Il forte sviluppo delle capacità militari sovietiche nell’Artico sotto la guida stalinista apre la via all’industrializzazione della regione, ricca di indispensabili risorse naturali.
Secondo la visione stalinista, la legittimità della sovranità sovietica nell’Artico dipendeva dalle attività economiche e scientifiche che l’Unione era in grado di instaurarvi. I sovietici avevano edificato basi e avamposti militari e scientifici sulla Terra di Francesco Giuseppe, sulle isole dell’arcipelago di Novaja Zemlja e le navi da carico percorrevano il corso dei fiumi Enisej e Kolyma.
Già negli ultimi anni Trenta del Novecento, in pieno periodo stalinista, le stazioni polari sovietiche erano circa sessanta. Situate lungo l’intera linea della costa settentrionale e sulle isole artiche, ospitavano ogni anno diverse centinaia di ricercatori che si occupavano di rilevazioni geologiche e meteorologiche.
A seguito della riuscita spedizione della rompighiaccio “Sibirjakov”, che aveva navigato ininterrottamente con successo attraverso il Passaggio a Nord-Est fino all’Oceano Pacifico senza svernare, si comprese definitivamente l’importanza e le opportunità che una rotta artica potesse offrire. L’invenzione e il continuo impiego delle rompighiaccio consentivano all’Unione Sovietica di approfittare efficacemente della propria immensa linea di costa artica, potenzialmente permettendo alle navi da carico che dall’Asia si recavano in Europa e viceversa di risparmiare costose miglia marine.
Lo sviluppo dell’Artico russo e sovietico all’alba del XX secolo dipese interamente dalla Rotta marittima settentrionale: il bisogno di proteggerla favorì la fondazione di avamposti polari, la necessità delle rompighiaccio favorì lo sviluppo dei cantieri navali e delle infrastrutture portuali, l’imperativo di viaggiare nelle condizioni atmosferiche ottimali portò alla costruzione di una fitta rete di stazioni meteorologiche, continui voli di ricognizione e spedizioni idrografiche monitoravano lo stato del ghiaccio e mappavano i fondali marini.
La Direzione generale della Rotta marittima settentrionale, una speciale organizzazione governativa sovietica, era stata fondata nel 1932 per coordinare gli sforzi sovietici relativi allo stabilimento e al buon funzionamento della rotta, incluso il più generale studio scientifico, geografico, geologico, botanico e faunistico della regione. L’Artico cominciava però a rivestire un’importanza anche strategico-militare: la crescente minaccia rappresentata dal vicino Impero giapponese, che nel 1931 aveva occupato la Manciuria cinese al confine con l’Unione Sovietica portò, nel 1932, alla fondazione della Flotta del Pacifico per proteggere l’Estremo Oriente dell’Unione. Nel 1937 si colloca invece la fondazione della Flotta del Nord, che vigilava sulla pesca nel Mare Glaciale Artico nonché sulla Rotta marittima settentrionale.
Con il governo di Stalin e i suoi piani quinquennali si cominciò a favorire la fortissima industrializzazione dell’Unione, per permetterne il progresso e l’allontanamento dalla dipendenza dalle risorse e dalle conoscenze capitaliste. Questa nuova prospettiva rendeva indispensabile anche e soprattutto lo sviluppo industriale della Siberia insieme allo sfruttamento delle immense risorse naturali nell’Artico. La Rotta marittima settentrionale aveva già dato impulso alla fondazione di nuovi porti nell’Artico: furono potenziati Archangel’sk, Dudinka e Murmansk e furono fondati Dikson, Novyj Port, Pevek e Tiksi.
Accanto allo sviluppo dei porti si collocava l’estrazione mineraria, che rapidamente andò a costituire il principale beneficio economico che l’URSS riceveva dallo sfruttamento dell’Artico. Nel corso degli anni Trenta del Novecento si poté assistere alla vertiginosa crescita dell’industria mineraria in URSS, e specialmente nella regione artica. Noril’sk, situata sulla foce del fiume Enisej, divenne il principale centro sovietico dell’estrazione del nichel, utile soprattutto nei processi industriali di produzione dell’acciaio inossidabile, e del rame.
La vicinanza del porto di Dudinka, collegato a Noril’sk da una ferrovia, consentiva un efficace trasporto del metallo estratto sia lungo il corso del fiume Enisej sia sul Mar Glaciale Artico. Dal bacino del fiume Kolyma si estraevano le maggiori quantità di oro, e l’Estremo Oriente forniva grandi quantità di stagno e di mica, impiegata come isolante elettrico. Mirnyj, in Sacha-Jacuzia, si trasformò nel centro sovietico dell’estrazione dei diamanti e tra Pečora e Vorkuta, nella Repubblica dei Komi, si trovavano vastissimi bacini carboniferi che portarono alla crescita di queste città.
Questo rapido sviluppo, tuttavia, non fu privo di costi umani e sociali, segnando l’inizio di una fase oscura della storia sovietica.
Tommaso Bontempi
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