L’unica realtà intergovernativa sull’Artico, esempio di cooperazione e concordia tra le nazioni, sconta oggi uno stallo che rischia di inficiarne l’efficacia.
Nel vasto paesaggio dell’Artico, un organismo internazionale si erge come baluardo della cooperazione regionale e della gestione responsabile delle risorse: il Consiglio Artico. Fondato a Ottawa nel 1996, questa organizzazione intergovernativa è diventata il punto focale per la diplomazia dell’area, offrendo una piattaforma per il dialogo e la collaborazione tra le nazioni che condividono interessi nella regione più settentrionale del pianeta.
Il Consiglio Artico è composto da otto Stati membri: Canada, Danimarca (incluso il territorio autonomo della Groenlandia), Finlandia, Islanda, Norvegia, Russia, Svezia e Stati Uniti. Inoltre, sei organizzazioni indigene rappresentano le popolazioni autoctone dell’Artico, fornendo una voce preziosa nelle discussioni sulla governance e sull’uso sostenibile delle risorse naturali. Molti sono i Paesi con il ruolo di “Membro-Osservatore”, ovvero tutti coloro i quali non hanno interessi diretti nell’area, ma che possono partecipare alla decisioni più ampie, supportando il lavoro generale del foro.
L’obiettivo primario del Consiglio Artico è promuovere la cooperazione internazionale e la gestione sostenibile dell’Artico, tenendo conto delle dimensioni ambientali, economiche e sociali della regione. Tra le sue funzioni principali vi è la facilitazione del dialogo tra le nazioni membri su questioni come la conservazione ambientale, lo sviluppo economico, la ricerca scientifica, la sicurezza e la governance.
Su due temi il Consiglio non decide in maniera assoluta (benché non abbia che poteri consultivi o decisionali ma limitati): sicurezza e difesa. E questo, per quanto ovvio, risulta sempre più attuale nei confronti di una situazione particolare come quella attuale, dove esiste un solo Paese non-NATO.
Fra i principali aspetti discussi dall’Arctic Council, si trovano ovviamente il cambiamento climatico e l’ambiente, su cui il Consiglio Artico svolge un ruolo cruciale nel monitorare e mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici sull’Artico, promuovendo politiche e azioni per la conservazione della biodiversità e la riduzione delle emissioni di gas serra.
Ma dall’ambiente deriva anche molto altro, tra cui lo “sviluppo sostenibile”. L’organizzazione si impegna infatti a bilanciare lo sviluppo economico con la protezione dell’ambiente, incoraggiando pratiche sostenibili nelle attività industriali e commerciali dell’Artico. Accanto a questo tema, si evolve anche la protezione dei diritti e del benessere delle popolazioni indigene dell’Artico, garantendo il loro coinvolgimento nelle decisioni che riguardano il loro territorio e il loro stile di vita tradizionale.
La navigazione marittima e la sicurezza dei dati di navigazione stanno rapidamente diventando temi principali del foro, che fino a una decina di anni fa si poteva dedicare in modo anche più astratto alle impellenze del cambiamento climatico. Materie che oggi diventano certamente più rilevanti, ma che vanno anche messi in relazione alla possibilità che una nuova rotta marittima commerciale si apra definitivamente.
Dopo l’avvio della guerra in Ucraina, il Consiglio Artico si è formalmente bloccato. Anche perché in quel momento la Russia presiedeva l’organizzazione, e i lavori vennero congelati. Una presidenza che a maggio 2023 è stata assunta dalla Norvegia, che adesso prende in mano una situazione scivolosa e quanto mai incerta.
Nel contesto dei crescenti interessi geopolitici e delle sfide ambientali globali, il ruolo del Consiglio Artico diventa sempre più cruciale. Mentre la regione continua a suscitare l’interesse di governi, imprese e attivisti, il Consiglio Artico rimane un faro di cooperazione e dialogo nella corsa verso un futuro sostenibile per l’Artico e il pianeta nel suo complesso.
Mosca ha dichiarato che la nuova presidenza si dovrà sforzare di reintegrare la Russia nelle decisioni, o il Cremlino non potrà fare altro che prendere atto della decadenza del Consiglio nel suo complesso, creando un organismo parallelo, magari con partner terzi come India e Cina. Una sfida che quindi riguarda più livelli, e tutti estremamente delicati.
Leonardo Parigi
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