Viaggio fra le nuove e rinnovate installazioni militari oltre il Circolo Polare Artico, in un contesto di cooperazione con un equilibrio delicato ed estremamente fragile.
“L’Artico è una regione a bassa tensione e ad alto livello di cooperazione”. Il mantra ripetuto da tutti gli uffici stampa delle agenzie governative che si occupano di Artico è ormai una base ideale di pensiero. Eppure molto si muove sotto il cielo di granito della regione polare.
Che Mosca abbia iniziato già molti anni fa una corsa al riarmo, nella regione, è cosa nota. Anche se parlare di “riarmo” forse è improprio. Diciamo allora che la Russia ha ristrutturato ciò che era stato abbandonato a seguito della scomparsa dell’URSS. Basi navali, aeroporti, caserme, installazioni radar. E ha messo a punto vere e proprie fortezze.
E gli altri? Stati Uniti, Canada, Norvegia e Danimarca si ritagliano uno spazio militare e di intelligence sempre più rilevante. E anche se ognuno è legato all’altro – pensiamo ad esempio ai membri NATO – i cinque Stati costieri si muovono in autonomia. Ma anche Svezia, Islanda e Finlandia mirano a rinnovare le proprie forze sul campo.
Come afferma Carlo Jean nel suo “Geopolitica del caos”: «La fine delle eleganti semplicità del mondo bipolare e la differenza – e talvolta anche divergenza – fra i nostri interessi nazionali e quelli dei nostri alleati, impongono una politica più attiva. Non si può essere solo consumatori della sicurezza (sic) prodotta e pagata da altri. Occorre divenirne produttori. In caso contrario, è inevitabile la marginalizzazione e l’isolamento».
Nell’analisi del 2019 su Limes, Federico Petroni scriveva: «Mosca sta militarizzando le proprie regioni polari. Dal 2014 ha aperto nel proprio Artico oltre 500 edifici riservati alle Forze armate, parte dei quali compongono il cosiddetto Trifoglio, l’edificio più a nord del mondo, nella Terra di Francesco Giuseppe. Ha rimesso in funzione installazioni abbandonate dall’epoca sovietica. Si sta dotando di nuovi armamenti, soprattutto contraerea e droni, da schierare a settentrione. Ammoderna la flotta sottomarina, stanziata in maggioranza nella penisola di Kola».
E ancora: «Mosca ha dunque esigenza di ribadire ed estendere la propria sovranità sulle proprie sguarnite immensità polari. Per occupare posizioni prima che ci s’infilino altri (Cina?). E per proteggere il bastione di Severomorsk, quartier generale della Flotta del Nord e di svariate testate nucleari».
Lo scorso 24 marzo il primo sottomarino di attacco “Akula II” russo rimodernato è tornato nei ranghi della Flotta del Nord. Il Vepr è solo il primo di una serie di sottomarini “Akula-II” a propulsione nucleare riparati e modernizzati che ora sono pronti per le operazioni in mare aperto. Dopo il Vepr vedranno l’ammodernamento necessario anche i suoi fratelli “Bratsk”, “Volk”, “Leopard” e “Samara”. Tutti i sottomarini saranno in grado di trasportare i missili da crociera Kalibr.
Grazie a questo upgrade i sottomarini saranno in grado di navigare nelle fredde acque glaciali per i prossimi 25-30 anni. E stando alle dichiarazioni di Yevmenov, anche i sottomarini classe 667BDRM “Delfin” (Delta-IV) e classe 949 (Oscar-II) dovranno essere aggiornati.
Nel 2014 Mosca decise di mettere in funzione il Comando Unificato Strategico della Flotta del Nord, che rappresenta il fulcro di tutte le attività militari della regione, con sede a Severomorsk. Il progetto complessivo di ammodernamento delle basi, dislocate sui 24mila chilometri di costa che affaccia sull’Artico, prevede anche l’implementazione di strade, aeroporti, facilities, comandi militari, caserme e molto altro ancora.
Nel documento firmato dal CSIS “The Ice Curtain”, di cui abbiamo qui sopra un estratto video, leggiamo:
La Russia ha notevolmente rafforzato la sua presenza militare nei suoi arcipelaghi più settentrionali aggiornando le sue basi sull’Isola di Wrangel, sull’Isola Kotel’nyj, nella Terra di Franz Josef […]. Molte di queste installazioni hanno aeroporti o saranno dotati di piste di 2.500 metri in grado di ricevere aerei da combattimento russi. Allo stesso modo, ciascuna di queste installazioni ha o avrà in dotazione un radar in grado di potenziare la “domain awareness in Arctic airspace” (sic).
