Il conflitto in Ucraina, i costi energetici e le sanzioni impongono a Mosca un cambio radicale sugli investimenti marittimi nell’Artico. Che però non si fermeranno.
Se il Mediterraneo è non solo il mare intorno all’Italia, ma il suo stesso elemento, così la Russia vede nell’Artico una diretta emanazione di sé stessa. Per capire gli investimenti russi nella regione artica non si può trascendere dalla cultura russa, stando soltanto attenti ai numeri degli investimenti.
Nonostante il ghiaccio marino fosse ancora presente in larghi tratti, il 17 giugno scorso il “Sibir” è entrato nello Stretto di Vilkitsky. Potente rompighiaccio a propulsione nucleare di nuova generazione, il Sibir è una delle unità che Mosca metterà in acqua sulla Northern Sea Route (Rotta Marittima Settentrionale) per tenere aperto il passaggio alle navi tutto l’anno.
Lo Stretto varcato oggi dal Sibir è una delle aree più complesse e difficili da un punto di vista meteorologico, che rimane congelata per gran parte dell’anno. Un passaggio che si estende dall’arcipelago Novaya Zemlya a Ovest allo Stretto di Bering a Est. Lo scoppio della guerra in Ucraina lo scorso 24 Febbraio ha determinato numerosi punti di cambiamento, e anche il mondo marittimo non è rimasto affatto esente dal contesto.
Se lo scorso anno il mondo intero, guardando alla Ever Green arenata nel Canale di Suez, ipotizzava che la Northern Sea Route al largo delle coste artiche russe potesse effettivamente diventare un’alternativa, oggi questa possibilità sembra preclusa. Troppe le frizioni tra Occidente e Russia, troppo elevata la temperatura diplomatica tra le parti.
Eppure, sono tante le ragioni per credere che molto cambierà, ma il programma di sviluppo della Rotta Marittima di Nord-Est verrà comunque implementato. Come rileva Marco Leone, “Lo scorso Aprile il Presidente russo Vladimir Putin ha insistito sul fatto che i progetti artici non sarebbero stati ulteriormente ritardati a causa della situazione geopolitica, e che il piano di sviluppo dell’area sarebbe stato comunque portato avanti”.
Con i suoi oltre 24.000 chilometri di coste affacciate sull’Artico, Mosca non vuole e non può tornare sui propri passi. Sia perché ha già molto investito sul ripristino delle infrastrutture militari nella regione, sia perché sta lavorando a uno sviluppo complesso della rete logistica sulla rotta Est-Ovest che possa bypassare gli Stretti controllati dagli Stati Uniti, tra cui Suez e Malacca.
Al netto della propaganda governativa, Mosca sostiene che le sanzioni occidentali stiano solo rendendo più importante la navigazione sulla rotta marittima settentrionale. All’inizio di giugno, il vice primo ministro russo Yuri Trutnev ha sottolineato che i corridoi di trasporto verso i mercati asiatici, dovuti alla chiusura occidentale, siano ormai una naturale conseguenza.
Il 10% del PIL russo e il 20% delle esportazioni di Mosca sono attualmente prodotti nell’Artico. Le fonti energetiche rendono la Russia “dominata” dalla sua stessa capacità estrattiva, non soltanto per gas naturale e petrolio. Dalle terre rare ai minerali più ricercati, le lande desolate dell’Artico rappresentano un’opportunità di continuo mantenimento dello status quo di Mosca. Ma anche un potenziale salto di qualità.
Gli analisti stimano che entro il 2035 la navigazione sulla rotta potrebbe far guadagnare a Mosca fino a 35 trilioni di rubli, con una crescita trainata dalle esportazioni di petrolio, gas naturale e carbone. La Russia possiede l’unica vera flotta di rompighiaccio a propulsione nucleare al mondo, progettata per “soddisfare gli obiettivi di trasporto marittimo nell’Artico sulla base dell’applicazione di una tecnologia nucleare avanzata”, come afferma con malcelata supponenza il sito dell’azienda statale Rosatom.
Ancora Leone rileva che “Rosatomflot si è recentemente assicurata lo stanziamento di finanziamenti aggiuntivi per un importo di 118 miliardi di rubli per la costruzione di due nuovi rompighiaccio nucleari nel periodo 2023-2030. Si presume che le due navi saranno pronte rispettivamente entro il 2028 e il 2029. Altri 25 miliardi di rubli sono stati destinati alla realizzazione entro il 2028 di una nave di servizio, sempre a tecnologia nucleare, che dovrebbe essere servire i nuovi rompighiaccio nella ricarica di combustibile”.
Ma anche i porti verranno implementati secondo i progetti originari. Saranno 7 i miliardi di rubli impiegati dai ministeri di Economia e Trasporti per l’erezione di nuove banchine, strutture di dragaggio e di protezione dal ghiaccio nei porti di Taimyr “Bay Sever” e “Northern Star”.
Nell’ultimo documento strategico per lo sviluppo dell’area artica, nel 2020, Mosca sottolineava come la Northern Sea Route (NSR) fosse uno dei pilastri dello sviluppo nazionale con visione al 2035. Entro il 2024 si puntava a movimentare oltre 80 milioni di tonnellate di merce sulla rotta, per quanto i numeri fossero già stati rallentati dalla pandemia. Nel 2021, infatti, erano state appena 35 milioni le tonnellate di merce movimentata.
Ma nonostante le sanzioni e la potenziale “chiusura” del Mar Baltico, con l’ingresso della Finlandia e della Svezia nella NATO, il progetto di sviluppo portuale e infrastrutturale russo continuerà, magari puntando verso l’Asia.
Articolo in collaborazione con Shipmag
Leonardo Parigi
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