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Barneo Ice Camp, una vacanza “impossibile” al Polo Nord

Gateway to the North Pole. Così recita il pay-off del Barneo Ice Camp, la stazione artica più estrema e settentrionale.

Welcome to the North

La Russia è la nazione al mondo col maggior numero di basi polari, con circa 50 stazioni attive, seguita solo dal Canada e dalla Danimarca con una quindicina a testa, mentre gli altri Paesi si limitano a poche unità. Ai tempi dell’Unione Sovietica, la Russia investiva molto in stazioni artiche, distinguendosi soprattutto per il gran numero di basi alla deriva sulla banchisa: oggi se ne contano una quarantina, l’ultima delle quali fondata nel 2015.

A causa del riscaldamento globale che negli ultimi anni ha reso sempre più difficile reperire lastre di ghiaccio adatte, questo particolare tipo di basi è stato sostituito dalle navi da ricerca, che vengono lasciate andare alla deriva per gran parte del tempo simulando le condizioni in cui si trova il pack ghiacciato (come fece, ad esempio la rompighiaccio Polarstern della spedizione MOSAiC).

Una base alla deriva però è rimasta: si tratta dell’Ice Camp Barneo, un luogo molto speciale. Nato in epoca sovietica col nome di North Pole 31 (con lo scopo di monitoraggio aereo e sottomarino dell’esercito USA), è stato rinominato Camp Barneo nel 2002, quando è stato rilevato dall’esploratore russo Aleksander Orlov.

La gestione di Orlov ha portato alla struttura ebbe un successo insperato. Facendosi largo tra la burocrazia sovietica, Orlov ospitò turisti, sciatori, runners e scienziati di ogni tipo. Alla sua improvvisa morte, gli seguì la moglie Irina, che però – a causa dei pregiudizi sulle donne nell’Artico e della superstizione degli esploratori polari – non riuscì a mantenere il progetto ai livelli del marito.

L’avvento di Paulsen, l’esploratore filantropo

Ciò fece pensare più volte che il Camp Barneo avesse finito i suoi giorni. Fino a che, nel 2018, venne venduto al miliardario e filantropo svizzero Frederick Paulsen. Da allora il progetto forse fu ancora più sfortunato, visto che a causa di una disputa politica fra il pilota ucraino e il management russo del campo (che opera sotto il patronato della Società Geografica Russa) non partirono gli aerei per raggiungere la base, e saltò la stagione 2019.

Il Covid ha fatto il resto, annullando le stagioni 2020, 2021 e 2022. Ora rimane molta apprensione per le sorti del campo polare, soprattutto da parte di turisti, sportivi estremi e studiosi speranzosi di poterlo visitare.

Il Barneo Ice Camp è un campo temporaneo basato su una lastra di pack ghiacciato che si costruisce ogni anno intorno a metà marzo, nei pressi del Polo Nord. Viene gestito da specialisti russi e rimane in funzione per circa 4-6 settimane, fino alla fine di aprile, quando le temperature in aumento renderebbero instabile la struttura.

A spasso tra i ghiacci

Durante questo breve periodo, il campo ospita persone provenienti da tutto il mondo: turisti, esploratori, sportivi estremi e studiosi, che diventano per quel breve periodo gli abitanti dell’insediamento più a Nord del globo.

Lo storico punto di partenza per raggiungere il campo è Longyearbyen, la capitale dell’arcipelago delle Svalbard, da dove decollano i voli e dove sono presenti diversi hotel. Nel futuro si ipotizza di far partire voli anche dalla Russia (Chatanga, regione di Krasnoyarsk), soprattutto per facilitare la richiesta asiatica in forte crescita.

Il volo dalle Svalbard dura circa due ore e mezza, e l’aereo atterra su un pack di ghiaccio di circa 2 metri di spessore, in un punto in cui l’Oceano Artico raggiunge i 4000 m di profondità. Dal campo poi si può volare in elicottero fino al Polo Nord geografico, che generalmente dista un centinaio di chilometri.

Una vacanza di tre giorni qui costa circa 23.000 euro. E non si parla di turismo di lusso, quanto più di una simulazione di sopravvivenza: il campo offre alloggio in grandi tende riscaldate e una mensa comune, si può persino trovare un negozio di souvenir. D’altro canto, non ci sono docce, WiFi o ristoranti lussuosi.

Tra mistica e sopravvivenza

Chi viene qui lo fa per esplorare e conoscere dall’interno l’anima del polo, e può conoscere ricercatori scientifici, ingegneri, esploratori artici e sportivi estremi che sfidano i propri limiti. Agli ospiti viene spiegato come comportarsi nell’Artico per evitare di finire in situazioni pericolose. La temperatura esterna, il ghiaccio troppo sottile e gli orsi polari possono diventare problemi non da poco per un viaggio di piacere.

Non si può dire quale sarà il futuro di questo progetto, se sopravviverà alla pandemia e al riscaldamento globale o se verrà sostituito completamente dalle crociere artiche (per i turisti) e dalle navi da ricerca (per gli specialisti). Possiamo però riflettere sull’enorme attrattiva che un luogo così remoto e disagevole ha esercitato e tutt’ora esercita sulla mente degli uomini.

Il Polo Nord è come un sogno sfuggente: non è altro che un insieme di coordinate geografiche e non si può toccare. Eppure da secoli attira gli avventurieri più coraggiosi, e oggi continua a far sentire il suo canto e il suo richiamo.

Corinna Ramognino

Osservatorio Artico © Tutti i diritti riservati

Corinna Ramognino

Studio lingua, letteratura e storia russa presso l'Università di Genova. Grazie a un background di studi traduttologici e ad alcune esperienze sul territorio ho imparato ad approcciarmi in maniera critica allo studio della cultura russa, che cerco di trasmettere nei miei articoli

Leggi commenti

  • Io ci sono stata con mio marito qualche fa …è stata una esperienza indimenticabile….il tempo è stato sempre stupendo ..una vacanza che non dimenticherò mai😜
    Maila

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