Fra le varie basi e installazioni militari russe nella zona artica, si annoverano:
La Penisola di Kola rappresenta il vero fiore all’occhiello della struttura militare russa nella regione. Vero fortino, è composto da diverse installazioni civili e militari per la protezione generale della sponda occidentale delle coste russe. La sua capacità di controllo è garantita dall’interdizione marittima e aerea fornita dai sottomarini dotati di missili balistici a propulsione nucleare (SSBN). La Flotta del Nord gestisce oggi un sistema di difesa aerea e navale che include:
Nel rapporto di Chatham House “Russia’s Military Posture in the Arctic“, del 2019, è scritto:
“Mosca vede la cartolarizzazione della regione attraverso l’attività militare come un primo passo necessario per imporre il controllo in un Artico in rapida evoluzione, soprattutto perché gran parte del confine settentrionale della Russia non è protetto. La prospettiva di una maggiore attività vicino al confine artico della Russia sta spingendo il Cremlino a investire ora in sorveglianza, monitoraggio […] e capacità difensive lungo la costa russa.
Ciò sta già accadendo, ad esempio, con le capacità di guerra elettronica (EW): due centri di guerra elettronica sono stati recentemente istituiti per la Flotta del Nord a Murmansk e in Kamchatka. La superiorità russa nel campo elettromagnetico avrà conseguenze dirette nelle condizioni di accesso alla NSR da parte di navi straniere” (traduzione del redattore).
Completa un quadro di grande riorganizzazione militare regionale la base “Arctic Shamrock“, ovvero l’edificio militare più settentrionale al mondo, nella Terra di Franz Josef. Nella base Sputnik-Pečenga la presenza delle Forze Speciali Spetsnaz è stata aumentata del 30% nel corso degli ultimi 4 anni, e alla fine del 2018 ben 13 differenti sommergibili nucleari si trovavano nel cantiere navale di Severodvinsk.
Thomas Nielsen, dalle pagine del numero di Limes “La Febbre dell’Artico”, scriveva: «Sulla penisola di Kola, la 200esima Divisione motorizzata artica e la 61esima Brigata di fanteria navale – entrambe con base nella valle di Pečenga, a pochissimi chilometri da confine norvegese – hanno ricevuto armi all’avanguardia e veicoli per attività belliche in climi freddi».
La Flotta del Nord è attualmente composta da una combinazione di sottomarini nucleari, l’Air Force and Air Defense Force, il corpo d’armata delle Forze di terra, truppe costiere e navi di superficie di vario tipo. Fra i suoi compiti, anche il vasto lavoro oceanografico e di ricerca nell’Artico, che apre nuove risorse geografiche precedentemente sconosciute. Negli ultimi anni, infatti, sono state fatte ben 34 scoperte geografiche dagli studi idrografici della flotta durante i viaggi di ricerca nella regione.
Se la Russia è l’attore costiero più “pronto” sul tema artico, gli Stati Uniti guardano al Nord con attenzione, ma senza impiegare direttamente eccessivi sforzi militari. Come in altre regioni del globo, infatti, Washington stima che sia più saggio controllare i “colli di bottiglia” che si creano alle due imboccature del Mar Glaciale Artico.
A Ovest, grazie alla presenza di membri NATO come la Norvegia e grazie alla presenza autonoma sulla Groenlandia. A Est, grazie a un irrobustimento delle coste dell’Alaska – dove è in progetto un porto in acque profonde, in grado di ospitare gruppi navali da guerra – con lo schieramento di nuovi F-35 e velivoli da sorveglianza P-8 sull’isola di Adak.
Dopo aver raddoppiato il contingente dei marines di stanza in Norvegia, negli ultimi anni, Washington conta molto sulle capacità del radar di Vardø per controllare cosa accade oltre il confine russo. E punta a implementare le proprie capacità di proiezione aerea grazie al dispiegamento di due squadroni di caccia F-35 nelle basi aeree di Elmendorf e Fort Wainwright, entrambi in Alaska.
In Groenlandia gli Stati Uniti ci sono già. La base aerea di Thule, insediata da decenni nella più grande isola del mondo, ospita la rete globale di sensori della 21a Space Wing che fornisce avvisi missilistici, sorveglianza spaziale e controllo al North American Aerospace Defense Command.
Ma è anche la base dell’821° Air Base Group, ospitando inoltre il 12° squadrone in grado di intercettare le minacce missilistiche di Mosca. Le intenzioni di Washington nella regione sono principalmente quelle di monitorare e controllare che Russia e Cina – su tutti – non crescano eccessivamente, che non riescano a incidere in maniera significativa sui partner regionali, anche a livello commerciale.
