Intervista a Laura Borzi, analista del Centro Studi Italia-Canada, sul posizionamento del Canada e sul contesto geopolitico artico.
Gli echi della guerra
Con la chiusura del 2023, lo scenario internazionale sembra destinato ad accentuare ancor più divisioni e conflittualità tra gli Stati, caricandosi anche di sfide derivanti da minacce ibride e attori non-statuali. Abbiamo chiesto a Laura Borzi, analista presso il Centro Studi Italia-Canada e tra i relatori di “Italia chiama Artico”, un aggiornamento sul rapporto tra Artico e scenari esterni per fare maggior chiarezza su scenari complessi e interdipendenti destinati a diventare, come si teme, sempre più familiari negli anni a venire.
Dott.ssa Borzi, la guerra tra Russia e Ucraina ha sconvolto il continente europeo, portando il conflitto dove da anni ormai ci si era illusi di aver raggiunto “la fine della storia”: ma è possibile che le ripercussioni della guerra in Ucraina abbiano toccato anche le sponde dell’Artico?
«Malgrado a livello sistemico le tensioni e il revisionismo abbiano un chiaro effetto sull’Artico, le questioni di sicurezza non hanno origine in Artico, ma hanno origine altrove. L’ Artico, dunque, potrebbe restare una regione in cui su alcuni temi persiste la cooperazione, soprattutto in merito alla politica circumpolare. Anche dopo il 2014 (anno dell’annessione della Crimea, ndr) sono entrati in vigore accordi in Artico, concepiti all’interno dello stesso regime artico, nonostante le proteste del Canada».
Il ritorno della Russia
Il “ritorno” della Russia sulla scena internazionale a partire dal 2006-2007 non dipende dal cambiamento climatico (che pur resta elemento del quadro, da mitigare a livello regionale e globale), ma sono le dinamiche internazionali e la ripresa dal crollo dell’Unione Sovietica il vero propulsore della Russia. In Artico, inoltre, vi sono i parametri della potenza russa, come le risorse economiche e gli assets militari (come le capacità di second strike nella penisola di Kola), elementi geopolitici necessari per una superpotenza; anche alcune delle truppe che la Russia ha inviato in Ucraina erano in Artico.
Tuttavia, l’aggressione armata diretta da parte russa (e indiretta da parte bielorussa) nel febbraio 2022 e la violazione del diritto internazionale sono elementi di rottura: difficilmente avrebbe potuto essere altrimenti. L’aggressione a un altro Stato sovrano è qualcosa che non poteva non avere ripercussioni nell’Artico.
Citando le parole di Thomas Gomart, direttore dell’IFRI (Institut français des relations internationales), la guerra in Ucraina è stata una vertigine storica, sociale, filosofica e giuridica che ha portato a sconvolgere le fondamenta delle Nazioni Unite (“vertige historique sociale philosphique et juridique”, “la fondation de l’ONU a été ebranleé”)».
Da Mosca a Ottawa
A questo proposito, è interessante notare come Russia e Canada siano due attori estremamente diversi, ma entrambi, per ragioni geografiche e storiche, protagonisti della regione artica. Qual è la percezione dell’attuale contesto geopolitico da parte del Canada e come è cambiato dopo l’invasione russa?
«Alla luce del contesto internazionale, il Canada deve elaborare delle priorità strategiche che, al momento, non possiede: deve ovvero “mettere dei paletti” ed elaborare una visione strategica. In questo momento, il Canada sta rivedendo la propria politica di difesa, in cui per anni si è evitato di parlare di minacce e di come affrontarle, concentrandosi più su questioni di human security.
Ma è un dato di fatto che la geografia non sia più un elemento protettivo del Canada, ora all’interno di una geopolitica diversa. Come media potenza, il Canada ha un margine più ristretto di manovra, ma dovrà comunque presto fare i conti con l’aggiornamento della sua difesa all’alba dell’aumento delle sfide internazionali, della competizione tra potenze e delle minacce ibride».
«Nel 2017, dopo l’annessione della Crimea, il Canada aveva già sottolineato come la Russia stesse “testando” la stabilità dell’equilibrio internazionale. In questo momento, sarebbe necessario che il Canada si vedesse più integrato nella NATO. La reticenza a spendere per la difesa (il primo ministro Trudeau si diceva in difficoltà a rispettare il requisito della NATO del 2%) ha irritato gli stessi alleati europei. Tuttavia, secondo alcuni recenti sondaggi, il 75% dei canadesi si dichiarava più disposto a spendere per la difesa, con preoccupazione verso Nord, in Artico. E il Canada ha anche una grossa fetta di popolazione ucraina, fattore che anche in politica estera conta molto».
Il ritorno della cooperazione?
In questo quadro, quali sono i fattori o i processi che, secondo lei, potrebbero riportare l’Artico ad essere una “terra di pace”?
«Mentre la questione della cooperazione circumpolare può essere portata avanti sulle questioni endogene, come le popolazioni indigene e il cambiamento climatico, secondo molti osservatori (tra cui molti scienziati) senza la Russia sarà difficile continuare a cooperare. In qualche modo, la Russia va ripresa. Forse la cooperazione potrebbe essere ripristinata grazie a un “ritorno alle origini”, ovvero una cooperazione funzionale, su temi tipici dell’Artico, che potrebbe rafforzare i rapporti tra gli attori».
«Anche tra alleati, per mantenere amicizia e alleanza, Stati Uniti e Canada hanno congelato le proprie rivendicazioni territoriali, restando “in accordo di essere disaccordo” per mantenere la possibilità di cooperazione. Nell’ottica delle relazioni internazionali questa “rigidità” potrebbe fare bene, al momento, all’equilibrio in Artico. Mantenere l’ordine liberale internazionale, con la preservazione della democrazia, è la priorità in questo momento».
Agata Lavorio
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