Il report annuale sullo stato del clima dell’Amministrazione nazionale per l’oceano e l’atmosfera statunitense (NOAA) ha raccolto evidenze inconfutabili dei rapidi e profondi cambiamenti climatici e ambientali che stanno avvenendo nell’Artico.
Il 22 agosto è stato pubblicato il report annuale State of the Climate in 2023. Si tratta di una diagnosi dettagliata dello stato del clima globale che dal 1997 viene puntualmente elaborata dai Centri Nazionali per l’Informazione Ambientale (NCEI) dell’agenzia statunitense NOAA. Quest’ultima edizione ha visto il contributo di quasi 592 scienziati provenienti da 59 paesi. È un lavoro colossale che fornisce il quadro aggiornato dei principali indicatori climatici globali e mappa gli eventi meteorologici rilevanti verificatisi nel corso dell’anno.
Nel 2023 la combinazione degli effetti a breve termine del fenomeno naturale El Niño Southern Oscillation (ENSO) e di quelli a lungo termine dell’aumento della concentrazione di gas a effetto serra in atmosfera ha portato molte variabili climatiche fondamentali a registrare valori da record.
Lo scorso anno, infatti, è stato caratterizzato dalla più alta temperatura media globale di superficie mai registrata fino ad allora, una condizione record che ha generato conseguenze evidenti in numerose altre componenti del sistema climatico e catalizzato notevole copertura mediatica.
All’Artico è dedicato un intero capitolo che analizza trend ed anomalie tra atmosfera, ghiacci, oceani e mari e terraferma. I dati raccolti ed elaborati dagli autori testimoniano cambiamenti rapidi e significativi nella regione, “causati dalle attività umane, passate e presenti, che rilasciano gas a effetto serra in atmosfera e spingono l’intero sistema terrestre in territori inesplorati”.
Per via del fenomeno chiamato “amplificazione artica” l’aumento delle temperature superficiali, atmosferica e marina, nell’Artico avviene a una velocità nettamente maggiore rispetto alla media globale. Questo riscaldamento altera il ciclo idrologico della regione causando ad esempio l’aumento delle precipitazioni stagionali, la diminuzione del manto nevoso e del ghiaccio marino, la destabilizzazione del permafrost e l’inesorabile perdita di massa della calotta glaciale groenlandese e dei ghiacciai artici.
Niente di tutto ciò rappresenta una novità rispetto allo stesso report del 2022. I dati aggiornati confermano il proseguimento di trend ormai pluri-decennali, ma non per questo meno preoccupanti. “Questi cambiamenti stanno guidando una transizione verso un artico più umido, più verde e meno ghiacciato”.
Una transizione che sta avendo e avrà gravi implicazioni sulla salute degli ecosistemi artici e sulla vita degli abitanti di queste terre – basti pensare alle drammatiche conseguenze dell’eccezionale stagione degli incendi 2023 in Canada – ma anche sulle latitudini medie e basse.
Il 2023 ha segnato per l’Artico la quarta temperatura di superficie media più alta mai registrata nella regione dal 1900 e un’estate (luglio-settembre) che si è classificata al primo posto nei record di temperatura. L’effetto combinato delle temperature estive eccezionali e dei trend persistenti di cambiamento climatico hanno poi disinnescato una serie di eventi dannosi molto diffusi.
L’estensione del ghiaccio marino a settembre, ad esempio, è diminuita del 10% rispetto al 2022, attestandosi come la quinta più bassa in 45 anni di misurazioni satellitari. I 17 valori più bassi sono stati registrati negli ultimi 17 anni. È un po’ come se un calciatore giocasse le sue 5 stagioni peggiori in assoluto per 5 anni di fila. Pochi fedelissimi spererebbero in una ripresa.
La misura dell’estensione del ghiaccio marino a settembre è molto significativa dal momento che è influenzata dalle temperature atmosferiche estive e che a sua volta è una traccia della percentuale di Oceano Artico esposto alla radiazione solare durante i mesi più caldi dell’anno. Nonostante la variabilità regionale, il report ha confermato che l’Oceano Artico e tutti i mari perimetrali studiati mostrano un trend di riscaldamento statisticamente significativo rispetto al periodo 1982-2003.
Legata ai cambiamenti delle temperature atmosferiche è anche l’evoluzione delle condizioni del permafrost. Nel corso del 2023 la temperatura di questo particolare suolo perennemente congelato è stata da record in più di metà delle località osservate, generando serie preoccupazioni per i potenziali danni infrastrutturali e minacciando lo stile di vita delle popolazioni indigene nella regione.
Si potrebbe parlare anche dei livelli eccezionali delle vegetazione nella tundra artica, dei nuovi record di precipitazioni intense di breve durata o ancora del +40% dell’area cumulativa dei giorni di scioglimento della calotta groenlandese.
L’ampiezza e il livello di dettaglio di questo studio potrebbe – a ragione – scoraggiare la lettura per i non addetti ai lavori. E tuttavia la deduzione ultima degli autori è di una chiarezza assolutamente inclusiva: non c’è mai stato così tanto bisogno come oggi di collaborazione nella ricerca e di politiche di adattamento ai cambiamenti in corso.
Annalisa Gozzi
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