L’industrializzazione dell’Artico russo mette a rischio l’ambiente e lo stile di vita delle comunità indigene. La legge offre alcune tutele, ma l’equilibrio tra sviluppo e diritti resta precario.
Gli abitanti dell’Artico russo
L’industrializzazione e lo sfruttamento delle risorse naturali nella Zona artica della Federazione Russa rappresentano una seria minaccia per le popolazioni indigene del Nord. Il loro stile di vita, radicato da millenni nelle regioni settentrionali della Siberia e nell’Estremo Oriente russo, è strettamente legato all’ambiente in cui hanno sempre vissuto.
L’allevamento delle renne, la pesca, la caccia e la raccolta costituiscono le principali fonti di sostentamento di questi gruppi, la cui sopravvivenza dipende dall’equilibrio della fragile ecosfera artica, oggi sempre più compromesso dall’impatto dell’attività umana incontrollata.
Un quadro normativo fragile
La Russia riconosce le popolazioni indigene e, a livello federale, è presente un corpus legislativo che garantisce la protezione dei loro interessi, soprattutto il diritto a esistere e a preservare la propria cultura, lingua e tradizionali modi di vivere. Vi sarebbe inoltre un sistema di compensazioni economiche assicurate dallo Stato alle popolazioni indigene nel caso in cui queste siano danneggiate dall’attività industriale o estrattiva.
Le decisioni in merito alle popolazioni autoctone in Russia sono tuttavia prese spesso a livello non federale ma regionale. Diverse minoranze indigene vivono, per esempio, nel territorio della Jacuzia, una significativa parte della quale è compresa all’interno del Circolo polare artico: tra questi gli Evenchi, gli Eveni, i Ciukci, i Dolgani e gli Iucaghiri.
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Lo sviluppo industriale, unito al cambiamento climatico, ha avuto un impatto fortemente negativo sullo stile di vita tradizionale di queste: le vaste distese di terra dove essi svolgono le proprie attività si trasformano spesso in miniere a cielo aperto, pozzi petroliferi o cave metallifere che, insieme agli impianti di raffinamento e di lavorazione, portano all’intenso inquinamento dell’ambiente da cui la vita degli indigeni dipende.
Un caso virtuoso
È interessante notare come la Repubblica Sacha (Jacuzia) abbia introdotto a livello legislativo metodi per regolare i rapporti tra le popolazioni indigene, il governo regionale e le industrie. In ambito federale esiste infatti un sistema di “periti etnologici” il cui compito, tramite lo studio scientifico dell’impatto dell’attività industriale sull’habitat originario delle popolazioni e sulla situazione socioculturale dei loro gruppi etnici, è garantire che i diritti di tali minoranze siano rispettati.
Nella normativa federale non si aggiunge altro, ma la Jacuzia è andata oltre: questa repubblica, infatti, è l’unica dei soggetti federali russi a vincolare i progetti industriali o estrattivi dagli effetti potenzialmente negativi a ottenere un parere favorevole dalla commissione degli esperti etnologici, che gode di fatto di un diritto di veto sull’implementazione di investimenti impattanti in quei territori definiti di “tradizionale gestione delle risorse naturali”. Questi territori, creati su richiesta delle popolazioni indigene stesse, sono definiti come “speciali aree protette create per la gestione tradizionale dell’ambiente e per il sostentamento delle popolazioni indigene”.
Per la crescita economica e sociale della Federazione Russa, sfruttare le ricchissime risorse naturali del Nord è senz’altro essenziale, soprattutto ora che nuove e interessanti opportunità vi si aprono grazie al cambiamento climatico. È altrettanto giusto però che le popolazioni indigene del Nord, della Siberia e dell’Estremo Oriente possano continuare a condurre la loro vita in stretta comunanza con la natura, secondo i metodi tradizionali tramandati di generazione in generazione, come del resto la stessa Costituzione russa ha riconosciuto.
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L’Artico russo fra sfruttamento o preservazione
Questi due diversi modi di vedere e di vivere l’Artico, o semplice contenitore di risorse o terra d’origine, non devono però essere necessariamente in contrasto. L’esperienza cooperativa tra la Jacuzia e la commissione dei periti etnologici – la quale vede un’importante partecipazione dei rappresentanti delle popolazioni indigene interessate dai progetti e incentiva continui studi sociologici, linguistici ed etnoculturali per meglio capire come misurare l’impatto dell’industrializzazione sulle popolazioni autoctone – dimostra che può esistere a tutti gli effetti una pacifica convivenza tra queste due idee di Artico.
Devono però essere introdotte misure concrete per garantire un impatto il meno negativo possibile sui nativi, coinvolgendoli nei processi decisionali e prevedendo un giusto sistema di compensazione per le perdite subite, prevedendo anche la redistribuzione di parte degli utili delle industrie che sorgono sui territori di interesse indigeno.
Infine, il sistema di compensi economici da solo non può certamente garantire la sopravvivenza delle culture e delle lingue indigene in quanto tali (già ampiamente disgregate dalle politiche sovietiche), che rischiano di trovarsi assimilate dalla cultura russa, cancellando rapidamente ogni legame delle popolazioni con il proprio passato. Questo è uno dei principali problemi che la normativa russa si troverà a dovere affrontare, visto il serio rischio di scomparire al quale sono sottoposte le sempre più esigue popolazioni native dell’Estremo Nord.
Tommaso Bontempi