Anche la base aerea di Eielson verrà supportata da nuovi arrivi di velivoli da ricognizione e da combattimento. Sono invece 600 gli uomini di stanza in Groenlandia, fra personale civile e militare. E la Casa Bianca conta di aumentare ulteriormente la propria presenza fra i ghiacci.
Tra febbraio e maggio 2020 Washington ha invitato i propri Dipartimenti ad accelerare sulla costruzione e il potenziamento della propria flotta di rompighiaccio, uno degli elementi chiave per lo sviluppo delle rotte artiche. Con la rinnovata National Defense Strategy, che possiamo analizzare meglio nell’articolo di Giancarlo La Rocca: “La Arctic Strategy della US Air Force“.
La ex base navale di Olavsvern è tornata sulle prime pagine dei giornali pochi giorni fa, quando è diventata di dominio pubblico la notizia che il sito potrebbe ospitare in futuro i sommergibili statunitensi. Ad oggi, la Norvegia consente ai sottomarini a stelle e strisce di navigare nel fiordo di Malange,n vicino a Tromsø, per effettuare trasferimenti di personale e ottenere rifornimenti freschi.
Tuttavia, in base a questa disposizione, le piccole imbarcazioni devono portare passeggeri e merci da e verso i sottomarini, limitando il tipo di supporto che può essere fornito alle navi americane. Nel 2019 la compagnia norvegese WilNor Governmental Services Limited ha acquisito il controllo sull’Olavsvern Group, la società che gestisce il sito attualmente. Subito dopo, la WilNor ha comunicato l’intenzione di rendere accessibile la base all’esercito norvegese e agli alleati.
Le forze armate norvegesi constano di circa 38.000 unità, oltre a poter disporre di circa 30.000 riservisti. Oltre il Circolo Polare Artico ha sede la “Brigata del Nord”, che rappresenta la punta di diamante delle capacità militari del Paese scandinavo.
A metà ottobre la Norvegia ha dato alle stampe un nuovo “Long Term Plan for the Norwegian Armed Forces“. Il piano, che ha un orizzonte temporale di circa otto anni, prevede una spesa per la Difesa di 8,3 miliardi di corone norvegesi nel 2024 (circa 800 milioni di euro) oltre il bilancio di quest’anno. La maggior parte degli investimenti sarà concentrata sulla parte settentrionale della Norvegia, dove la Brigata del Nord verrà rafforzata con un nuovo battaglione, e dove la Finnmark Land Defense riceverà nuova potenza di fuoco.
Nuovi veicoli da combattimento corazzati arriveranno tra le file delle forze armate a partire dal 2025, oltre ad armi di precisione a lungo raggio. Verrà inoltre istituita una nuova unità mobile per la difesa chimica, biologica, radioattiva e nucleare (CBRN).
Anche la Marina di Oslo verrà supportata per un cambiamento strutturale, con l’acquisizione di nuove unità in collaborazione con la NATO. Saranno quattro i sottomarini a entrare nella flotta norvegese, e ci saranno novità anche per quanto riguarda le fregate.
Il Norwegian Joint Headquarters, che dirige le operazioni di comando militare, ha sede a Bodø, mentre la principale base navale novergese ha sede a Bergen. I principali accampamenti dell’esercito sono a Bardu, Målselv e Rena. Haakonsvern è la principale base navale della Royal Norwegian Navy, oltre a essere la più grande base navale dell’area nordica. La base si trova a Mathopen, nel comune di Bergen, a circa 15 km a sud-ovest dal centro della città. Sono circa 5.400 le persone che affollano ogni giorno la base, che ospita molto spesso anche unità alleate.
Situata sulla costa occidentale della Norvegia, la Ørland Hovedflystasjon, Ørland Air Base, è una delle due basi aeree norvegesi. Tutti gli F-35 acquistati da Oslo sono di stanza nella base di Ørland, in attesa di rimpiazzare completamente la flotta di F-16. Un piccolo distaccamento di “Quick Reaction Alert” si stabilirà a Evenes, nella parte settentrionale della Norvegia, poiché la distanza da Ørland all’estremo nord del Paese è eccessiva.
È attualmente in corso una massiccia espansione delle strutture. Nuovi hangar e strutture di manutenzione sono in costruzione per ospitare i nuovi jet, nonché edifici e uffici per tutti i nuovi piloti e il personale di supporto dello squadrone che arriveranno alla base nei prossimi anni.
Dice Laura Borzi, nella sua analisi sulla geopolitica del Canada: «In realtà, da tempo il Canada si trova di fronte uno scenario globale dove sarà progressivamente più complicato e rischioso, ma per questo anche più remunerativo, giocare il tradizionale ruolo di media potenza».
