Pechino guarda con preoccupazione e attenzione agli avvenimenti in Ucraina, considerando varie ipotesi anche per il proprio futuro, in Asia e nell’Artico.
Il 24 Febbraio 2022, giorno dell’invasione russa nel territorio ucraino, segna uno spartiacque per la politica internazionale recente. Era difficile pensare che la guerra sarebbe tornata ad essere cosi vicina. Con la mossa, per molti a sorpresa, di Putin, si apre anche una nuova era per le relazioni internazionali tra la Russia e gli attori multinazionali come l’Unione Europea e la Nato.
Destinata a subirne forti ripercussioni è anche la regione artica in cui Mosca concentra molte delle proprie convinzioni e speranze per il sostentamento dell’intera Federazione che, probabilmente, sarà destinata ad ampliarsi. La leva della dipendenza energetica, che fino ad ora ha permesso a Putin di forzare la mano, sarà probabilmente il driver che più influenzerà anche il rapporto con gli altri Paesi.
Al netto degli attori presenti nella regione artica, Putin sembra essere in forte svantaggio, soprattutto in relazione al blocco Nato composto da Stati Uniti, Danimarca, Islanda, Norvegia e Canada, che fino ad ora ha composto un fronte unito e compatto nel condannare le azioni russe in territorio ucraino.
La Finlandia e la Svezia, che da sempre hanno assunto una politica estera cauta e silenziosa dettata dalla necessità di non compromettere la complessa relazione con il vicino russo e dall’appartenenza all’Unione Europea, hanno intrapreso una mossa storica dichiarando di voler inviare materiale bellico in sostegno dell’Ucraina.
La stessa Unione Europea, se prima ha proceduto con l’applicazione di diverse sanzioni nei confronti della Russia, si è poi impegnata nella spedizione di materiale bellico che verrà predisposto sul territorio polacco. Sembra essersi formato un vero e proprio blocco anti-russo che raccoglie molte potenze occidentali.
Un contesto che fa presagire uno spostamento, ulteriore, ad Est dello sguardo russo in cerca di alleati o, quanto meno, di partner. Ed è qui che entra in gioco la Cina e la sua strategia per l’Artico che, verosimilmente, dovrà essere aggiornata. Ma facciamo un passo indietro per capire come questo evento potrà impattare su ciò che la Cina aveva in programma per la regione artica.
Nel Gennaio 2018 la leadership cinese rilascia ufficialmente la sua strategia per l’Artico. Nel documento trovano spazio una descrizione dello stato dell’arte e vengono poi illustrate le opportunità di collaborazione che la regione offre alla comunità internazionale, insieme agli obiettivi della leadership cinese nell’area.
La Cina si definisce “jin Beiji guojia”, 近北极国家 “Stato vicino all’Artico”, nonostante gli oltre cinquemila chilometri che separano il Polo Nord da Pechino. Se da alcuni il documento è stato definito una dichiarazione di intenti piuttosto che un documento di strategia politica, ne emerge sicuramente una forte impronta collaborativa che testimonia una capacità diplomatica matura ed assertiva.
Il rispetto dello status quo vigente in Artico si declina nel sostegno dell’apparato normativo composto da UNCLOS, dal Polar Code e dalla Dichiarazione di Ilulissat del 2008, che ribadisce, per conto dei cinque Stati costieri, l’impegno a evitare l’affermarsi di un potere egemone nella governance artica.
La visione cooperativa espletata dal white paper incontra gli interessi cinesi nella realizzazione della Via della Seta Polare come opportunità di sviluppo infrastrutturale, tecnologico, commerciale ed economico. E legare questo progetto al concetto di human common destiny, avvalora ulteriormente il carattere cooperativo dell’approccio cinese.
Se bisognerà interpretare la Via della Seta Polare esclusivamente come soluzione al dilemma di Malacca sarà il tempo a stabilirlo, ma intanto la Cina sta gettando le basi per rotte alternative che vadano a stimolare e accrescere il traffico marittimo lontano da rotte controllate direttamente dagli Stati Uniti, e che possano rinforzare i rapporti con la vicina Russia.
Proprio qui il ruolo della Cina nella regione ha subito un rapido sviluppo, con la partecipazione cinese ai grandi progetti infrastrutturali russi per l’estrazione di gas naturale a Yamal LNG, Yamal LNG 2 e il prolungamento verso il territorio cinese del gasdotto Power of Siberia.
Il punto di svolta del coinvolgimento cinese nei progetti estrattivi russi si è rafforzato proprio all’indomani della crisi in Crimea, datata 2014, in cui le sanzioni europee costrinsero Putin e le grandi compagnie a cercare partner ad Est. Uno scenario non molto differente da quello che sta emergendo in queste ore.
Ma se in questo caso le sanzioni per l’economia russa si intensificano, la Cina cerca di ritagliarsi un ruolo che non la esponga troppo sul piano internazionale. Emblematica è infatti la posizione espressa dal Ministro degli esteri Wang Yi che in un colloquio con la sua controparte ucraina chiarisce:
“China is deeply grieved to see the conflict between Ukraine and Russia and highly concerned about the damage done to civilians. China’s fundamental position on the Ukraine issue is open, transparent and consistent. We have always advocated respect for the sovereignty and territorial integrity of all countries. On the current crisis, China calls on Ukraine and Russia to find a solution through negotiations and supports all constructive international efforts that are conducive to a political settlement.”
Le prime reazioni al conflitto ucraino hanno avuto l’effetto di compattare il fronte Nato. Non è difficile immaginare che questa compattezza si riverbererà anche nella regione artica, isolando ulteriormente Putin che tornerà a rivolgersi ai partner orientali.
Ma anche da Est le prime reazioni non sono esattamente ciò che Putin si auspicava. L’invasione infatti sembra aver preso di sorpresa anche Xi Jinping, inducendo la leadership cinese ad astenersi in occasione del voto espresso nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro l’invasione russa del territorio ucraino.
Di contro, la Cina ha contestualmente condannato le sanzioni occidentali contro Mosca. L’atteggiamento di Xi Jinping sembra quindi coerente con la strategia politica estera cinese di non interferenza negli affari interni di un altro Paese. Tuttavia si ritroverà a subire le conseguenze di questa crisi che impatterà anche sula crescita economica cinese, sul volume di scambi commerciali e sul flusso di persone che si muoverà tra Est e Ovest, data l’impossibilità di volare sullo spazio aereo russo.
È verosimile immaginare che la non-condanna da parte cinese troverà spazio fintanto essa potrà essere utilizzata anche in chiave anti-americana. Una posizione che permetterà a Pechino di salvaguardare da un lato il rapporto con Putin e tutti i progetti di sfruttamento energetico che stanno vedendo la luce proprio in questi anni, ma dall’altro dovrà valutare come questa crisi genererà un’accelerazione verso approvvigionamenti alternativi e verso una transizione energetica di cui la Cina potrebbe ergersi a leader.
Non si può escludere quindi che la Cina si trovi ad assumere un duplice ruolo in questo contesto. Da un lato, nella diretta risoluzione del conflitto essendo un partner fondamentale per Mosca e per la strategia russa in Artico, e dall’altro, nella possibilità di cogliere l’occasione a livello internazionale di contribuire a spostare il paradigma economico mondiale verso la transizione ecologica, che andrebbe a migliorare l’immagine della Cina a livello globale.
Marco Volpe
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