In un contesto di crescente consapevolezza ambientale, i progetti di cattura, trasporto e stoccaggio del carbonio (CCTS) emergono come soluzioni innovative alla sfida climatica, con la Norvegia in prima fila.
In termini di obbiettivi climatici, la Norvegia intende raggiungere la riduzione delle emissioni di almeno il 40% entro il 2030, perseguita attraverso l’idea che i maggiori responsabili dell’inquinamento debbano attuare gli sforzi più ingenti per mitigarne gli impatti. Nonostante la Norvegia sia considerata pioniera nelle pratiche di cattura e stoccaggio del carbonio, la sostenibilità – sia ambientale che sociale- legata alla catena di approvvigionamento deve essere ancora studiata ed approfondita.
Nei progetti di CCS -carbon capture storage– l’anidride carbonica prodotta localmente viene sequestrata nelle viscere della Terra, mentre nei progetti CCTS –carbon capture transport and storage- si aggiunge un ulteriore elemento, che riguarda il trasporto via mare fino agli impianti di stoccaggio, che possono essere situati anche oltre confine. Il transito di CO2 via nave apre una serie di nuovi interrogativi che riguardano la sua effettiva applicabilità e il ruolo della tecnologia CCTS nell’ampio contesto della lotta al cambiamento climatico.
La Norvegia vanta una lunga esperienza nei progetti di CCS, da quando nel 1996 ha dato avvio al primo progetto CCS offshore al mondo, “Sleipner“. Le caratteristiche geologiche della piattaforma continentale norvegese la rendono un sito idoneo all’immagazzinamento del carbonio, detenendo infatti circa 1/3 della capacità di stoccaggio complessiva europea. I settori maggiormente coinvolti nei processi di decarbonizzazione risultano gli impianti industriali adibiti allo smaltimento dei rifiuti, le raffinerie, le acciaierie e i cementifici.
L’anidride carbonica catturata nelle industrie viene poi stivata nei depositi offshore dismessi di gas e petrolio, in quanto in possesso dei necessari requisiti di sicurezza in termini di permeabilità e sigillatura. Nel 2021 il governo norvegese ha autorizzato e parzialmente finanziato l’avvio del nuovo progetto CCTS “Longship” , con l’ambizione di essere una forza trainante nel settore e aprendo di fatto la strada all’implementazione di iniziative simili in futuro. Ad esempio, lo scorso novembre la multinazionale energetica Equinor e la società Direct Ocean Capture (DOC) Captura avevano annunciato una partnership per sviluppare soluzioni su scala industriale per rimuovere l’anidride carbonica dall’oceano.
E più recentemente l’italiana Ecospray, specializzata in soluzioni integrate per la decarbonizzazione, ha annunciato che parteciperà come fornitore di tecnologie al progetto di Equinor, che prevede di partire da un impianto pilota iniziale da 1.000 tonnellate all’anno in Norvegia. L’obiettivo principale è dimostrare la sicurezza e la fattibilità di questi progetti su larga scala, al fine di infondere maggiore fiducia negli attori coinvolti.
Northern Lights è l’unità del progetto Longship dedicata alla costruzione e alla gestione degli impianti di trasporto e stoccaggio di CO2. Il progetto prevede di utilizzare due navi da trasporto per trasferire CO2 liquida dagli impianti di cattura
dell’area di Oslo fino ad un terminale situato sulla costa occidentale della Norvegia, per poi essere seppellita permanentemente in un impianto di stoccaggio offshore nel Mare del Nord. Il suo carattere d’avanguardia lo ha reso idoneo per l’analisi delle relative implicazioni legali e commerciali, nonché sulle prospettive sostenibili legate ai progetti CCTS su scala mondiale.
Il documento intitolato “Carbon capture, transport and storage projects in norwegian seabed: sustainable implications” ha raccolto i dati emersi da una serie di interviste rivolte a soggetti operanti all’interno dei progetti CCTS, con particolare riferimento al caso studio di Northern Lights. La ricerca ha messo in luce la mancanza di una regolamentazione specifica per il trasporto del carbonio e la carenza di valutazioni soddisfacenti in termini di rischio finanziario, ambientale e sociale.
Queste lacune rappresentano un doppio rischio per i progetti CCTS che sorgeranno in un contesto particolarmente critico e fragile come quello in Artico. L’Unione Europea riconosce le pratiche di cattura e stoccaggio del carbonio come strumenti validi nella lotta all’emergenza climatica, con l’obiettivo di immagazzinare geologicamente circa 3.600 milioni di tonnellate di CO2 all’anno entro il 2050. Tuttavia, considerati i notevoli investimenti e i costi connessi al trasporto su lunga distanza, la mancanza di una chiara legislazione in materia può compromettere la sicurezza e la sostenibilità di tali progetti, esponendoli a potenziali emorragie finanziarie e a impatti negativi sull’ambiente e sulle comunità locali.
“Suppongo che l’obiettivo dell’UE sia ridurre le emissioni del 55%.- spiega un rappresentante di Northern Lights- Ciò significa che molte di queste industrie non saranno in grado di decarbonizzarsi senza impegnarsi nella CCS”. Ma non tutti sembrano riporre la medesima fiducia ed esprimono un certo scetticismo nei confronti di questa tecnologia. “Gli scienziati hanno ripetutamente dimostrato che solo gli alberi possono effettivamente assorbire enormi quantità di CO2. Questa è una tecnologia naturale e anche molto economica- afferma uno degli intervistati- Perché investire iniezioni così massicce in nuovi oggetti industriali, come gli impianti di cattura, che possono anche mettere a dura prova la natura?”. Emerge dunque la necessità di approfondire le conoscenze attuali al fine di garantire l’implementazione di pratiche autenticamente sostenibili e consentire una efficace e sicura applicazione dei progetti di CCTS nell’Artico.
Barbara Fioravanzo
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