. Questo quadro dovrebbe aiutare a identificare le responsabilità e le mancanze dei diversi paesi alla luce degli impegni presi a Montréal nel 2022, in un contesto in cui solo 44 su 196 parti della Convenzione sulla Biodiversità (CBD) hanno presentato piani nazionali aggiornati entro la scadenza prevista.
Sebbene i motivi per essere frustrati dopo decenni di negoziati lenti e vittorie parziali siano molti, sarebbe dannoso non fare luce anche sui risultati positivi raggiunti a Cali in questo importante appuntamento globale che si è auto-proclamato la “COP delle persone”.
Tra questi il più attenzionato è probabilmente la creazione di un nuovo organo permanente per la rappresentanza e la partecipazione delle popolazioni indigene. Tale organismo servirà a garantire che le preziose conoscenze e competenze di questi gruppi spesso marginalizzati e maggiormente esposti alle conseguenze della crisi ecologica siano riconosciute e integrate nei meccanismi decisionali delle COP.
Un’altra buona notizia è l’istituzione di un fondo per la condivisione dei benefici economici derivanti dall’utilizzo delle informazioni sulle sequenze digitali delle risorse genetiche (DSI) di specie vegetali e animali con i paesi da cui tali specie provengono. A partire da Cali, le aziende dei paesi membri della CBD che sfruttano queste risorse, concentrate nei settori framaceutico e cosmetico, dovranno versare lo 0,1% delle entrate o l’1% dei profitti (nell’ordine dei miliardi di USD) nel fondo. Inoltre, metà del ricavato sarà destinato alle popolazioni indigene e alle comunità locali.
Infine, una luce è stata accesa a Cali sul grande assente dei precedenti vertici dedicati alla biodiversità: l’oceano. È stato infatti adottato un nuovo meccanismo per definire le “aree marine ecologicamente o biologicamente significative” (EBSAs), un tassello chiave verso l’adozione di un Trattato globale sugli oceani entro l’estate del prossimo anno.
Portando con noi questo importante bagaglio di risultati raccolti a Cali, ora è il momento di puntare gli occhi su Baku dove verranno discussi temi con importanti ripercussioni anche sulla protezione della biodiversità.
Annalisa Gozzi
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