© Arseniy Kotov
Lo sviluppo economico dell’Artico russo, basato sull’estrazione di risorse naturali, trascura spesso i rischi per l’ambiente e la salute delle comunità locali. Inquinamento industriale e degrado del permafrost rappresentano due tra le maggiori minacce per la qualità della vita nella regione.
Circa 4 milioni di persone vivono a nord del Circolo polare artico e, di questi, 2,5 milioni risiedono in Russia. Molti dei documenti governativi russi considerano lo sviluppo dell’infrastruttura di sfruttamento delle risorse naturali (e soprattutto di quelle minerali), nonché gli investimenti in progetti industriali e di comunicazione nell’Artico, la vera priorità politica per il rilancio della regione, trascurando però gli obiettivi prettamente sociali.
Perché la nuova corsa all’Artico, quella della Russia dagli anni Venti del Duemila fino al 2035, funzioni al meglio, dovrà tenersi però conto dei fattori sociali: dal momento che il capitale umano, come la Storia insegna, è importante quanto le risorse naturali e le tecnologie che ne permettono un efficace sfruttamento.
Un primo serio problema che affligge l’Artico russo è quello dell’inquinamento. Un caso esemplificativo è rappresentato da alcuni dei centri abitati della Regione di Murmansk, quali Apatity, Kandalakša, Kirovsk o Mončegorsk (in ognuno di questi vivono almeno 30.000 persone), dove gli impianti industriali di lavorazione dei materiali estratti nelle vicine miniere emettono ogni sorta di agente nocivo: diossido di zolfo, nichel, rame, piombo, platino, cloro e altri.
Le elevatissime concentrazioni di elementi tossici nell’aria, che a causa di uno scarso o addirittura assente controllo governativo superano anche di decine di volte il limite massimo consentito dalla legge, fanno sì che nell’organismo delle persone che abitano queste e altre città artiche si possa registrare un’altissima presenza di metalli pesanti.
La città di Noril’sk è uno dei casi più significativi degli effetti dell’inquinamento causato dall’uomo nell’Artico russo. Sorta nel corso degli anni Trenta intorno alle miniere di nichel e rame nelle quali lavoravano gli operai provenienti dal vicino Noril’lag, la città conobbe una rapida e fortissima industrializzazione. A causa delle emissioni inquinanti nell’aria degli impianti industriali della città, equivalenti a circa due milioni di tonnellate nel 2018, Noril’sk è stata dichiarata la città più inquinata del mondo. Le emissioni degli impianti sono sostanzialmente incontrollate, e causano gravi danni all’uomo e all’ambiente circostante.
Questi fattori sono quelli che comportano maggiori rischi per la salute della popolazione; a essi si aggiunge il continuo deterioramento del permafrost, nel quale affondano le fondazioni degli edifici e degli impianti industriali dell’intera città, che ha già iniziato a causare un grande numero di cedimenti strutturali, sono quelli che portano ai maggiori rischi per la salute della popolazione.
Secondo uno studio pubblicato da Rospotrebnadzor, il Servizio federale per la vigilanza sui diritti e sul benessere dei consumatori della Federazione Russa, in tutti i distretti di Noril’sk sono stati rilevati livelli di inquinamento, in particolare dell’aria, insostenibili per la salute dei residenti della città: le emissioni di metalli pesanti possono, infatti, portare alla formazione di malattie dell’apparato respiratorio, del sangue, dell’apparato digerente, del sistema immunitario e dell’apparato riproduttore.
Tra le sostanze emesse in maggiore quantità dagli impianti di Noril’sk si annoverano l’ossido e il solfato di nichel (che tendono ad accumularsi nei polmoni e a causare il cancro), l’ossido di azoto (che causa irritazioni agli occhi, al naso e alla gola), l’anidride solforosa (che porta a sviluppare bronchite, asma, tracheite e irritazioni della pelle, degli occhi e delle mucose) e benzene (che causa danni al sistema nervoso e porta a malattie del sangue).
Tommaso Bontempi
Osservatorio Artico © Tutti i diritti riservati
Ringraziamo il fotografo Arseniy Kotov per la gentile concessione delle immagini.
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