Ottawa è chiamata a far prova di una leadership rinnovata, fondata sulla visione di un Artico canadese forte, dinamico, prospero e sostenibile nei confronti del resto del Canada, così come nell’ambito internazionale, in modo da esprimere al meglio l’esercizio della sovranità.
Il Canada non ha sempre gestito la governance nel Nord in maniera uniforme, con risultati che hanno mostrato una sorta di lentezza nell’adattamento alle sfide esterne ed interne. La “Canada First Defense Strategy” (CFDS) del 2008 ha inquadrato l’intento generale del governo Harper per la politica di difesa canadese. Che oggi subisce alcune modifiche di fondo.
L’esercito canadese ha saggiamente concentrato i suoi sforzi sulla costruzione di unità piccole, autonome e altamente mobili. Al centro di questo sforzo c’è l’Arctic Response Company Groups (ARCGs). Forza generata dalle riserve primarie, ha come obiettivo primario quello di fornire “una capacità artica robusta e resiliente”.
A corollario di ciò, e ovviamente grazie alla vicinanza/presenza dell’esercito statunitense, Ottawa non presenta grandi proiezioni sul suo immenso e sconfinato territorio artico. Le sue principali basi “artiche” sono:
Situata nel Labrador, sulla costa nord-orientale del Canada, la base di Goose Bay è forse l’installazione militare più “artica” delle forze aeree canadesi. Data la sua posizione strategica, aiuta le forze armate canadesi e il comando di difesa aerospaziale nordamericano (NORAD) a proteggere lo spazio aereo regionale. La sua principale missione è proprio quella di supportare le operazioni del NORAD.
La strategia della Danimarca per l’Artico 2011-2020 identificava nell’articolo 5 della NATO la prima linea di difesa. Il documento proseguiva con l’intenzione di stabilire un Joint Arctic Command a Nuuk, in Groenlandia, supportato da una Arctic Response Force. Attività poi implementate, ma manchevoli da un un punto di vista operativo.
Lo staff del JAC oggi conta circa 100 persone. Troppo poche per dare risposte a un territorio che oggi pullula di domande e dubbi. Le tre unità artiche della Danimarca sono l’unità di Frømandskorps, con sede in Groenlandia, e l’unità Jaeger in Danimarca. La terza, e più popolare, è la celebre Sirius Patrol, che consiste di sei pattuglie di due persone ciascuna.
Lo scorso agosto è stato fatto un passo in avanti per la creazione di una sorta di “ranger” groenlandesi, ovvero una milizia locale in grado di assistere le forze regolari per il pattugliamento delle regioni settentrionali. Circa un anno fa veniva deciso lo stanziamento di1,5 miliardi di corone danesi aggiuntive (220 milioni di euro circa) per le operazioni militari nell’Artico.
Il budget, che però dovrebbe essere implementato solo nel 2023, soffre comunque di notevoli mancanze. La nuova forza di pattugliamento dovrebbe comprendere circa 120 effettivi, finanziati dalla Guardia Nazionale Danese. Copenhagen, infatti, continua a mantenere la sovranità sulla Difesa della Groenlandia, mentre condivide con Nuuk alcuni altri aspetti di sorveglianza.
La Marina danese è divisa in tre Squadroni. Il Terzo Squadrone ha il compito di sorvegliare le zone marittime esterne, con attività di sorveglianza e pattugliamento. Le forze navali danesi constano di:
4 multi-role frigates (THETIS class)
3 Arctic patrol ships (KNUD RASMUSSEN class)
The Royal Yacht (HDMS Dannebrog)
3 frigates (IVER HUITFELDT class)
2 ASW frigates (ABSALON class)
6 patrol vessels (DIANA class)
Modular mine-clearing assets under MCM Denmark
2 environmental-protection vessels (GUNNAR THORSON class)
2 environmental-protection vessels (METTE MILJØ class)
3 environmental-protection craft (MILJØ 101 class)
2 training boats (HOLM class)
2 hydrographical survey craft (HOLM class)
1 support ship (HDMS SLEIPNER)
2 sailing yachts (HDMS SVANEN and HDMS THYRA)
In “La guerra dopo la guerra”, Fabio Mini chiude il libro con una riflessione: «Ci sono politici che sempre di più agiscono o si atteggiano a generali, e sempre più militari che fanno politica Ci sono economisti e finanzieri che frequentano le scuole di guerra e militari nelle scuole della diplomazia e dell’economia. La guerra è diventato un indice di borse, tanto è influente sugli stessi listini e sull’andamento della finanza globale. Ci sono sempre più connessioni fra politica, strategia e tattica da rendere indeterminati il motivo, il livello e il luogo stesso dello scontro».
Leonardo Parigi
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